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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Dicembre 2005

31 dicembre 2005
CANDORE BIANCO

Scivola giù dal cielo, leggero e pacato come un soffio di un bambino addormentato, nel caldo sopore della notte. Scivola giù dal cielo e si unisce al fratello maggiore, poco davanti a lui. Scivola giù dal cielo e si stupisce dei colori che compaiono davanti ai loro occhi, davanti al loro spirito, davanti al loro più intimo essere. Sono piccoli essere dimenticati dal cielo, rinnegati dalle nuvole nello stesso momento in cui i monti li hanno visti sorvolare sopra le loro teste canute, sopra i loro pensieri perenni.
Bianca, fredda, sola e allo stesso tempo ricordata da tutti, circondata da cicloni di malcelata ironia nel calore di una tirannia di emozioni. Ha lasciato il paradiso per crollare in mezzo alle pasisoni terrene, e portare gioia negli occhi di chi nemmeno la conosce e crede che sia diversa da tutte le altre, da tutte le sue amiche, da tutte le sue gemelle. Ed è vero. È sincero. È unica. E di conseguenza sola. Come tutte le persone che si fermano ad osservarla e non pensano alla loro condizione. Alle loro speranze perse nella neve che si sta sciogliendo, su questo versante della montagna innaffiato dai raggi del sole. Alle loro possibilità sperdute nell’attimo di un pensiero grigio e solare al tempo stesso, ma che scomparirà non appena il calore si farà così insistente che non esisterà nient’altro.
Scivola giù dal cielo, e sorridi pensando a quanti ti guarderanno e non pensano. Sorridi perché niente di tutto quello che non esiste non potrà mai essere dimenticato, come pure la memoria di un albero in fiamme. Sorridi. È tutto per te, il panorama che si stende ai suoi piedi.

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27 dicembre 2005
STRIP 35

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Le tradizioni natalizie sono importantissime...

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25 dicembre 2005
STRIP 34

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Il giorno più atteso dai bambini di tutto il mondo?
Merry antichristmas a tutti! :-)

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15 dicembre 2005
STRIP 33

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...l'arrivo delle pazuzate! AUhuAHuhAHUUHhau (rido già da solo)...

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14 dicembre 2005
SALERNO

Sveglia alle quattro e un quarto per partire alla volta di Salerno. Appuntamento alle cinque e venti sotto casa di Alf per potergli lasciare la macchina. Dieci minuti di coda per ottenere il biglietto al check-in, tra un Harrison Ford e un Paolo Villaggio.

Mi stupisco di me stesso, a volte. Mi ritrovo in bocca parole che non pensavo avrei mai pronunciato, dopo aver pensato pensieri che non sapevo sarebbero potuti essere miei. Cosa mi fa scattare la molla dell’emozione nascosta? A volte credo basti un secondo, un battere di ciglio, una ventata di realismo nel cupo viale della veglia. E scopro immediatamente di essere ancora in grado di comunicare con il mio dio, la mia illusione di essenza superiore, i miei perenni dubbi che conosco per nome, oramai. E quindi sorrido. Un piccolo gesto, una semplice mano tesa, una frase di supporto e tutto passa, tutto muta, tutto scompare. Eccetto un sorriso. Ed è tutto quello che chiedo, null’altro. Un leggero movimento sulle labbra della vita. Una lieve increspatura sulla marea di un oceano in fiore. Che rischia di svanire. Che rischia di morire. Che non potrei sopportare.

Harrison Ford è arrivato e si è seduto davanti a me. Legge un giornale, scartando con calma le pagine già lette, già vissute. Sta masticando qualcosa che odora di menta, con un leggero aroma di sottofondo che mi sembra rosmarino. Di fronte a lui, con l’arroganza che gli viene da una lucente cravatta rossa, siede tra un cespuglio di fogli bianchi il classico ragioniere con valigetta al seguito. Capelli laccati, e braccia in perenne movimento. Un televisore, intanto, trasmette immagini che nessuno nota, complice forse il fatto che è stato privato delle corde vocali. Harrison Ford sa giocare a sudoku, e sorride benevolo ad un passeggino che gli attraversa lo sguardo in un momento di calma. Voci sussurrate tutto intorno. Un bambino parla senza accorgersi che mezza sala si sta interessando ai suoi pensieri ancora puri. Imbarco.

