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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Luglio 2009

30 luglio 2009
BOVARY

Il mercato è avanzato talmente tanto che s'è imbastardita la merce, e ora vi sono venditori per tutte le vie, ad ogni angolo della strada, lungo ogni marciapiede, laddove una volta c'erano solo puttane e papponi. Chi paga per questo ottiene soltanto un misero appagamento, e ne vuole ancora, ne vuole di più, sempre di più, fino a colmarsi l'empia gola di quella merda che in altri tempi sarebbe stata riconosciuta per quello che in effetti è: merda. E ho scritto merda in minuscolo apposta, perchè merita il niente, il nulla, il vuoto più assoluto e monarchico che esista.
Chi cerca di toglierci quella merda di bocca è un Missionario, una persona che ha abbandonato tutto della propria vita per portar avanti il credo che rischia di annullarlo ogni giorno, ogni ora, ogni fottuto secondo. Un Missionario il cui scopo è cercare di sollevare le Vostre teste, cercare di chiudere le Vostre bocche, cercare di lavare i Vostri piedi da tutto il fango che hanno calpestato, e per farlo è disposto ad usare la Sua vita, il Suo corpo, e per cosa poi? Per essere deriso, o per essere lodato con quelle pacche sulle spalle che oramai si concedono anche ai randagi che sopravvivono fuori dall'uscio di casa.
Ma ne vale la pena?
Perchè è di Pena che stiamo parlando, è di Pena che stiamo scrivendo. Ne vale la Penna? Pensa. Pensaci fosse solo per un centinaio di secondi, pensaci per poco più di un minuto, pensaci per tutta la tua vita, con tutto il tuo corpo. Chi sei tu, per cercare di trascinare nel tuo fango anche quel Missionario? Dipingiti pure tutto di bianco per immacolarti faccia e coscienza, ma sappi che prima o poi verrà anche il tuo turno. Prima o poi anche quel tuo bianco dovrà impallidire, e cadere in frantumi di fronte a Lei. Crepa. Crepa, dunque. Crepa e porta con te tutta quella merda che hai mangiato giorno dopo giorno, senza sosta, finchè hai avuto la convinzione di essere qualcuno. Crepa e sparisci in un gioco di fumo e polvere, in una danza di luci povere di spirito, proprio come te.
Adesso.
Poggia quella merda dove l'hai trovata. Rimettila al suo posto, rimettila dove l'hai trovata, rimettila ai tuoi creditori. E prova [prova soltanto] ad alzare lo sguardo. Non ti chiedo ci cercare di raggiungere la linea dell'orizzonte, forse per ora è ancora troppo presto. Ma a piccoli passi, chissà. Solo, non metterci troppo tempo. Non aspettare troppo, perchè quel Missionario non sarà sempre lì, pronto per te, disponibile per i tuoi capricci. Alzati. Alza il culo. E' l'unica ginnastica che ti viene chiesta.

Ok, forse l'unica no. C'è anche un altro movimento che dovrai imparare: portare i fogli di carta al giusto Mercante, all'onesto Missionario. ADESSO.



[Risposta a QUELLA PUTTANA DELLA BOVARY...]

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26 luglio 2009
COME QUANDO NON PUOI RIDERE - YES WEEKEND

Quanto un musicista è influenzato dalla musica che ascolta, nella composizione dei propri brani? Non esiste una risposta precisa: a volte le influenze sono vaghe, a volte palesi e schiette. Ci sono artisti che affermano di non ascoltare niente di niente per non restare compromessi nel momento della creazione [oh, mendaci voi!] e altri che riescono a sciorinare elenchi infiniti di nomi che nulla hanno a che fare con il genere che alla fine fuoriesce dal disco. Ovviamente è un puro fattore soggettivo, ma non si può negare che, se una persona predilige ascoltare un certo tipo di musica dal mattino alla sera, questa poi non si possa notare in qualche modo, più o meno esplicitamente, sul prodotto finito. E quando questo capita, come per i Come Quando Non Puoi Ridere, non può che essere un piacere.

Sul loro spazio myspace il gruppo si definisce folk stoner, ma è una definizione che sta decisamente stretta al gruppo genovese: composizioni articolate che partono da una matrice rock, per andare a sconfinare ben presto in ambienti crossover con qualche indefinito sapore prog. Canzoni di non facile definizione e assimilazione, infatti, sono quelle che compaiono sul loro demo d'esordio Yes weekend. E non posso farci niente, ma il richiamo che più mi viene in mente è proprio quello dei Faith No More, con l'eclettismo vocale del cantante che spesso e volentieri si ritrova a percorrere i cammini che tanto furono cari a Mike Patton. Certo, il brano C.Q.N.P.R. ha anche sonorità e ritmiche che richiamano alla memoria i Fates Warning di One, ma non è in questa direzione che il gruppo ha deciso di incamminarsi per trovare una propria identità ben definita. Una identità personale, contornata dall'uso di chitarre distorte e pulite che sanno fare il loro mestiere nell'incastrarsi alla perfezione nella trama delle canzoni. Una identità che li porta anche ad accarezzare timbriche tipiche di Capossela in Palude, con la voce portante che subito dopo l'intro circense va a coprire territori che sarebbero più appropriati in un Pelù d'annata. Una identità che non disdegna l'utilizzo di cori per enfatizzare ritornelli mai immediati, su testi incisivi e penetranti.

Sei tracce, sei canzoni che dimostrano una maturità compositiva difficilmente eguagliabile [ma d'altra parte i musicisti non sono fioriti fuori dal nulla, e arrivano da altre esperienze sui palchi liguri] ed estremamente varia, impreziosita da una registrazione non raffazzonata ma che è all'altezza della struttura dei brani e che va ad aggiungere punti al risultato finale del gruppo. Sei canzoni, una differente dall'altra. Sei canzoni, con la conclusiva Accappella che sembra quasi un gioco dei Mr Bungle [e qui si ripresenta lo spettro ed il plettro di Patton] dalla breve ma incisiva durata.

