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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
27 Novembre 2011
PENDULUM

CAPITOLO IX
Uno sparò risuonò nel silenzio oppressivo e vellutato della stanza. Inorridito, Jack guardò con lucido orrore il corpo che giaceva ai suoi piedi. Inerme. Privo di vita.

CAPITOLO VIII
Jack prese la pistola dal comodino, e uscì in fretta. Il vento in strada gli spettinò i capelli sudati, mentre lui si stringeva nel caldo mantello scuro. Attraversò in fretta il quartiere ed entrò in un bar sconosciuto: ordinò una birra chiara, mentre i suoi pensieri continuavano a rincorrere la certezza di quello che doveva fare. Non poteva più rifiutarsi, la sua coscienza glielo avrebbe negato. Il suo onore non poteva essere messo al silenzio: non questa volta. Jack pagò in fretta il conto, e si gettò nuovamente nel freddo invernale, mentre i suoi passi lo conducevano sicuri verso la sua destinazione.

CAPITOLO VII
La stazione di polizia giaceva nel silenzio più totale. A quell’ora, normalmente l’edificio era un vero e proprio andare e venire di prostitute e spacciatori, ma quel giorno sembrava che l’intera area fosse stata avvolta in un manto di candida ovatta. Sulla parete, un pendolo continuava senza sosta la sua oscillazione perenne, avanti ed indietro, senza fine. Tic tac tic tac. Jack si trovò quasi ipnotizzato di fronte a quel prodigio della fisica, quasi significasse che tutto può tornare indietro. Tic tac. Quasi fosse un simbolo di redenzione, una redenzione eterna. Non per lui: non dopo quello che aveva visto. Tic tac. Il pendolo lo fissava dalla parete, glaciale e con il suo occhio rotondo. Tic tac. Il pendolo iniziò a parlargli. Jack si alzò di scatto e corse a casa. Là, finalmente, avrebbe trovato la risposta che cercava.

CAPITOLO VI
Le sue dita accarezzarono ancora e ancora quel volto incorniciato. Quanto l’aveva amata! Quanto l’aveva desiderata! Quanto…! Era stato testimone del suo omicidio, e non era riuscito a fare niente. Niente. Un lento conato di disprezzo per se stesso trovò la strada attraverso l’intestino di Jack, e tutto l’odio che provava per se stesso si diresse verso quel suo amico, quel suo caro amico, quell’amico che aveva tradito la sua fiducia. Come aveva potuto? Come aveva potuto portargliela via? Come aveva potuto, Jack, non accorgersi del suo tradimento? Si infilò la foto nella tasca interna della giacca, e uscì tremando sotto la volta delle stelle.

CAPITOLO V
Jack salì in macchina, e il vecchio motore si risvegliò tossendo. I cartelli stradali cominciarono a sfrecciargli attorno silenziosi, beffardi, bisbigliando alla sua mente parole vuote e sature di paranoia. Parole ignote e prive di gioia. Parole mute e colme di… Jack si destò dal torpore in cui si stava crogiolando. Tic tac tic tac. Jack ripensò al pendolo. Tic tac. Ripensò a come quella strada sembrava lo stesse cullando verso una destinazione ignota. In realtà, Jack sapeva perfettamente dove voleva andare: ma allo stesso tempo, sapeva che gli avrebbe fatto male, molto male, rivederla un’ultima volta.

CAPITOLO IV
Una lapide di pietra, ecco tutto quello che restava di lei. Una lapide di pietra, eretta sul culmine di quella collina spoglia e priva di vita. Una lapide di pietra, e attorno nient’altro che i ricordi di un’intera vita, divenuti fiori in un freddo vaso di vetro. Fiori deposti da chissà quali mani, alla memoria di chissà cosa. Fiori deposti magari anche da quell’amico che gliel’aveva portata via. Quell’amico che non era riuscito a fermare, e a denunciare. Quell’amico maledetto, dal sorriso beffardo. Quell’amico che gli aveva portato via tutto. Quel suo unico, vero amico. Jack urlò al cielo, con tutto il fiato che i suoi polmoni potessero contenere, la sua promessa di giustizia. Jack urlò, e il cielo rimase in silenzio.

CAPITOLO III
Jack colse un fiore, e tornò alla macchina. Uno sbuffo di fumo, l’ennesimo, andò a mescolarsi con la nebbia di dicembre. La strada di campagna era brulla e, qua e là, apparivano pioppi e betulle il cui contorno si confondeva con i ricordi della sua infanzia. Erano stati giorni in cui ogni minuto regalava promesse di scoperte e rivelazioni nuove, di esperienze e magici incontri. Erano stati giorni di pace. Giorni di festa. Giorni in cui aveva conosciuto lei, erano stati giorni in cui erano diventati amici, amanti, amati. Erano stati giorni destinati a finire, come la sua strada. Jack spense il motore, chiuse la portiera silenziosamente, e si incamminò sicuro.

CAPITOLO II
Jack guardò ancora una volta la sua casa d’infanzia: i mobili erano esattamente quelli che aveva imparato a conoscere negli anni, ed erano nella medesima posizione. Il divano, la credenza, il letto, il tavolo. Il letto. Quel letto dove aveva trascorso ore interminabili con lei, quel letto dove si erano confessati i desideri più segreti e dove le loro anime si erano unite in un bagno di gocce di estatico piacere. Quel letto che avevano abbandonato per andare a vivere insieme, quel letto divenuto troppo piccolo per loro. Quel letto oramai freddo, come il suo cuore.

CAPITOLO I
Jack alzò lo sguardo verso la parete: immerso nel silenzio, c’era solo quel pendolo a tenergli compagnia. Un pendolo che aveva scandito il tempo fin da quando era bambino, fin da quando aveva iniziato a correre incontro alla vita, fin da quando aveva creduto nell’amicizia. Jack scoppiò a piangere, chiedendosi se mai la sua storia potesse essere riavvolta per essere vissuta al contrario. Come il braccio di quel pendolo. Tic tac. Come un vecchio nastro che possa essere riavvolto. Tic tac. Come i capitoli di un racconto scritto al contrario. Tic tac. Tic. Tac tic.

1819


[Commento lasciato da Pazuzu il 27 Novembre 2011, 23.00]
Questo racconto è stato selezionato dall'Associazione Flanerì per il volume Rac-corti 4.

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