Guardo il mare sottostante, e sorrido. Sorrido perché mi rendo conto di come tutte le nuvole all’orizzonte facciano molta più paura quando le si vedono da lontano, così come una città vista dall’alto acquisisca un fascino segreto che solo gli aironi conoscono. Sorrido e ricordo la gioia provata ogni giorno in cui vi siano state nuvole, nella mia anima, e di come siano svanite al calore del sole nella turbolenza del vento. Una pacifica e pacata distesa blu si stende fino oltre il mio sguardo, a coprire ogni sillaba del mio vestire, a sussurrare ogni lacrima del mio dormire. Luce bianca tutto intorno, siamo sopra il cielo, sopra i pensieri, sopra le preoccupazioni. Gli angeli stessi stanno passeggiando al fianco del mio cuore, e mi stanno cullando e gridando sopra queste soffici colline tutte uguali, tutte candide, tutte incorporee ma allo stesso tempo tangibili. Lascio che il caldo si impossessi dei miei pensieri, e scivolo giù nel frastuono delle voglie latenti, lontano dalla mia vita e da tutto quello che conosco o credo di conoscere.

Ho fatto cambio di posto con Harrison Ford. Seconda fila, finestrino di destra. Niente ala, solo tante nuvole. E la scoperta, inattesa a curiosa, di essere sullo stesso volo di Egidio Astesiano. Quello vero. Le nuvole stanno ora svanendo, lasciando il posto ad una distesa blu, sotto la quale intravedo un’isola. Un’altra, in lontananza. Ancora una. Chiazze scure nel varco di nubi che sta scomparendo. Chiudo gli occhi.

Cosa fa fuggire la sicurezza dagli occhi di un bambino? La paura. L’affanno. La noia. Il dolore. Ai grandi l’amore. La paura scompare, con il trascorrere degli anni. L’affanno diminuisce, con il lento dipanarsi delle stagioni. La noia svanisce, sui battiti dei giorni. Il dolore non è mai esistito, e lo possono testimoniare i secondi. Ma l’amore rimane, ci perseguita, ci assale e travolge quando non lo vorremo neanche conoscere, ci ricorda sussurrandoci nelle orecchie che ogni sillaba pronunciata senza di lui è come una foglia nel vento che mai toccherà il suolo. L’amore è una perenne rincorsa per spiccare un salto che non abbiamo il coraggio di affrontare, è una gara perpetua a chi respira più forte dentro le spire di un uragano, è la folle promessa di un paradiso mancato a cui non è possibile fare ritorno.

Mi è stato assegnato un furgone Ford Transit, col quale ho raggiunto Salerno in meno di un’ora. Qui, facce buone mi hanno supportato in quattro ore di lavoro continuativo per installare e configurare strane macchine con luci curiose che si accendono e si spengono. Sto aspettando il pranzo, e poi si torna a Napoli a riconsegnare il furgone. Non avrei pensato di riuscire a far funzionare tutto. Eppure, quando stamattina ho visto Astesiano, me lo sono sentito. Curioso, vero?

Sono scoppiate tutte le lacrime che portavo dentro, e stanno scivolando giù sulle guance alla ricerca del mare. Sono scoppiate tutte le lacrime e non oso più guardare fuori dalla finestra mentre sta piovendo, per paura di vedere il mio volto senza quelle cicatrici che sto cercando di cancellare con illusioni e speranze. Sono scoppiate tutte le lacrime che non sono mai state mie, e le ho adottate come si accoglie un figlio che nemmeno si conosce, quando non ha nulla in cui sperare, quando non si ha nulla da offrirgli. Sono scoppiate tutte le lacrime, quelle stesse lacrime che fino a qualche ora fa erano di proprietà di qualcun altro, e forse non lo saranno più.