Non soddisfatti dalla loro proposta, inoltre, il gruppo non disdegna esibizioni acustiche in cui i propri brani vengono sciolti ed alterati fino a raggiungere una nuova dimensione che aggiunge spessore e corpo ad un'entità che, anche se nata da poco, sa già camminare sicura sulle proprie gambe. Ma il discorso "interpretazione acustica nei live" è troppo lungo da trattare adesso, quindi...

Quanto un musicista è influenzato dalla musica che ascolta, nella composizione dei propri brani? Non esiste una risposta precisa, ma i Come Quando Non Puoi Ridere hanno dimostrato di saper riprendere quanto è a loro caro per poi riuscire a concretizzare canzoni nuove ed originali. Restiamo quindi in attesa di un disco completo, nella speranza che trovino anche il modo di uscire da una Genova che, sempre di più, castra e incastra i propri musicisti.

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25 luglio 2009
LILIUM - OTHERS

Nebbia tutto attorno.

Non so dove sto andando. Non lo so. I passi mi trascinano come sotto l'effetto di una lunga trance per questi boschi oscuri, e tutto attorno a me ci sono solo ombre. Ombre di alberi morti, ombre di un sottobosco fantasma. Ombre massicce e pressanti, che sembrano assumere forme distorte e cercano di lambire il mio perduto cammino. Lo sguardo si sposta, incerto, alla ricerca di qualche sicurezza che è oramai venuta a mancare. Tremo nel più profondo del mio essere, e sento da lontano provenire una melodia pulsante, sulle ali di uno sciame di libellule cadaveri. E' una melodia sognante, una melodia pesante, è una melodia ancestrale e allo stesso tempo moderna, con sbalzi d'umore e di gradazione cromatica.

La nebbia si infittisce.

Chitarre acide che assumono spinte suicide e diventano soffuse e melliflue nel giro della stessa canzone. Alzo una mano nelle tenebre per cercare di afferrare quei suoni che mi stanno trapanando il cervello, quella voce che ora sussura e ora urla fuori dalla gola la sua rabbia graffiante. Alzo una mano cercando di fermare i miei passi, ma è tutto inutile: la mia volontà mi sta conducendo, senza alcuna possibilità di opposizione, verso una destinazione ignota. La musica aumenta, assume sempre di più pulsazioni che mi riportano alla mente quel cuore malato. Il suo cuore malato. Chiudo gli occhi con tutta la forza possibile, al punto che quasi mi lacrimano le palpebre, e urlo. Urlo la mia preghiera fuori dalla gola. Urlo che quelle note cessino subito, urlo che quelle note non si fermino mai.

C'è solo più nebbia.

Pausa. Mi fermo. La musica sembra voler rallentare per un attimo, e lascia intravedere oltre quel respiro ansiogeno che fino ad allora l'aveva caratterizzata. Ma non è un momento di respiro tranquillizzante, tutt'altro: sento l'angoscia che germoglia dentro il mio cuore, e cerca di farsi strada attraverso tutte le arterie. E il riposo è solo un'illusione temporanea, destinata a svanire subito: il muro incorporeo di suoni ricomincia, e sembra volermi prendere per mano. Mi abbandono completamente ad essa, e mentre corro veloce attraverso gli alberi, con i rami che mi graffiano in viso ricordandomi di essere vivo, scopro di non essere mai stato in grado di camminare. Sto correndo verso un percorso che conosco perfettamente, ma di cui ho perso i ricordi. Le canzoni che continuano a echeggiare lasciano un percorso di nostalgica ed eterea passione che riesco a seguire, e che non lasciano spazio a sensazioni di gioia. Sento una contrazione, e d'un tratto so di essere arrivato a destinazione. Ruggisco fuori tutta la fatica, e guardo il sole che è finalmente sorto, proprio davanti a me.

La nebbia è svanita.

Sono restati solo i Lilium. Fatevi accompagnare anche voi nelle foreste perdute della vostra coscienza, potrebbe valerne la pena. Are... you... ready?

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22 luglio 2009
RUBEN SPERA - VERTIGINE

Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso.


Come scrisse Stephen King, a volte ritornano. Serbo ancora pessimi ricordi del demo precedente di Ruben Spera, e quando mi è capitato tra le mani il suo nuovo lavoro devo confessare di essere stato preso da un pizzico di sconforto. Di paura. E due gocce di sudore hanno iniziato a colare dalla fronte. Invece, fortunatamente, i brutti presentimenti non sono stati confermati dall'ascolto di questo Vertigine.
Due canzoni immediate, semplici e istantaneamente memorizzabili grazie alla loro appartenenza ad un pop/rock radiofonico, mi hanno decisamente sorpreso per la loro freschezza e per aver abbandonato quella dimensione forse un po' troppo dance e banale che Ruben aveva assunto in precedenza. La traccia Vertigine che sigla il titolo all'album è più lenta della successiva Xkè non mi vuoi?, ma in entrambe si delinea una matrice più energica che dona spessore e maggior grinta ai brani, che quindi non stancano al superamento del terzo minuto consecutivo. Una ballata ed un brano più veloce: ottima scelta, per un demo composto da due sole canzoni.

Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.


Okay, non è un disco perfetto, chiariamo subito. Non ci sono idee particolarmente originali, la registrazione non è delle migliori, la voce risulta perfino stentorea in qualche passaggio. Ma nonostante tutto, quando il lettore cd si ferma al termine delle due canzoni, viene voglia di farlo ripartire. I testi sono lineari ma non triti e ritriti, le composizioni non brilleranno di luce propria ma hanno il pregio di non spossare l'ascoltatore. E quindi?
E quindi un consiglio. In questo disco io vedo delle possibilità. La crescita c'è stata, in questi anni. L'unica riserva che ho, a questo punto, è sulla voce che proprio non mi convince: in più di un passaggio fatica ad arrivare alla tonalità giusta, e si capisce che si sta sforzando non poco. E se Ruben provasse ad affidare le sue canzoni a qualche interprete, o ad affiancarsi una seconda voce [magari femminile] che possa offrire quel trampolino che gli manca per spiccare il volo?

