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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Ottobre 2005

27 ottobre 2005
DESTINO

Puoi confondere il fondo di una giornata dallo sbattere delle foglie autunnali sulla tua finestra chiusa, ma non riuscirai mai a sapere dove ti porterà quella briciola di incoscienza che alberga nel più profondo del tuo spirito, e cerca di prendere il sopravvento sulla tua mente, sul tuo spirito, sulla tua anima nei momenti più difficili e neri.
Professa il tuo ostentato ottimismo e piangi sulla scomparsa di persone o cose che non sapevi nemmeno che esistessero fino al momento in cui hanno creato quella voragine da cui non esiste uscita, non esiste assoluzione, non esiste memoria. Professa il tuo ottimismo e non saprai mai che cosa ti sei perso a non guardare negli occhi di quel leone morente, la cui vita è stata così piena che potrebbe essere nato più di mille anni fa, e avrebbe comunque un rimpianto per qualcosa che non è riuscito a fare.
Non piangere sul tuo futuro, sperando in eventi che non sono destinati a te, ma sorridi al presente e vivi tutto quello che non avresti mai pensato ti potesse accadere, perché è di quei momenti che si nutre il mio spirito, è di quelle emozioni che avverto la presenza quando mi perdo nella nebbia di una giornata senza solitudine.
Ho abbracciato il volo di un corvo e mi sono lasciato trascinare lontano, con lui, nel più profondo del suo cielo, per scoprire che non esiste paradiso su questa terra se non si cerca di colorare di blu la lacrima di un pesce annegato nelle sue stesse passioni. Ho abbracciato il volo di un angelo e sorriso con lui ricordando quanti secondi sono passati senza che versassi una lacrima lontana, spazzata dal suono di una piuma spezzata da un bacio sognato, dove tutto è silenzio e nemmeno gli dei oserebbero proferire verbo. Ho abbracciato il volo di un pensiero e mi sono perduto con lui, pensando a quanti sentieri avrebbero potuto seguirlo ma uno solo lo avrebbe soddisfatto fino in fondo.
Ho pianto di gioia sul mio spettro e mi sono svegliato sulla musica di un tulipano risorto, senza sapere il significato dei dubbi che esistono e continueranno ad essere versati invano. Ho pianto di gioia e mi sono ricordato di essere vivo, di essere qui, di essere in grado di capire e di sapere il significato di un bagliore in due occhi incantati, nel momento più alto di un cammino di stenti, con le nuvole bianche a testimoni silenti di un miracolo in corso. Ho pianto di gioia e mi sono spaventato per le mie stesse lacrime, dipinte nel vuoto di un silenzio segreto e segregato nel mio cuore, ove risiede la speranza. La speranza per me. La speranza per te. La speranza per noi.
Vi ho già detto che non credo nel destino?

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16 ottobre 2005
MANO

Trema, pallida mano dalle molte incertezze, per tutto quello che hai scritto e di cui nemmeno ti rendi conto. Trema, fragile mano dalle cinque dita che non riesce a contare fino a sei per paura di affrontare qualcosa che sia al di là della sua portata, che sia al di là del suo fragile tocco. Trema, tremula mano, per tutti i tuoi timori divini che non osi confessare nemmeno ad un foglio bianco che si para indifeso davanti ai tuoi attacchi di coscienza. Trema, piccola mano, di fronte all’immensità di tutte quelle parole che hai ascoltato nella tua vita e di fronte a tutti quegli eventi dei quali sei stata testimone passiva.
Oggi sei ancora qui, pallida fragile tremula e piccola mano, a scrivere parole che nemmeno condividi in pieno, che non sai da dove arrivano, che non conosci per nome, di cui non vuoi sapere il cammino, e che dimenticherai cinque minuti dopo aver donato loro la vita su di un foglio di carta. Hai un potere infinito, hai il dono dell’onnipotenza su qualcuno, e lasci che fluisca su di te senza nemmeno alzare lo sguardo, senza nemmeno ricordare a te stessa che senza di te niente di quello che sta comparendo esisterebbe. Sei un tiranno del verbo che soffre di modestia, sei una carogna della scrittura che pecca di indifferenza, sei un monarca della semantica che non conosce la parola responsabilità.
Ti ammiro, mano. Sei in grado di definire il perimetro di un pianto senza perderti nel calcolo dell’area della lacrima, sei capace di misurare le profondità di un sorriso senza conoscere l’altezza di un dente, sai calcolare a memoria le radici della gioia senza l’aiuto dello schema delle emozioni. Ti ammiro, mano. Vorrei essere come te e riuscire a non essere coinvolto da tutto quello che mi circonda, ma nello stesso istante in cui capisco questo io desiderio mi rendo conto che così facendo perderei il piacere di guardare una foglia che cade, una goccia che muore, un fiore che sorge.
Ti ammiro, mano, ma so che non devo essere come tu nemmeno vorresti, e questo perché se fossi come te allora tu diventeresti come me, e perderesti quello straordinario dono che possiedi. Non cambiare, mano, fallo per me. Continua a scrivere come tu sola sai, quello che vuoi. Io ti accompagnerò, ma di più non posso fare. Lo sai.

