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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Maggio 2010

25 maggio 2010
VIRUS 71

Il passato torna sempre.
E' questo che insegnano i libri di storia, anche se sono oramai un ricordo sopito nella memoria di anni perduti dietro uno squallido banco scolastico. E' a questo che la memoria e lo studio dovrebbero mirare, quando si decide di dedicare l'esistenza al miglioramento di noi stessi. E' questo che alcuni temono più della falce che sappiamo presto o tardi cadrà dal cielo privandoci di tutte le piccole certezze quotidiane. Il passato torna sempre. C'è chi lo evita, chi lo teme, chi lo sa affrontare, chi ne ride con disprezzo, chi lo ignora fino a quell'istante in cui sarà troppo tardi per tornare indietro. C'è chi alza le spalle nella convinzione di poter crescere anche senza imparare, quando invece decresce fino a quella retta orizzontale il cui limite ultimo è la dissolvenza eterna. C'è chi lo ammira al punto tale da impedire al proprio corpo di andare avanti, oramai perso nelle illusioni che quello che è passato non ritornerà e nella convinzione che i magici momenti svaniti sono il massimo a cui potrà mai giungere. C'è chi lo patisce, chi lo vorrebbe dimenticare, chi lo chiama amico e assolutore.
E poi c'è chi al passato dedica un libro.


Prendete una persona che vi ha segnato nel profondo, e confinatela in una pagina bianca. Prendete una persona che vi ha lasciato cicatrici indelebili, che non svaniranno come per incanto al sorgere della luna nuova. Prendete una persona che si colma talmente di boria per il solo essere stata, e iniziate a sillabarla. Lettera dopo lettera, frase dopo frase, le parole andranno a comporre versi che cadranno come incudini su quel passato che non si può e non si deve cancellare, su quel passato che torna sempre ma che ha avuto il solo fine di renderci quello che siamo adesso, e che quindi al suo comparire nuovamente non si troverà di fronte il medesimo carattere di qualche anno fa. Non guarderà negli occhi il piacere di un ricordo, ma il dolore di una sconfitta, il panico di un tempo perfetto che ha oramai cessato di esistere.


Ogni parola scritta su quelle pagine bianche, oramai divenute a colori grazie alla sofferenza e al sangue che trasudano, ogni parola avrà allo stesso tempo lo scopo di redimere e di accusare, di perdonare e di maledire, avrà lo scopo semplicemente di raccontare. Raccontare quello che è stato, raccontare ogni singola goccia di sofferenza svanita, raccontare la merda che. La merda che come un virus è dilagata e ha cercato di contaminare, la merda che come un morbo ha provato a rilassarsi su corpi e coscienze. La merda che è ovunque, in ciascuno di noi, anche quando non ce ne rendiamo conto e ci assolviamo dai nostri più intimi peccati. Ogni parola scritta su quelle pagine bianche avrà le fattezze di una poesia il cui destinatario è soltanto una sigla nelle sabbie del tempo perverso, una sigla che sigilla il mai più al ben più fragile caso. Ogni parola scritta su quelle pagine bianche non sarà altro che un modo per ricordarci ancora, e sempre, quello a cui siamo sopravvissuti, quello che ci ha resi più resistenti, quello che non possiamo ringraziare per tutti i marchi nella carne che ci accompagneranno per sempre.


Il passato torna sempre. E Chiara Daino l'ha attaccato al muro.

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17 maggio 2010
MERDA

Tutto quello che puoi fare è mangiare merda.
Solo questo.
Un'ora, ancora, un misero frammento di colore e dolore, un frammento inodore di tutto quello che ti porti addosso, un frammento perduto di un peso tatuato nel profondo di un vetro scheggiato, un frammento silenzioso di una parola che ti trascini dietro negli anni come se fosse una croce cadavere da cui non riesci a sottrarti. Un'ora, ancora, solo una: continui a ripetertelo, senza sosta, privo del minimo indugio, raccolto nel tuo stesso abbraccio che è troppo stretto per avvolgerti completamente, con le braccia che a malapena riescono a sfiorare la tua stessa schiena. Un'ora, ancora, credetemi tutti: non chiedi altro, non implori niente.
Solo questo.
Sono finiti i tempi in cui ti si allungava una mano per tirarti su da quella sabbia in cui eri finito con la faccia, cadendo rovinosamente mentre cercavi di rincorrere quell'elio che speravi ti innalzasse un poco più in alto degli altri, per riuscire a vedere quell'orizzonte che hai sempre immaginato oltre la tua siepe personale. Sono finiti i tempi in cui eri circondato da sorrisi amici a cui sapevi di non poter nascondere niente, e che ti rispondevano ad ogni respiro, ad ogni dubbio, ad ogni cazzo di debolezza. Sono finiti i tempi in cui lo spazio stesso terminava di esistere, perso nel suo divenire color pistacchio mentre si amalgamava alla perfezione con tutto quello che ti respirava attorno. Voci, grida, sussurri, note, parole, accordi, lacrime, sorrisi, bugie. E' finito tutto, non resta altro.
Solo questo.
Puoi togliere ogni strato ti si pari davanti, puoi graffiare ogni patina cerchi di assorbire la tua vita, come un velo di epidermide che brucia sotto i raggi violenti del sole. Puoi strappare ogni pagina da quel diario che continui ostinatamente a macchiare con le tue gocce di noia. Puoi dimenticare il suono che ti invase la testa quella sera in cui ti accorgesti che eri morto. Morto per te, mentre cercavi di percorrere quel piano inclinato che pensavi fosse il tuo destino. Morto per tuo fratello, che non poteva più sorreggerti nelle tue continue e infinite cadute dal cielo. Morto per la morte stessa, che oramai ti aveva voltato le spalle incurante e sicura come soltanto un ricordo può essere. Puoi togliere quel segnalibro perduto dalle pagine del dolore che ti cresce dentro lo stomaco, e che poco per volta si allarga fino ad andare a coprire ogni organo di cui riesci a malapena a ricordare il nome, figuriamoci l'esistenza. Sei morto.
Solo questo.
Alza lo sguardo, dopo aver socchiuso le dita. Alza la voce, dopo aver sollevato il torace. Alza la testa, e continua a camminare. La morte è solamente un biglietto che si lascia sulla credenza di qualcun altro. La morte è solamente un ricordo che non sarai tu a serbare dentro il tuo cuore nei minuti che ancora ti scorreranno davanti. La morte è solamente un fondo di bottiglia destinato a qualcuno che siede a fianco a te, ogni giorno, tutte le notti, sempre. La morte non esiste, finchè esisterai tu. E nonostante tutto quello che i tuoi occhi possano vedere, nonostante tutte le parole che si possano rilassare sulle tue orecchie, nonostante tutti i gesti che ti possano accarezzare nell'infinito e oltre, tu sarai sempre, e ancora, vivo. Per un'ora, ancora, o per un anno. La disperazione è il succo oltre quella buccia inacidita che hai soltanto iniziato a spellare con le unghie, sanguinando ad ogni millimetro conquistato.
Solo questo.
Non ci sono soluzioni facili, o rese possibili. Arrenditi all'evidenza. Sei vivo, e continuerai ad esserlo per chissà quanto ancora. Non lo sai tu, non lo saprà mai nessuno, quindi puoi anche smettere di cercare risposte sul fondo di quella bottiglia che non è nemmeno destinata a te.
Tutto quello che puoi fare, un'ora, ancora, è sempre e solo mangiare merda.

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