E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.


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20 luglio 2009
FESTIVAL DELLE PERIFERIE

Quando a Genova torna a picchiare il caldo, la citta' sembra svegliarsi dal torpore che la caratterizza d'inverno, e assiste allo sbocciare un po' ovunque di piccole manifestazioni musicali: sono i festival estivi. Festival che donano respiro ad un capoluogo sempre piu' silenzioso, ad una citta' sempre piu' dimenticata dai pentagrammi musicali. Festival che possono essere piccoli e sparire nel giro di una marea, oppure diventare una sicurezza nel panorama ligure, esattamente come accade per il Festival delle Periferie, che anche quest'estate torna nello splendido parco di Villa Rossi a Sestri Ponente.
Le recensioni delle serate avverranno in diretta da sotto il palco, minuto dopo minuto, canzone dopo canzone. Pertanto: restate sintonizzati! E se per qualche motivo non sarete riusciti ad essere qui con noi, sara' nostro compito e nostro piacere il rendervi partecipi ugualmente.

VENERDI' 17 LUGLIO

Ore 20:51. Grigio il cielo, con gli uccelli che volano basso e il vento che spira verso i monti. Grigio il cielo, ma nonostante il tempo minaccioso, i concerti stanno per prendere il via.

Ore 21:15. I Palconudo salgono sul palco e riescono a malapena a iniziare la prima canzone che la pioggia riprende a farsi viva, interrompendo l'esibizione. E' un peccato, perche' la comparsa di una seconda voce maschile era arrivata ad impreziosire il sound sognante del gruppo.

Ore 21:37. Smessa le gocce, il concerto e' ricominciato e per fortuna i Palconudo sono riusciti a esprimere tutta la loro arte, anche se i brani sono stati fin troppo pochi. Belle le sonorita' nufolk, impreziosite da un flauto e da una fisarmonica che vanno a riempire gli spazi lasciati vuoti [vuoti?] dai classici strumenti rock. Il contributo della seconda voce, maschile, ha donato uno spessore gradevole che ha fatto danzare il pubblico presente, ancora troppo poco per il timore di bagnarsi.
Ore 21:48. Di passaggio, per il plauso perche': L8 e' ancora: il corpo nudo della Musica!

Ore 21:55. I Kl.Audio prendono possesso del palco e iniziano la loro proposta di rock altenativo, con un cantante fuori dalle righe al punto giusto [con un paio di scarpe verdi inguardabili] per catturare gli sguardi di tutti i presenti. le canzoni si susseguono piacevolmente, cadenzate e incalzanti, trascinando l'atmosfera che si sta scurendo.Il pubblico comincia ad affluire, e si ferma ad ascoltare curioso.

Ore 22:34. I The Gosh sono sotto le luci, e dominano il palco con il loro indie rock ballabile e variegato di mille suoni e colori, in pieno regime di quello che e' la serata. Li ricordavamo molto piu' oscuri, ma l'evoluzione che il gruppo ha subito e' qualcosa di affascinante e ipnotizzante. Degne di nota le parti di basso, che accompagnano le note che si susseguono, e dipingono la tela di variegate pulsioni musicali che si incastrano nel vento che ogni tanto soffia sui presenti.
Le sonorita' in pieni anni '80 hanno colmato ogni respiro, e cedono infine il posto a...

Ore 22:54. ...gli Esmen. Gruppo nato da un progetto solista [voce + chitarra] si e' evoluto nel tempo fino a giungere all'attuale sound rock intimo e dalle influenze pop che sfiora il velluto opaco delle emozioni sussurate ma mai espresse che trasudano sfumate da tutte le anime raccolte sotto il palco.La voce prosegue con il suo lamento armonico, accompagnato da musicisti preparati e senza traccia di incertezze. Atmosfere sognanti e che trasudano tristezza, come se una pioggia [ma non va detto a voce alta, stasera] cadesse dal cielo e coprisse tutti i presenti.

Ore 23:47. Gli En Roco prendono possesso del palco delle periferie e il loro pop/rock spicca il volo per adagiarsi nella poesia delle certezze di coloro che restano, di coloro che resistono, di coloro che respirano. Ballate acustiche sotto gli applausi conditi da arpeggi di chitarra che continuano a far sognare nonostante arrangiamenti quadrati che concedono poco spazio all'immaginazione estemporanea.Servirebbe un cavatappi per condire degnamente un applauso che prosegue nel tempo sotto il respiro affannoso di una zanzara che scivola via nel tempo che non tornera', per chi si e' perso la serata. Vergogna, in ogni caso. Ma domani potrete rifarvi. Sappiatelo. Forse non ci saranno ancora gli En Roco, ma il vostro ventre sapra' colmarsi ancora di note che non dimenticherete facilmente.
Villa Rossi vi aspetta...

SABATO 18 LUGLIO

Azzurro, il cielo ci guarda benevolo stasera. Nonostante nella notte sia caduta una bufera che ha spazzato via tutti i tendoni del festival, rischiando di far saltare tutto, la quiete e la pace che regna adesso e' sovrana. Azzurro, come cantava Paolo Conte. Azzurro, come il monopattino di una bambina che si e' fermata ad ammirare la tigre che e' sdraiata sul nostro banchetto.