Sono riuscito a perdermi lungo le tangenziali di Napoli, mentre cercavo le indicazioni per tornare all’aereoporto. Pensieri folli di un possibile viaggio di ritorno in volo mi hanno attanagliato lo spirito, ma ho resistito strenuamente. Anche perché, appena congedatomi dal furgone, sono arrivati i miei compagni di viaggio e mi hanno prelevato. Sei ore di viaggio, più un’ora e mezza per la cena in un ristorante di Fabro, e tre soste a vari autogrill. Un totale di circa otto ore di viaggio, alla volta di Genova. Ho ritrovato la macchina, ho portato Alf a casa, e mi sono diretto al mio giaciglio in ufficio. A domani, emozioni perenni che non vedo l’ora di incontrare nuovamente. A domani, solerti compagne di viaggio in questa giornata di ventidue ore che è finalmente finita. A domani, ricordi di ciò che potrei diventare. A domani.

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13 dicembre 2005
STRIP 32

546

Il Natale si avvicina... e continuano le strisce con agrifogli.
Ah, che brutto il copia e incolla... :-)

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12 dicembre 2005
STRIP 31

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Inizia il periodo natalizio...

P.S. Che brutto avere lo scanner rotto... devo riciclare i disegni vecchi! :(

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10 dicembre 2005
STRIP 30

544

La fine della trilogia a colori... per adesso!

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9 dicembre 2005
STRIP 29

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Continuiamo la "miniserie" ambientata a Genova...

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7 dicembre 2005
MIDIA

Fuggite da questi suoni che vi confondono l’anima, e rifugiatevi nelle vostre credenze malcelate da luci intermittenti che scompaiono allo svanire della velocità di un suono dimenticato.
Fuggite lontano da tutti quegli sguardi fissi su di voi, e cercate rifugio nelle vostre sicurezze e nei vostri valori creduti affidabili ma di cui non conoscete le profondità. È come vivere un giorno da libellule dopo essersi allenati il cuore ad una vita da camaleonti, condannati dalla natura a rincorrere senza sosta quelle sembianze che celano l’intimità più vera del tuo amore rinnegato.
Fuggite da queste sedie vuote che vi circondano le sensazioni, ricordando a voi stessi che niente di tutto quello che vedete è frutto della vostra immaginazione, così come non potete credere che i suoni a cui avete affidato le vostre speranze si possano dissolvere un giorno nell’incanto di una voce che sussurrerà parole che vorreste non arrivino mai ma in cui sperate secondo dopo secondo.
Cosa vi fa credere di essere migliori di dio? La fiducia mancata non è una scusa, così come non ha senso nascondersi dietro una meridiana a settentrione che segna il cammino del vento quando tutto tace. Sono scomparso nel nulla, ed il nulla mi ha parlato e svelato i segreti del passato prossimo venturo.
Amatevi più di quanto non vi amino gli altri, e rispettate il prossimo più di quanto non vi rispetti lui. O almeno, provateci. Per chi? Non importa. Non a me.

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4 dicembre 2005
STRIP 28

542

Genova è una città stupenda, altro che "giorni tutti uguali"...

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2 dicembre 2005
GENOVA A COLORI

