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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Maggio 2005

31 maggio 2005
LEZIONE #1

Sedetevi e riposate
le vostre anime affaticate
dal caldo di queste vite brucianti
e di questi bulloni dorati,
sedetevi e ricordate
il vostro futuro anteriore
quando non vi sarà rimasto altro
che i vostri sogni più blu
e i vostri incubi più rosa,
sedetevi e brindate
con noi o con voi stessi
per quella cintura che vi sorregge
anche quando vi volta le spalle
anche quando volgete al riposo
di un sonno sospirato,
sedetevi e guardate
non vi resta altro da imparare
da voi stessi
ma è della vita cui andate incontro
che dovreste lamentarvi.

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30 maggio 2005
SEX MODE

Pazzi?
Spesso si tende a chiamare "pazzia" semplicemente quello che le nostre menti non capiscono, o si rifiutano a priori di ammettere.
Il limite tra pazzia e genialità è veramente molto labile, e difficile da trovare. Un artista può essere considerato geniale da alcuni, pazzo da altri, sicuramente incompreso da molti. Ma che cos'è, in fondo, la pazzia? E' riuscire a portare sul palco, o davanti agli occhi del proprio pubblico, sensazioni ed emozioni che non si pensava potessero emergere. E' saper far parlare la propria arte di cose che normalmente non si parlerebbe, con strumenti che normalmente non verrebbero nemmeno considerati.
Ho assistito al concerto di due pazzi, ieri alla FNAC? Non lo so. So che dopo la garbata presentazione del Festival delle Periferie da parte dell'organizzazione Metrodora, sono saliti sul piccolo palco del noto negozio genovese due loschi figuri. Loschi? Loschi. Hanno iniziato a spogliarsi e a offrire caffè e gelatine allo scarso pubblico, facendo suonare gli insoliti strumenti che si erano portati dietro.
Non so se riesco a definirli pazzi. Sicuramente lo spettacolo era stato preparato. Gli attrezzi di scena c'erano. Ma una buona parte dell'esibizione è stata lasciata all'improvvisazione più assoluta, ed è quindi stato un piacere vedere un batterista che, allo spezzarsi di una delle sue bacchette, alza le spalle con occhi noncuranti e sfrutta il suo nuovo arto dimezzato per ottenere nuovi suoni.
E' stato un piacere ascoltare la rime improvvisate del bassista, quando anche una soltanto delle persone presenti accennava ad andarsene via, mentre cercava di convincerla a restare. E' stato un piacere scoprire che c'era anche della qualità sotto un'esibizione che sicuramente avrà fatto storcere il naso a molte persone, ed è proprio per questo che sono voluto restare fino alla fine.
Un applauso è di rito. Due sono di simpatia. Al terzo, scocca inesorabilmente la soddisfazione. Di chi? Del pubblico e di chi sta sopra il palco. Non so se con queste poche e scarne parole vi avrò convinto ad andare a sentirli, fosse anche solamente per farvi una vostra opinione in merito. Lasciate che siate voi stessi a decidere se siano pazzi o meno.
Li potrete trovare al Festival delle Periferie, il primo giorno. Avrete la voglia di mettervi e metterli in discussione? A voi la scelta.

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22 maggio 2005
POCKET ROCKETS

Tenetelo bene a mente. Ricordatevelo. Annotatevelo pure. Cinque sono i gradi di ubriachezza. Laciate stare tutte quelle storie sulla percentuale nel sangue. Libero. Allegro. Brillo. Ubriaco. Perso. Niente altro conta.
Libero. Sentite che i freni inibitori svaniscono. Allegro. L’euforia comincia a possedervi, e voi a farvi trascinare. Brillo. L’equilibrio comincia a mancare, ma siete ancora in grado di formulare pensieri e frasi coerenti. Ubriaco. Godetevelo, perché è il punto da non superare, il punto di non ritorno. Perso. La mattina dopo vi chiederete cosa vi abbia spinto a gettarvi sulle ginocchia giù per le scale di Palazzo Ducale, e del perché non ve lo ricordiate.
Ascoltare un disco dei Pocket Rockets è un po’ come attaversare uno per uno i gradi di ubriachezza descritti sopra. Ascoltare una canzone dei Pocket Rockets è come assaporare un sorso della vostra bevanda preferita, e scoprire che ne volete ancora. E ancora. E ancora.
Prendete per esempio “It's only rocket science (but i like it)”. Alla prima canzone vi sentirete liberi da tutti I canoni sonori. Riscoprirete le vere origini dell’hard rock, e la voglia di viverlo fino in fondo. Vi sentirete ringiovanire, o invecchiare, fate voi. Non so che età abbiate, in fondo. E nemmeno mi importa, se devo essere sincero. Alla seconda canzone sarete decisamente allegri, per quello che state provando in quel momento. Siete in pace con voi stessi, e niente altro importa. Siete voi e quelle note. Voi e la musica. Voi e la canzone “how does it feel”. Partirà quindi il terzo brano, e comincerete a sentire gli effetti di tutto quel rock. Cominceranno a tremarvi le gambe, e vi piacerà. Ma è alla quarta canzone che vi si aprirà il mondo dei Pocket Rockets. È con “you’re in love”. È alla quarta canzone che sarete già ubriachi dei Pocket Rockets al punto da non prestare più attenzione a quei suoni provenienti direttamente dagli anni ’80. È alla quarta canzone che saprete che vi state avvicinando al punto di non ritorno. È alla quarta canzone che dovrete decidere se far ripartire il disco dal suo inizio, e perdervi definitivamente in esso. Persi. Voi e lui. Che cosa state ancora aspettando?
Una canzone dei Pocket Rockets è di troppo. Due, non sono abbastanza.

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8 maggio 2005
SENSI

Trova un punto d’appoggio per le volubili realtà che ti circondano, perché è su di esso che dovrai fare affidamento quando il mare dell’inesistenza sommergerà il tuo futuro. Non è con la semplice fiducia nelle speranze e nelle possibilità di un bambino insolente che il pianto del mondo smetterà di colpo la sua penosa esistenza. Ho lasciato che l’udito assaggiasse il dolce colore dell’adolescenza, quando tutto sembra soffuso e placido, come un sasso solitario lasciato a sciogliersi nelle correnti del tempo tiranno. Ho lasciato che l’olfatto naufragasse nell’oasi discinta di un lembo di pelle sporgente ed invitante come un fiore di cactus nel mezzo del viale della legislazione didattica. Ho lasciato che il pensiero svanisse e portasse con se tutti i ricordi e le sensazioni di queste giornate trascorse estranee alla quotidianità dilagante di un animo scolorito. Ho dimenticato le chiavi del mio tempo e trovato l’accesso al tuo solo per scoprire che niente è come vorrebbe apparire sotto il sole di una serata senza soffi di noia. Arrivederci al prossimo anno, e che le lacrime e le mani alzate per la gioia o per la noia si abbassino, lascianod il colore nero del passato nei nostri neuroni addormentati che non richiedono sveglie fino al giungere di un dio bemolle.

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