Ore 21:07. Inizia il concerto, come apertura si esibiscono gli Slivers, che propongono un indie rock, mescolato a del cantautorato, molto ritmato e di immediato ascolto. Un'po' poco incisiva la chitarra, che si perde dietro ad un basso molto corposo. Azzeccata la voce per il genere che propongono, e di grande rilevanza scenica, avvolto nel cellophane regala anche degli allegri assoli di kazoo.
Ore 21:35. The Big White Rabbit: un inizio melodico, con una canzone che sembra uscita da una colonna sonora di un film on the road, con una vena di malinconica tristezza, come se volesse accompagnare un viaggio di non ritorno verso un paese dimenticato e da tutti evitato. Sonorita' rock con qualche punta di malsano post-qualcosa [non semplice punk, non banale indie, non...], ed una scaletta che varia umori come se i musicisti soffrissero di attacchi di personalita' multipla, conditi da un gusto alcolico e una cadenza tremula in ballate che si alternano a inni decisamente piu' movimentati.Il pubblico sottostante acclama a gran voce il prosieguo del concerto, e noi ci spostiamo sotto il palco.
Ore 22.15. "Signore e Signori ecco a voi la grande reunion del 2009..." con questa apertura vengono presentati gli Age, gruppo storico ligure, riformatosi dopo anni di scomparsa dalle scene.Sul palco il gruppo offre del buon rock-pop, anche se con l'eta' la loro vena piu' grunge del passato sembra essersi assopita. Brani molto tranquilli e orecchiabili si susseguono a sperimentazioni piu' noise e distorte. Sul palco i nostri sono a loro agio e il tempo trascorso lontano dai palchi non sembra aver fatto effetto sulla loro performance.

Ore 22:45. Un minuto di silenzio in memoria di Max Parodi.
Dopo un commovente monologo da parte di Roberto e Stefano di Metrodora, l'organizzazione invita a firmare per intitolare la piazza in memoria del compianto artista.
Ore 22:50. Dopo un momento di tristezza, ecco che l'allegria riprende subito a pulsare forte nel nostro cuore al ritmo del raggae dei savonesi Eazy Skankers. La loro proposta e' sempre di grandissima qualita' e il pubblico sembra apprezzare, scatenandosi sotto il palco, e innalzando la loro psiche verso Jah.Brani impegnati alternati a canzoni piu' spensierate si susseguono, e Villa Rossi sembra trasformarsi in una dancehall jamaicana. Sestri e' Kingstown e nessuno vorrebbe fermare la musica, la gente e' sempre piu' scatenata e anche chi vi scrive vuole andare a ballare.Anzi vi saluto e corro sotto al palco con la mia ragazza! Bomboklaat!

Ore 23:28. I Klasse Kriminale sono saliti sul palco, e l'esperienza si sente immediatamente. Un gruppo che ha solcato gli irrequieti miasmi del punk da decenni, senza mai prendere una posizione definita all'interno del panorama politico. Anatemi musicali che volano su melodie semplici ma che riescono a coinvolgere il pubblico presente, che intona all'unisono ritornelli dal vago gusto di anni che non ritorneranno.Gradevole la chitarra che svariona gioiosa su battiti incalzanti, con la gente sottostante che e' talmente educata che si mette a pogare a comando... non ci sono piu' i sovversivi di una volta. Che sia un bene o un male, lascio alle persone che si agitano sotto il palco la sentenza finale.

DOMENICA 19 LUGLIO
Ore 21:03. Pugni ritmati nello stomaco scandiscono l'ingresso dei FottuteLacrime, combo hip-hop che scaglia i propri anatemi contro la societa', coadiuvati da basi melodiche che a tratti sembrano uscite da film di Dario Argento [e le divagazioni elettroniche di Simonetti saprebbero incastrarsi in questi suoni]. Il pubblico e' ancora fermo, e non sembra troppo convinto dalla proposta musicale.
Ore 21:45. Un preludio di chitarra e voce che recita una poesia contro la guerra aprono ai Jamadda Experience un trio di voce, chitarra e dj, la cui proposta di sonorita' elettroniche andrebbero benissimo al Naturalbeat o a qualche altro rave sui forti, ma che poco si sposano con il festival delle periferie.La risposta del pubblico e' abbastanza fredda, l'orario e la collocazione del festival fanno si che la maggior parte delle persone accorse sia famiglie con bambini piccoli, e i jamadda a lungo andare arisultano freddi, e il partere si spopola.

Ore 22:23. Dopo la parentesi psichedelica dei Jamadda Experience, e' finalmente il turno degli Altera, gruppo genovese con piu' di 10 anni di esperienza, e che propone un sound piu' rock dei due nomi che li hanno preceduti. Pregevoli i testi in italiano, profondi e con uno spessore catartico che e' coadiuvato da una sezione ritmica precisa e trascinante. La chitarra si inerpica fuori a fatica tra i suoni visionari e melodici, messa in disparte da un basso profondo e corale.
Echi di Timoria, Nomadi, Ligabue si intrecciano tra un brano e l'altro, lasciando immediatamente impresse nella memoria i ritornelli, immediati e di facile fruizione [a dispetto del contenuto].

Ore 23.00. Salgono sul palco i Christeirubin che propongono un rock dalle influenze pop. Brani in italiano coadiuvati da una sezione ritmica dolce accompagnati da un continuo sottofondo di tastiere risultano poco incisivi e alla lunga anche noiosi.Poco adatta la voce, che troppo spesso si addentra in tonalita' non alla sua portata rischiando addirittura la stonatura. Le pause tra una canzone e l'altra spezzano ancora di piu' il lento andamento del concerto.

Ore 23:56. Problemi di basi fanno partire in ritardo i Kramers, che alla fine riescono a prendere possesso del palco del Festival, per quella che sara' l'ultima esibizione di questo 2009. Il loro indie pop richiama immediatamente sotto il palco i presenti, anche se oramai provati dalla serata. Melodie orecchiabili e predisposte a far danzare, riescono a mescolare con coscienza ["la la la la"] immediatezza e giochi di composizione non banali nella loro semplicita' esecutiva.Un'ottima conclusione, scanzonata e divertita, per questa edizione delle Periferie dedicata a Max Parodi. La piazza continua a muovere le teste ondeggiando per i suoni dei Kramers, con il poco vento che dona attimi di fresco in queste serata estive nel parco di una villa splendida, immersa nel centro pulsante di Sestri Ponente.