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16 ottobre 2005
SOSPIRO RUBATO

Questo è il canto di un sospiro rubato
ansimante, tremolante e malato
che un giorno si staccò dal petto
del suo carceriere
e si librò finalmente in cielo
tra i canti degli aironi
e le grida degli aquiloni.

Questo è il canto di un sospiro rubato
che quando decise di morire
non si guardò alle spalle
nemmeno per un secondo
incurante di tutto ciò
che mai più avrebbe rivisto
e che mai più avrebbe sentito.

Questo è il canto di un sospiro rubato
che un giorno raggiunse il cielo
e prese dimora su di una nuvola
solo per scoprire finalmente
quanto fosse rimasto solo
senza quel suo amato carceriere
dal respiro profondo.

Questo è il canto di un sospiro rubato
e dei suoi rimpianti
da quando si rese conto
che aveva scelto di morire
senza lottare
e che aveva scelto di svanire
senza più tornare.

Questo è il canto di un sospiro rubato
che mai più tornerà sulla terra
per una decisione sbagliata
che segnò il suo destino
e quello del suo carceriere
che morì con lui quel giorno
senza saperne il perché.

Addio, sospiro rubato,
guidaci da lassù con le tue lacrime
perché noi carcerieri
non possiamo far altro
che pianger su noi stessi
per gli errori commessi
e gli amici perduti.

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16 ottobre 2005
CANDELA

Il tenue bagliore illumina e rischiara quel buio angolo della stanza. La fiamma oscilla, insicura ma ferma, ancorata a quel filo nero che è la sua unica certezza di vita e d’esistenza, mentre attorno a lei tutte le ombre tremolano e vibrano ad ogni suo respiro, ad ogni sua carezza. Lentamente, il silenzio tra quelle pareti bianche sembra svanire, e tutta l’aria si colma di grida silenti che sferzano il nulla con le loro diagonali disegnate da una mano malferma che traccia segni sulla sabbia del tempo. Uno strano calore inizia a diffondersi tutto intorno, ed il colore autunnale della candela va a riempire anche quegli spazi vuoti che soltanto un bacio tradito potrebbe ricordare. Una sguardo insistente sopra tutto, uno sguardo di pace e sufficienza, uno sguardo d’amore e di compagnia, uno sguardo che non lascia spazi per l’interpretazione ma che può significare solamente ogni singolo singulto di un cerbiatto morente, nel suo letto di spine che non rivedrà domani.
Ho aperto gli occhi e tutto intorno a me si sono parate immagini di pianeti in collisione, di esplosioni di galassie lontane e di incredibili viaggi interstellari. Ho aperto gli occhi e ho visto una lacrima crollare dagli occhi di una mosca lontana, quando la forza delle sue ali non bastava più per farla tornare dove riposa il suo cuore, e ho scoperto in me la forza di piangere, ed ho scoperto in me il coraggio di soffrire per qualcuno che nemmeno conosco.
La candela si è placata, immobile, e ora quel triangolo di fuoco che non è altro che la punta di tutto quello che è rischiara le mie scelte passate con una chiarezza che non riesco a definire, ed illumina i miei errori futuri con un sorriso che mi riempie di terrore primordiale. Come posso fare per tenere accesa questa candela anche quando il vento inizierà a soffiare, implacabile, sul mio destino e su tutte le mie certezze? Non esiste riparo all’alito degli eventi, non esiste rifugio da quelle strane coincidenze che possono essere riassunte in un’unica parola: caso. Non esiste soluzione tangibile. Non esiste su questa terra. Non esiste in questa vita. Non esiste per me.
Ma esiste questa candela, che continua a gettare la sua luce anche negli angoli più bui della mia più buia essenza, senza che io l’abbia mai chiesto, senza che io l’abbia mai capito. Esiste questa candela, e tutti i colori che trasmette, e tutti i suoni che produce, e tutte le voci che prima o poi imparerò ad ascoltare. Sei tu, candela, che mi aiuti ad andare avanti, giorno dopo giorno. Sei tu, candela, che mi illumini il cammino a costo della tua stessa vita. Cosa avrò mai fatto di buono, per meritarti? Ti prego, non spegnerti. Mai.