Per qualcuno, Genova è una città in bianco e nero.
Basta in effetti guardare dalla finestra in un giorno di pioggia, per rendersene conto. Basta un temporale autunnale e Genova sembra sparire, avvolta da quella foschia mattutina che però nebbia non è, complici quelle case sparpagliate come per gioco su questo breve tratto della riviera ligure. Due gocce d’acqua, e la città diventa così grigia che lo stesso grigio comincia a sentirsi imbarazzato al confronto. Due gocce d’acqua, e anche l’umore di tutti quegli autisti, che fino a poche ore prima ascoltavano gioiosamente la propria autoradio emettere suoni felici, si trasformano in oscure belve assetate di semafori verdi altrui, di parcheggi blu fantasma, e di assurde rivincite nei confronti di enormi parallelepipedi arancioni che sembrano essere gli unici a voler mantenere un po’ di colore in questa città oramai in preda del bianco e nero.
L’assenza di colore però non si ferma alle giornate di pioggia. Potreste notare, camminando per via XX Settembre con il naso all’insù, come le arcate siano in perenne stato di ricoloramento per colpa delle avversità atmosferiche, del trascorrere inesorabile del tempo, o di entrambi. Adesso sono tutte grigie, sfumate, appassite, e faticate quasi a riconoscere quello che vi doveva essere disegnato fino a qualche anno fa. Potreste, sempre camminando con il naso all’insù, andare a sbattere in una signora tutta agghindata e seminascosta sotto una pelliccia di, speriamolo col cuore ma senza alcuna certezza, finta pelliccia di visone, che vi farebbe scoprire o ricordare all’improvviso quanto possa essere colorito il linguaggio delle persone, anche quando hanno superato i quarant’anni d’età anagrafica.
Genova è grigia anche quando sentite parlare due genovesi riguardo a un terzo genovese. Tutta l’invidia sopita in anni e anni di mugugni malcelati esplodono non appena gli abitanti della città si ritrovano a sparlare alle spalle di qualcuno che non è presente. Brutta abitudine, decisamente molto brutta, che dimostra ancora una volta come sia possibile che per qualcuno Genova sia una città in bianco e nero.
Per qualcuno, invece, Genova è una città a colori.
Bastava infatti trovarsi martedì 29 novembre alla FNAC, quel grande negozione che si trova proprio in fondo a quella stessa via XX Settembre, per scoprire come musicisti e figuri appartenenti allo stesso regno musicale della città siano riusciti a incontrarsi e venirsi incontro nel corso della presentazione della serata GenovaTune, che si terrà il 7 dicembre al Logo Loco di Sampierdarena. Niente discorsi alle spalle di assenti e niente voglia di superiorità o rivalsa, ma solo tante belle idee e voglia di confrontarsi in quello spazio ristretto ma veramente colorato di buoni propositi, miraggio reale in una città allo stesso tempo ristretta ma altrettanto colorata.
Un nuovo punto d’incontro. Una nuova opportunità per trovarsi tutti insieme a parlare dei problemi che affliggono quella realtà sonora che sono i palchi, i negozi, le etichette e perché no anche le radio, di quella Genova che non è in bianco e nero come vorrebbero tutti gli assenti, ma colorata e frizzante come possono testimoniare tutti coloro che, in fondo, credono che la loro città non abbia "i giorni tutti uguali"...

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1 dicembre 2005
TUNNEL II

Stavolta non c’è la neve, intorno, a scendere sul mio spirito bloccato in questo tetro tunnel che niente mostra di sé a chi non ha voglia di guardare e approfondire la conoscenza di se stesso.
Bloccato, fermo, immobilizzato, da cento colossi di lamiere, che fino a pochi minuti fa erano proiettili lanciati a cento all’ora in quelle che sono le vie della vita, in quelle che sono le strade contorte del cammino verso la vecchiaia. Bloccato in mezzo a mille ciclopi di ferro che si lamentano, ruggiscono, cantano e suonano all’unisono come se fossero un’unica mente.
Li guardo con occhio benigno, e li immagino a viaggiare di notte, da soli, con nient’altro se non una radio in sottofondo come compagna per il percorso, e mi accorgo che intorno a me ci sono solo tenebre. Anche scrivere queste poche righe è difficile, nell’oscurità profonda privata della luce di un dio che si è addormentato molto tempo fa e ci ha lasciati in balia di tutti questi giganti innocenti dalla voce roboante.
Scorro poche pagine di un libro, e lo sguardo mi cade sulle amare speranze che da sempre si annidano nel mio fragile cuore, che a volte credo sia invincibile e immortale. Sbagliando.
Si riparte? Forse. Vediamo che cosa ci riserva il futuro. La strada continua.

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