Ore 00:34. Il silenzio e' calato su questa piazza, dopo quattro giorni di musica, tra bufere e serate illuminate dalle stelle che, immobili, ci osservano e ci guardano benevole dall'alto del firmamento. Lasciamo che il loro monito di permanente eternita' sia un benevolo presagio per queste manifestazioni che riescono ancora a smuovere i passi di tutti coloro che sono venuti fino a qui, in questo momento preciso, nella speranza che il loro numero aumenti ancora, e ancora, e ancora, nei tempi a venire. Le luci si spengono, e i piedi ci riconducono lungo la via di casa. Un grazie ancora a Metrodora per tutta la passione che riesce a trasmettere, e un ultimo grazie a chi c'era. Noi eravamo li' con voi, noi saremo li' per voi anche negli anni futuri. Alla prossima.

Scritto in collaborazione con Marco Ardovino...

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17 luglio 2009
MONOLOGO

Stasera io farà sporco lavoro su faciesliber
[...O è visuliber?]
E da casa
Facebook è la morte
Non è lento:
DI PIU'
Io fa mezza cena mentre il sito si apre per la prima volta

Hihi
Lautissima, la cena
Guarda
Più lauto di me
C'è niente
Il mio soprannome al liceo era "lauto"
Al che io rispondevo "brumm brummmm"
Giuro, eh
"BRUMMM BRUUUMMMMM"
E tutti giù a ridere

Hihi
Comunque
Povera te tu
E che hai fatto quindi fino alle sette?

Credevo poi ti fossi dedicata ad altro
Non sempre e solo a leggere orrendo libro giallo

Era maggiordomo?
Era cappuccino?
Era gorilla?
Era Miss Scarlet?
Era Tim Curry?
Era Jessica Fletcher?
Era buco nell'ozono?
Non farmi stare in ansiaaaaaaaaaa
Dimmi chi eraaaaaaaaaaaaa
...
Niente, mi lasci nella suspence più nera del nero
Come in barile di catrame
Ora mancano solo le piume, guarda

In realtà ho capito che ti piacciono i miei monologhi
E quindi mi ignori di proposito
...
CATIVA!
[La sola T era voluta]
Cativa!
Non solo non mi dici chi è l'assassino, ma mi vuoi anche far leggere TUTTO il libro
E poi lo sai
Che io non riesco a leggere i libri prestati
Quindi
Sei triplicemente CATIVA
[Ma esiste la parola "triplicemente"?]
[...]
[Ah ecco, mi pareva!]

Tuoi amici ti reclamano
Reclamano, o in reclavatrice
[Pessima, questa]

Vero, è
A me non reclama mai nessuno
Io è oggetto smarrito
È cane abbandonato su sopracciglio di strada
È foglio accartocciato in cestino di rumenta

Uh?
Daniele va ancora bene
Puoi continuare a chiamarmi così
GIURO
Daniele mi piace
Continua a chiamarmi Daniele
Dai
INSISTO

Ecco, tu ride di me
Oh, povero me disgraziato
Me abbandonato e deriso
Me smarrito e deluso
Me accartocciato e...

Eccomi
Ai tuoi ordini

Veramente pensavo di metterle a lavare, quelle tende
Ok, allora facciamo così
Tu ti fai un caffè
Ne bevi anche un po' per me
E io nel frattempo tolgo 'ste tende
Che a forza di piangerci sopra con fare teatrale ci sono cresciute le liane
E le lacrime le hanno concimate così tanto che manco il fagiuolo magico di Pollicino...
[...]
[...Rumore di stoffa strappata, in lontananza...]
"Cazzo!"
Non le facevo COSI' fragili

Già qui?

Ma ancora? io sono Danieleeeeee

Ahuuhahuahua
Piacciono miei teatrini?
Lo so, lo so
Niente autografi
...
Okay: non so scrivere, ma non dirlo in giro
Che poi la gente ti crede
E smette di credere in me
A quello che dico, cioè
In me non ha mai creduto
NESSUNO

Scusa, ora smetto, anche perchè non ho nemmeno più le tende...
A cosa serve disperarsi, se non si hanno tende a cui aggrapparsi?
Più tende! Più tende!
[Normalmente, su questa frase la gente capisce "più tette! più tette!" e mi guarda SEMPRE male]
Più tende per tutti, e la gente sarebbe più felice
Tende solide
Tende resistenti
Basta che tende siano
...
Ma vi vedo impegnata, mia cara
Smetto di importunarla con i miei soliloqui
Se ciò vi reca disturbo
...
Se invece reca nati: o è cicogna, o è Leopardi
[Sempre di animali si tratta]

Tu è qui?
O tu è ancora affacendata?

Uuuuuuuuuh
E io che stava pensando di sfruttare monologhi per mio prossimo scritto
Qualcuno era proprio bellino
Qualche punto, intendo
Okay, non c'è bisogno di non dire niente per farmi capire il contrario, EH!

Uahhuahua
VOLGARTE, questa
[Voleva essere "volgare", ma la T sfuggitami ci stette bene e ce la lasciai]
Più stette per tutti
Per stutti, cioè

Dimmi tutto, CAPO

Se io è CAPO, tu è CUORE
E: si sa
Vince il CUORE

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13 luglio 2009
BORBEROCK 2009

Quando la Liguria inizia a star stretta, basta uscire di poco dai confini regionali per riuscire a trovare ottime proposte musicali: il BorbeRock Summer Festival di Borghetto di Borbera e' un'ottimo esempio, e lo seguiremo in diretta per voi, sera dopo sera, accampandoci in tenda nell'apposita area attrezzata.

VENERDI' 10 LUGLIO

Arriviamo in loco nel pomeriggio, in tempo per montare le tende in calma e allegria, e giocare a calcio e frisbee con le persone gia' presenti. Arrivati alla decima edizione, e' un piacere notare che l'aria di festa che si respira lungo questo torrente non e' calata negli anni.