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15 ottobre 2005
FINESTRA

Immagino di alzarmi una mattina. Apro la finestra. Un brivido di freddo mi scorre lungo la schiena per l’aria fredda che è appena entrata a tradimento nella mia camera, passando di fianco a tutti quei cimeli di una vita che ho accumulato e che mi ricordano di essere vivo, di avere un passato, di aspirare ad un futuro migliore, prima o poi. Apro la finestra e davanti a me si para lo spettacolo di una giornata che deve ancora cominciare, il panorama di un grappolo di ore che devono ancora essere strappate e gustate una per una, i colori di tutte le persone che potrei incontrare e che mai rivedrò. Apri la finestra e sorrido ripensando a tutti i sogni che mi hanno assalito e tenuto compagnia durante la notte, quei sogni che mi continuano ad illudere di essere una persona speciale, e non una semplice cifra in un triste mondo di numeri, e non l’ultima lettera di un alfabeto che oramai nessuno pronuncia più. Apro la finestra e scopro di stare pensando a quanto io sia fortunato nella vita e quanto poco me ne accorgo, al punto che non saprei nemmeno dire se mi sento un povero illuso od un ricco disincantato, ma in fondo non credo che importi. Apro la finestra ed i capelli mi si gelano leggermente, quasi impercettibili sotto l’influsso di quel cinguettio di un giovane passerotto che passava di lì per caso. Apro la finestra, e me ne rendo finalmente conto.
Ho passato ventisette anni della mia vita a rincorrere obiettivi che non erano i miei, a sognare illusioni che non sarei mai riuscito a raggiungere perché nel momento stesso in cui li pronunciavo, erano già scolati via in quel maledetto tombino arrugginito che ci segue ad ogni passo della nostra esistenza. Ho sempre cercato di essere la persona che non sono, preoccupandomi più di come venivo visto che di come io stesso mi stessi vedendo, solo per scoprire di volta in volta che guardandomi allo specchio non erano i miei occhi che stavo fissando, ma quelli del mostro che sarei voluto diventare ma non riuscivo ad essere. Ho capito che tutti gli errori che io possa aver commesso nella mia vita mi hanno portato a tutto questo, a respirare come respiro, a scrivere come scrivo, a vivere come sono. Ho capito che tutti gli errori vengono per nuocere ma allo stesso tempo per permettermi di rimediare a qualcosa d’altro, qualcosa che forse avevo già sbagliato in un’altra occasione, qualcosa che vorrei imparare ma forse ne ho troppa paura per voler rischiare.
L’amore. Apro la finestra e, tra un brivido di freddo ed un ricordo oramai svanito, guardo negli occhi l’amore. Sorrido. Apro la finestra e, per una volta, so che cosa sto cercando. So che cosa sto guardando.

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15 ottobre 2005
STOPPA

Saltate, correte, gettatevi via
il più lontano possibile
da quel maleodorante fardello
che è la vostra amicizia
nei confronti di dio.

Voi siete soltanto dei pezzi di stoppa
che qualcuno ha voluto cucire insieme
in un caldo giorno di follia
quando ancora la nebbia non esisteva
nel sempreverde parco della vostra esistenza.