Ore 21:05. L'inizio della serata e' tutto per i Maggie Brown, e con il loro rock/punk, condito con stacchi veloci che un poco incespicano ma regalano una leggera vivacita' di sottofondo che ben si addice all'inizio di questa tre giorni di festival.
I brani eseguiti si susseguono, anche se i il genere che questi musicisti propongono non risulta incisivo al punto da attirare pubblico verso il palco. Da parte nostra riteniamo che il cantante risulterebbe piu' consono al genere se evitasse di usare la voce roca nella maggior parte dei pezzi.

Ore 21:44. Il secondo gruppo che sale sul palco sono i Gandhi's Gunn, con una sezione ritmica innovata: il batterista dei 2Novembre a coprire un varco temporale temporaneo, e Maso al basso come degno sostituto di Kabuto. Il risultato e' sempre un muro di suoni roccioso e che richiama sotto il palco tutti i presenti. Una voce trascinante che si contorce e sembra soffrire chiedendo una assoluzione per un peccato commesso da chissa' chi, chissa' quando.
La presenza scenica della band e' notevole, gli sguardi sono tutti catalizzati verso di loro, che muovendosi a tempo di musica rendono impenetrabile il muro di roccia innalzato dagli strumenti.

Ore 22:03. I Grenouille da Milano iniziano a suonare il loro rock alternativo proposto con testi in italiano che ricorda gli Afterhours.I ragazzi non suonano per niente male, peccato che il genere proposto sia stato sin troppo abusato negli ultimi anni, facendo risultare il prodotto alquanto scontato e a tratti noiso

Ore 22:51. Un personaggio alquanto incredibile si avvicina al banchetto Genovatune e ci chiede "Ma dopo suonano Iole e i suoi tamarri cantando 'Giu' da Quezzi col vespino a 100 all'ora'?"Detto questo se ne va.Il BorbeRock e' anche questo.
Ore 23:08. Dopo un lungo cambio palco iniziano a suonare i The Inspector che propongono un genere molto particolare, che richiama alcune sonorita' simil Faith No More, usando molte basi campionate, che si fondono alla perfezione con la sezione ritmica. Dalle casse esce poca profondita' di suono, ma non riusciamo a capire se sia dovuto all'impianto, che fin ora ha risposto in modo ineccepibile, o al gruppo. I riff di chitarra si uniscono in modo alchemico ad una voce graffiante che non lascia spazio al riposo.
Ore 00.10. Le note di basso iniziano a diffondersi nell'aria e il sound corposo dei 2Novembre travolge gli spettatori. Il grunge di Bellorio scalda il pubblico che inizia ad animarsi sotto il palco. La serata e' diventata fredda in quel di Borghetto, ma i nostri riescono a riscaldarla animando gli avventori del festival. Le sonorita' polverose che fuoriescono dagli amplificatori sono un vero e proprio martellare. Sfortunatamente le casse non riescono ad esprimere al massimo la qualita' del sound dei 2Novembre, e l'impianto risulta insufficiente per i suoni che ne risultano penalizzati nonostante i ritornelli del gruppo entrino nella testa e incedano con il loro incalzante procedere e spianare le distese sonore in questa notte oramai oscura.
E' oramai passata l'ora delle streghe, ma le persone resistono agli attacchi rock [e dalle vaghe sonorita' nu stoner] dei 2Novembre, che procedono il loro show riempiendo un palco immerso nel verde con le loro linee melodiche rotonde e tangenti alla sensazione di indisponenza che trasmettono i loro testi: un trio che riesce a riempire il palco senza nessun supporto oltre alla loro semplice e trascinante esplosione di granitiche melodie nonostante i grigi suoni insoddisfacenti che fuoriescono nel buio.
Ore 01:20. La pace cala. A domani, per una serata all'insegna delle danze e della musica.

SABATO 11 LUGLIO

L'alba del secondo giorno [ok, alba forse e' una parola abbondante] ha visto il cielo completamente coperto: se da un lato questo ha regalato una parentesi di piacere ai presenti che hanno potuto dormire in tenda senza bollire sotto i raggi del sole, dall'altra ha preoccupato non poco in previsione del festival. Fortunatamente, dopo una colazione nel bar del paese e una mattinata di grigiore, il sole e' tornato a splendere e a scaldare gli animi di tutti, che hanno cosi' potuto godere del pomeridiano rinfresco del fiume e prepararsi moralmente alla serata danzereccia che si prevede per questa seconda serata del BorbeRock.
Ore 21:26. Finalmente si mangia, lo stand dei panini ha appena aperto e una folla di mandibole masticanti si aggira ora per il partere. Magari si fosse aperto un'ora prima si sarebbe evitato di prender per fame la truppa di genovatune!
Ore 21:40. Il secondo giorno di concerto finalmente e' iniziato.In ritardo sulla tabella di marcia, aprono le danze gli alessandrini Deep Throat, che con il loro hardcore travolgono il pubblico con dei riff a velocita' di curvatura. Le distorsioni troppo accentuate, sfortunatamente, ovattano e appiattiscono le musiche che fuoriescono dalle casse.Problemi all'impianto elettrico costringono i musicisti a suonare al buio per alcuni secondi, ma i nostri non sembrano accorgersene, proseguendo indisturbati il concerto.
Ore 22.23. Con un ritardo mostruoso iniziano a suonare gli Eazy Skankers la band jamaican-savonese propone il suo reggae di grande contenuto tecnico. Il dub che esce dalle casse e' un toccasana per la serata, di fatti la temperatura si e' notevolmente abbassata e il loro sound riesce a far ballare parecchie persone sotto il palco, riscaldando anche gli animi piu' cupi.L'uso magistrale di basi, che comprendono anche cori registrati direttamente in Jamaica, permette a questi ragazzi di regalare al pubblico uno spettacolo di alto livello, da band che potrebbe tranquillamente essere posta come headliner di festival come il BorbeRock.
Ore 23:35. Una scarica di punk travolge gli spettatori che, rilassati dal reggae precedentemente ascoltato, vengono riportati alla realta' dai Duffy Punk. Una sezione ritmica martellante crea l'atmosfera per un pogo continuo sotto il palco, che il pubblico non si lascia scappare. Le canzoni si susseguono e mostrano il pensiero che trasuda dai testi di questi ragazzi che, con nostro piacere, hanno scelto come lingua dei testi l'italiano, azzeccando allla perfezione il connubio tra la lingua nostrana e l'hardcore.Sfortunatamente a lungo andare le canzoni che propongono iniziano ad annoiare a causa di linee tonali che troppo spesso cadono nella ripetitivita'.