Il vostro scopo nella vita
e essere scelti ed essere regalati
e mai nessuno farà caso veramente
alla profondità dei vostri occhi
alla profondità del vostro sguardo.

Condannati alla nascita
ad essere strumenti di gioia
avete scoperto la noia di uno scaffale
o peggio, l’oscurità di un cimitero
sepolti a fianco della persona che non avete saputo consolare.

Cosa mai potreste voler chiedere
a quelle mani bastarde
che vi hanno regalato il dono della vita
quando voi non l’avreste mai voluta
quando voi non l’avreste mai chiesta?

Perdòno, pietà, rancore
per tutto quello che portate con voi
e nessuno comprende fino in fondo
pietà, perdòno, rancore
e forse niente più.

Saltate, correte, gettatevi via
se ci riuscite, ovviamente,
perché ci sarà sempre qualcuno
che allungherà le mani verso di voi
illudendovi ed illudendosi per l’ennesima volta.

Siete soltanto pezzi di stoppa
ma cosa volete di più?
Una casa, un cuore, e una famiglia
già l’avete,
accontentatevi.

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15 ottobre 2005
FOGLIO

Ho trovato un vecchio foglio impolverato, nei più oscuri e reconditi baratri della coscienza della mia casa, e ho iniziato a leggere. Vi erano scritte parole oscure, parole di rabbia e di paura, parole che incitavano a raccogliere le ultime candele da quella tetra chiesa quotidiana che è la nostra vita, e gettare tutto al vento per poi ricominciare da capo, parole che avrebbero spaventato anche il più temerario degli uomini e la più impavida delle donne, parole fantasma, parole dannate e condannate da un qualche dio a restare segrete e segregate per l’eternità.
Ho trovato questo vecchio foglio impolverato e ho cominciato a scrivervi sopra, ad aggiungere il mio dolore a quello di chissà quante altre anime prima di me, in chissà quali tempi. Ho cominciato a scrivere e dal mio cuore sono usciti fiumi di lacrime in piena, cascate di emozioni abbandonate e mai più riaffiorate dal giorno in cui le seppellii, pozze di ricordi che oscurano la vista e annebbiano le volontà.
Ho ricordato tempi e luoghi trapassati, ho rivisto suoni che credevo di avere dimenticato, e parlato in silenzio a voci che non esistono se non nella mia mente. Ho pensato ad infinite rette parallele che attraversano quel punto di non ritorno che è l’acquisizione della coscienza, e mi sono costretto a dimenticare tutto quello che di buono io possa aver commosso nella mia ancora breve vita, per poter essere in grado di ricominciare da capo ancora, di nuovo, per sempre.
Caro vecchio foglio impolverato dal tempo, quante cose avrei da raccontarti nel calore di una serata estiva sotto il tenue calore di una stella cadente, e quante emozioni so che tu mi potresti narrare di tutte le parole che avrebbero potute essere vergate sopra di te, ma non sono mai nate nella mente di nessuno. Mi soffermo a pensare su quest’ultima intuizione, e mi chiedo se tu sia soddisfatto della tua vita, del tuo scopo, di questi segni scuri che poco per volta stanno comparendo sulla tua bianca superficie, e sorrido. Sorrido perché mi sono accorto che io sono come te. Sorrido perché mi sono reso conto che sono anche io un pallido foglio bianco su cui qualcun altro sta tracciando i segni del mio destino, ed io non mi accorgo nemmeno che per quanti segni neri vi possano essere nella mia vita, la maggior parte di un foglio bianco resta pur sempre il foglio bianco stesso.
Scrivete pure su di noi, miseri rettangoli anonimi di carta il cui unico scopo sembra essere quello di colmare la vostra rabbia, le vostre ire, i vostri timori. Scoprirete soltanto che noi saremo ancora lì dopo il vostro passaggio, per sempre. Noi saremo ancora lì, per chi vorrà leggerci e, perché no, anche per chi vorrà lasciare un segno su di noi.