Ore 00:47. Pronti e via!Salgono in cattedra dei veri mostri del palco.I Vallanzaska animano tutto il pubblico accorso che inizia a ballare e pogare sotto al palco. I molteplici corpi che pestano il suolo alzano moltissima polvere dal terreno che rendono l'atmosfrera ancora piu' rurale di questo BorbeRock che sta regalando moltissime emozioni agli amanti del levare.I brani si susseguono, e la bravura dei musicisti viene fuori sino a sfociare nella hit di qualche anno fa "si si si, no no no" che porta tutti gli spettatori a cantare a squarcia gola sotto al palco. La sezione fiati e' magnifica, assoli di tromba e sax si susseguono per trasportare chi ascolta sino a fare un trenino sotto al palco, molto apprezzato dai musicisti, che lo ripetono altre volte, un perfetto connubio tra gli artisti e il pubblico, che interagendo tra il palco e il partere scambiano battute e sfotto' a tutto andare.
I ragazzi ci salutano con "La trattoria" , altra hit dal testo scanzonato e vivace a tal punto da far sfociare il pubblico in un coro di "bis" e "ancora" tale da spingere i Vallanzaska a risalire sul palco e intonare altre canzoni per soddisfare questo pubblico che sembra insaziabile stasera.
"Cheope" ha come special guest i figli degli stessi musicisti che ballano e cantano sul palco e sulle note della loro forse piu' famosa canzone i nostri salutano e ci danno la buona notte.

Ore 01:59. La seconda serata del BorbeRock 2009 si e' appena conclusa.Tutti soddisfatti per questa serata all'insegna dello ska che ha avuto quasi il doppio dei partecipanti della serata nu stoner di ieri. La musica si e' spenta, mentre le parole andranno avanti sino all'alba.E domani e' un altro giorno.

DOMENICA 12 LUGLIO

Il sole cala su questo terzo e ultimo giorno lungo il torrente Borbera, e mentre i gruppi stanno ultimando di fare i sound-check la gente comincia ad arrivare a piccoli gruppi. La giornata e' inziata come al solito in tarda mattinata, dopo una notte passata in tenda: risveglio che ha vitsto i ragazzi dell'organizzazione ripulire il grande piazzale erboso che ospita il festival, mentre noi ci preparavamo un piatto di pasta per placare la fame. Il pomeriggio e' scivolato via nel relax piu' pieno, condito da un fugace bagno nel fresco torrente
Ore 21:38. Dopo piu' di mezz'ora di coda finalmente riusciamo a mangiare.Se dobbiamo essere sinceri, l'unica cosa che bocciamo in pieno di questo BorbeRock e' la disorganizzazione del banco dei panini. Apertura troppo tarda e code stratosferiche dovute a una mancanza di coordinazione tra le varie fasi della preparazione dei panini creano un sincero malcontento tra quasi tutti gli avvventori. Per un festival giunto alla sua decima edizione non e' concepibile un servizio del genere. Sinceramente speriamo di trovare nettamente migliorato questo stand il prossimo anno.
Ore 21:45. Inizia l'ultimo giorno di concerti in quel di Borghetto. Apro le danze gli HattoriHanzo che propongono un rock'n'roll dalle infuenze punk, con una sezione ritmica allegra e trascinante al punto giusto, molto solare e ballabile. Il gruppo perfetto per aprire la serata.
Ore 22:25. L'atmosfera si incupisce e le nuvole coprono il cielo, momento ideale per i Passover che con il loro rock psichedelico riesce a colorare la serata e anima gli spettatori sotto il palco. Ottimo il lavoro delle due chitarre e della sezione ritmica che trasporta l'ascoltatore sino a farlo ondeggiare a tempo di musica.Pregevole l'utilizzo dell'idioma italico nel susseguirsi delle canzoni, che assicura un'immediatezza che altrimenti si perderebbe nel suond dalle vaghe influenze progressive e nu stoner.
Ore 23:13. Avete mai visto un uomo cantare dai pick-up della propria chitarra? Io si. Gli AIM salgono sul palco e danno prova di tutta la loro bravura gia' dalla prima canzone. Un basso, una chitarra e una batteria riescono a creare un'atmosfera onirica che solo le grandi band producono in un concerto live. Gli sguardi sono tutti catalizzati sul palco, volti increduli guardano i musicisti che con il loro sound trasportano l'animo delle persone in atmosfere intime, che riescono a toccare a fondo l'anima delle persone, mettendo a nudo tutte le nostre emozioni.

Ore 00:09. E' da poco passata la mezzanotte quando inizia il set dei Ministri, con rumori elettronici che introducono il loro rock leggermente isterico e agitato, semplice e fin troppo immediato. I testi italiani trasmettono un po' troppo poco spessore, ma una batteria presente e incalzante riesce a sopperire ad una linea compositiva che non brilla certo per iniziativa.Purtroppo non possiamo restare fino alla fine della loro esibizione, e abbandoniamo cosi' il campo del BorbeRock che ci ha ospitato per questo weekend di pura musica e allegra compagnia: la decima edizione e' giunta alla sua conclusione, dopo tre infinite giornate svanite nel batter di centinaia di ali di zanzara.

Scritto in collaborazione con Marco Ardovino...