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15 ottobre 2005
VECCHIO

Sei vecchio. Hai vissuto pienamente la tua vita e ora sei diventato un vecchio, brontolone, irascibile, come tanti altri prima di te. Sei vecchio e non hai neanche più l’impegno di dover decidere che cosa fare della tua vita e del tuo futuro, delle tue speranze e aspirazioni. Ora che sei vecchio non hai più doveri nei confronti degli altri se non quelli che tu stesso ti imponi, ma hai in più una nuova forza, un nuovo potere. La forza dei ricordi. Il potere dell’esperienza e della memoria, della saggezza e della morte.
Ora ti basta chiudere gli occhi per cinque secondi e davanti alla mente ti si parano visioni passate e volti di persone conosciute, ti basta chiudere gli occhi per cinque secondi e i tempi perduti ti sommergono come un fiume in piena il giorno dopo un diluvio parziale. Chiudi gli occhi e lasci andare il tuo cuore a quelle sensazioni, a quel calore che ti riscalda lo spirito, a quelle memorie che nessuna malattia potrà mai portarti via, perché sono talmente radicate nel tuo più profondo essere che tanto varrebbe cercare di sradicare una quercia centenaria. Chiudi gli occhi e ricominci a sorridere, perché sei in un altro tempo, in un’altra era, tra amici passati e forse ancora presenti, tra oggetti dimenticati o gettati via dagli eventi. Continui a sorridere per giorni, mesi, anni, continui a sorridere anche quando tutti i tuoi creduti parenti ti abbandonano in una casa di cura sperduta, anche quando ti accorgi di essere circondato solamente da perfetti sconosciuti che non chiedono altro che la tua morte per potersene andare al bar, tra i loro amici, a scherzare e accumulare ricordi fino a quando giungerà finalmente il loro turno di crepare, il loro turno di essere abbandonati, il loro turno per morire.
Sei ancora vecchio ma hai la forza di sopportare tutto questo, perché ci sei già passato, perché hai vissuto la tua vita, accumulato i tuoi ricordi, scartato i tuoi errori, pianto sul tuo futuro che è ormai svanito e non tornerà più. Sei sempre più vecchio, ma non ti importa di esserlo, perché niente ti può più toccare senza il tuo permesso, senza la tua volontà.
Benvenute, memorie, ora siete voi le compagne più fidate. Bentornati, ricordi, ora siete voi gli unici amici di quel vecchio che non chiede altro che un momentaneo istante di pace, per potersi abbandonare a voi, e serenamente addormentarsi. Tra due guanciali ed un soffio di sorrisi. Tra un bacio d’addio ed una lacrima di gioia. Buonanotte.

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6 ottobre 2005
PIANTO

Cammina e urla
punta il dito verso gli altri
e urla il tuo odio rappreso
perché non esiste assoluzione
per quello che provi
e che sei
e a niente serviranno
tutte le accuse
gettate nel vento di un vicolo
quando le tenebre sono ormai
tutte attorno a te.

Cammina e urla
scappa dal tuo dolore
come i passanti
fuggono dalle tue parole feroci
che feriscono come lame
ma sono puntate su di te
e non svaniranno domani
quando al tuo risveglio
altro non avrai al tuo fianco
se non le tue stesse colpe
ed i tuoi soliti peccati
che rinnegasti quando nascesti
e che ti ritornano indietro
a ogni sospiro saturo d’alcool.

Cammina e urla
ma non rivolgerti a me
perché non otterrai quella pace
che cerchi
e che mai troverai
perché ti sei tradito
nel più profondo di te
e non credo che tutto l’odio del mondo
possa portarti soccorso
quando l’unica persona che vorresti insultare
è l’unica che non puoi vedere.

Tradito
nel tuo spirito
tradito
nel tuo cuore
tradito
ecco cosa sei
ecco come ti senti
quando ti guardi allo specchio
e vedi due occhi
che non sono i tuoi
colmi delle stesse speranze
e delle medesime illusioni
che nascono dai sentimenti
che cerchi di sopire
ma non riesci a seguire.

Pensa all’erba che cresce nei campi, e guarda negli occhi di quello stelo che non crede ancora all’ineluttabilità del suo destino, e rifletti. Tu sei come quel filo verde che un dio malato ha voluto legare al suolo e negare a me, tu sei come quel filo verde il cui unico desiderio è rincorrere il vento e sfumare via lontano, dimenticato da tutto e da tutti, dove neanche tua sorella l’erba potrebbe riconoscerti. Hai condannato la tua esistenza intera nello stesso istante, e ne sei uscito perdente. Te ne sei reso conto? Lo sai, vero? Sorridi. È quello che sai far meglio. Sorridi più forte. Riuscirai a nasconderti anche da te stesso.

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5 ottobre 2005
RIMANI

Mi sono bruciato le mani
per toccarti il viso
e sfiorare quelle lacrime nere
che macchiavano i tuoi occhi.

Mi sono bruciato le mani
per suonarti canzoni
le cui note potessero vivere
dentro il tuo cuore.

Mi sono bruciato le mani
per non averti offerto me stesso
nel tempo che è ormai svanito
e mai tornerà.

Mi sono bruciato le mani
per scriverti parole
che non ho pronunciato
per paura di soffrire.

Mi sono guardato le mani
e ho scoperto che sono ancora lì
al loro posto
per cui nulla è andato perduto
se non un altro giorno
l’ennesimo giorno
svuotato dall’essenza di te
che sparirà domani.

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4 ottobre 2005
PANDEMONIUM

Sei crollato sulla terra
svenuto per il paradiso che hai appena perduto,
sei crollato sulla terra
e hai urlato al cielo tutto il tuo rancore,
sei crollato sulla terra
e hai maledetto il giorno
in cui hai osato ribellarti a tutto quello in cui credevi
e che speravi fosse vero
ma erano solo finzioni
tutte finzioni.

Cosa speri di trovare su questo suolo vergine,
cosa speri di raggiungere con tutti i tuoi propositi,
quando anche i tuoi fratelli
ti hanno voltato le spalle
e abbandonato al tuo destino
di reietto dell’immenso.

Sei solo.
Condannato a restare solo.
Sorridi.
Avrebbe potuto andare peggio.
Avresti potuto incarnarti in un essere imperfetto,
un essere che continua ad anelare alla felicità
quando nemmeno si accorge di averla già davanti,
un essere che piange lacrime di egoismo
e sorride dei suoi difetti,
un essere che ricorda di essere vivo
solo quando è a due passi dalla morte,
un essere che rinnega la sua stessa esistenza
non appena scopre di essere sveglio.
Saresti potuto diventare un uomo.

Cosa speri di trovare su questo suolo vergine,
ancora incontaminato da tutte le tue idee
e le tue convinzioni degne di un angelo
a cui nessuno crede più,
a cui nessuno rivolge nemmeno
una piccola preghiera.

Sei in buona compagnia.
Non te ne rendi conto
ma tutto quello che vedi intorno a te
è solo lo specchio di quello che sei dentro
e che nessuno conoscerà mai,
tutto quello che provi
e che senti nel più profondo del tuo essere.
Sei diventato quello che più temevi,
quello che più disprezzavi,
che più deridevi.
Sei diventato un uomo.
Sorridi.

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3 ottobre 2005
LUCE

Fermo, immobile. Le gocce gli scivolano dolcemente sopra, colano lungo il suo corpo, e cadono finalmente nel lago lastricato che giace ai suoi piedi. Un tenue bagliore di luce esce dal suo interno, come a giustificare la sua presenza in quell’oasi di solitudine che lo circonda, che lo avvolge, che lo nasconde alla vista di tutti.
Eppure lui è sempre lì. Fermo, immobile. Mille gocce sono già cadute attorno a lui, ma solo un centinaio l’hanno colpito. Cento colpi che sono come sussurri al vento ma che messi tutti insieme potrebbero piegare anche la più ferrea volontà del più risoluto degli essere viventi di questa terra. Eppure lui è ancora lì. Fermo, immobile. Ha un compito, e lo sta portando a termine nel più fedele e indiscutibile dei modi.
Tutto intorno a lui l’aria si sta facendo fredda, e i colori del giorno stanno cedendo il posto alle affascinanti tenebre della sera. Anime in pena continuano a correre ai suoi piedi, e non lo degnano nemmeno di uno sguardo. Lui che è sempre nello stesso posto da anni, senza la possibilità di vedere il mondo, di conoscere altri luoghi, di vedere altri come lui se non in lontananza, quando la nebbia non è ancora calata.
Fermo, immobile. La sua vita di lampione è destinata a svolgersi ogni giorno allo stesso modo. Accensione, spegnimento. Accensione, spegnimento. Accensione. Per sempre così. Per sempre fermo. Immobile.
Le gocce continuano a cadere, e sembrano quasi voler rigare la sua pelle ferrosa, la sua anima esteriore che praticamente scompare sotto quei colpi che provengono dal cielo. Le gocce continuano a cadere, e nascondono il suo tenuo colore a tratti, a righe, a momenti. Schizzi di dolce acqua saltano, volano, rimbalzano sui suoi vetri, sulle sue punte, sul suo spirito. Schizzi di dolce acqua che sembrano voler penetrare nel più profondo del suo cuore, là dove la luce non è ancora arrivata e forse non arriverà mai, perché non basta una misera lampadina ad illuminare l’oscurità dei suoi pensieri irrisolti.
Lo vedo piangere, e riconosco le sue lacrime. Non sono gocce che cadono dal cielo e scivolano giù, lungo la sua pelle grigia e scolorita. Non sono frammenti di cielo che un dio ha fatto cadere nell’attimo in cui ha squarciato un astro dimenticato. No, sono lacrime vere quelle che vedo in questo momento. Sono lacrime. Le sue lacrime. Lacrime di noia, per un’altra giornata passivamente vissuta. Lacrime di boria, per sentirsi utile a qualcosa in un mondo superficiale e stanco. Lacrime di gioia, per essere circondato da tante gocce che nascondono sempre di più le sue lacrime di noia, di boria e di gioia.
Fermo, immobile. Ieri era là, e domani vi sarà ancora. Se il caso, il fato o il destino vi porteranno ai suoi piedi, ricordatevi di alzare lo sguardo verso di lui, e rivolgergli un pallido sorriso. Ve ne sarà riconoscente. Sul serio. Saprà che tutte le lacrime che ha versato non sono passate inosservate, e che qualcuno ha ancora il coraggio di saperle distinguere da gocce di pioggia che a milioni cadono dal cielo, ogni giorno. Saprà che tutte le lacrime che ha versato non saranno state inutili, e che ha ancora una speranza. Sarà sempre lì, fermo, immobile, questo si. Ma con una piccola speranza nel cuore.
E chi siete, voi, per volergliela negare?

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2 ottobre 2005
ZETA 03.07

Ho piantato un chiodo nella carcassa del sole, solo per scoprire per l’ennesima volta quanto siano amare le lacrime trattenute e non versate, solo per ricordare come anche le tue certezze possano crollare miseramente ogni volta che cerchi di aprire il tuo cuore a qualcosa di nuovo e inaspettato.
Ho piantato un chiodo nel cadavere di un raggio di luce e mi sono ritrovato nell’oscurità più totale, quella stessa oscurità che ogni tanto mi illudo di essermi lasciato alle spalle e invece mi si para davanti al viso non appena commetto l’errore di abbassare la guardia.
Ho piantato un chiodo nel suono della vanità e mi sono ricordato dell’importanza delle proprie sensazioni, quelle che ti avvertono quando qualcosa sta per andare male, quelle che ti avvisano quando non ci sono più appigli visibili nel gran muro bianco della tua pallida vita.
Ho piantato un ultimo chiodo nei segni sbiaditi di una lacrima versata, e mi sono ricordato che non si deve mai chiedere quello che non si può ottenere, e non si deve mai aspirare a quello che ti è stato negato dalla sorte.
Lasciatemi a me e ai miei chiodi e non vi disturberò più.
Lasciatemi a me e ai miei chiodi e vi prometto che non si sentirete più sussurrare parole al vento che possano portare speranze di serenità o illusioni di salvezza.
Il mio dio è morto, e ho appena trovato il coraggio di presentarmi al suo funerale.
Voi, dove eravate?

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