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6 luglio 2009
ARENZANO BLUES

Goccia dopo goccia, la serata del 5 luglio è finita: prima del previsto, almeno per me.
Il viaggio di ritorno verso Bergamo è stato un vero e proprio incubo, tra code in autostrada e un costante muro d'acqua che impediva l'avanzata regolare. Tutto attorno alla macchina in lento movimento, crepe luminescenti squarciavano il cielo per annunciare l'arrivo del rombo del caos da lì a pochi secondi. Crepe luminescenti che ricordavano veri e propri delta di fiumi, dipinti nel cielo, orizzontali e verticali come se volessero dividere la volta celeste in pezzi di un puzzle che nessuno potrà mai ricomporre. Goccia dopo goccia, l'avanzata verso casa continuava: lentamente, senza soste, ma continuava.

Ed il pensiero torna con rimpianto al momento in cui le prime lacrime sono cadute dal cielo, ad interrompere lo show dei Blues Escalation in piazzale del mare, sulla passeggiata di Arenzano. Erano lacrime di tristezza, e sono andate a scurire quella sabbia che faceva da terreno al pubblico radunatosi per godere di questa formazione genovese, capitanata da Gianni Borgo, che non ha avuto il tempo di riempire le orecchie dei presenti con la loro grintosa carica di blues. Erano lacrime di mestizia, e si sono lentamente adagiate come un velo di seta sui pochi pini presenti, insufficienti a coprire e a salvare il banchetto di Genovatune che era stato allestito di fianco al palco nemmeno un'ora prima dell'inizio del concerto.

Per fortuna durante il pomeriggio il clima era stato ben più clemente: quasi troppo, direi. I Blues Jam hanno terminato la loro esibizione che il caldo stava oramai scomparendo, e il sole iniziava a nascondere i suoi caldi raggi dietro le palme di Arenzano. Una formazione unica, formatasi proprio per l'occasione. Una formazione speciale, con la chitarra di Luca Canepa ed l'armonica di Fabio Bommarito che duettavano e giocavano come due vere primedonne impazzite, nei momenti in cui la voce solista si rilassava un attimo. A condire il tutto, una batteria che sfiorava le pelli accarezzando un basso sempre costante nella sua melodica presenza, ed una tastiera pulita e precisa che completava l'accompagnamento e si incastrava nei fraseggi solisti. Insiemi di note che riprendevano partiture e canoni blues, il tutto guidato da una chitarra che nell'insieme forse sovrastava un po' troppo gli altri strumenti, ma impreziosiva col suo tocco il centro di piazza XXIV aprile. Una delizia per l'ascolto, anche senza essere esperti conoscitori del genere proposto.

Prima di loro, l'onore di aprire la giornata era toccato agli arenzanesi The Hens' Fear, formazione che già avevo avuto la fortuna di ascoltare al Crevari Invade [si, quello di Campenave, proprio quello] e che si è confermata più che gradevole nella loro riproposizione di vecchi inni dei tempi di Aretha Franklin e James Brown, oltre a brani diventati famosi grazie a film quali The Blues Brothers o The Commitments, dalle sonorità quindi più sfacciatamente soul [ma non avvicinateli facendo loro i complimenti per le "cover" dei Blues Brothers, potreste dover ascoltare una filippica di mezz'ora su chi fossero il compositore e l'esecutore originale di ogni singolo brano]. Ammirevole il doppio cantato, alternato a seconda del brano proposto, e decisamente positiva anche la sezione fiati che vagava per la piazza durante il dipanarsi di alcune canzoni. La tastiera, con sonorità hammond che si alternavano al classico suono di pianoforte, tesseva le sue trame che si andavano ad incastrare alla perfezione nelle linee delle due chitarre posizionate ai due estremi del palco. Su tutto, una sezione ritmica che dava un senso a quella definizione di rhythm 'n' blues che il gruppo si porta dietro, con onore.

Una giornata all'insegna del blues sotto vari punti di vista, insomma, quello che l'associazione musicale Onde Sonore è riuscita a mettere in piedi anche quest'anno nel centro di Arenzano. Mi è dispiaciuto dover abbandonare i luoghi del crimine quando la pioggia ha forzato l'interruzione dello show, così come mi è dispiaciuto ancora di più sapere che, poco dopo la mia partenza, sono riprese le danze e si sono esibiti quindi anche Piero De Luca & Big Fat Mama. In quel momento, io stavo traghettando la mia macchina in quei torrenti in piena che erano le autostrade verso Bergamo. Avrei pagato per poter essere ancora sotto quel grande palco blues, al centro della riviera ligure. Avrei pagato, e ho pianto per l'occasione perduta. Ho pianto, e le mie lacrime sono scomparse subito, svanite in quell'oceano di tristezza e mestizia che stava crollando dal cielo, tra fulmini tremanti e tuoni accecanti. E la colonna sonora dei Commitments ben ferma nell'autoradio, per ricordare. Per non dimenticare.

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1 luglio 2009
SILENZIO

Non giudicatemi.

Tutti hanno le proprie debolezze, anche se qualcuno le sa nascondere meglio di altri. Chi sono io per ritenermi superiore a voi? Nessuno. Proprio nessuno.
Il mio racconto inizia in un pomeriggio di più di trenta anni fa, quando ancora non mi ero reso conto di nulla. Ero convinto che il bianco fosse bianco, la notte fosse la notte, e le decisioni prese fossero incontestabili e immutabili nel tempo. Mi sbagliavo. Oh, quanto mi sbagliavo! Non esiste colore al mondo che non possa essere contaminato da gocce di fluidi esterni, o stella in cielo che non possa venir oscurata anche solo da una nuvola di passaggio. Non esistono posizioni prese che possano risultare indifendibili e che diventino uno scudo da tutte le radici che poco per volta continuano a crescere sotto di noi. Non esiste nessuna sicurezza, nessuna possibilità di fuga, nessun punto fermo nella vita di chiunque. Non esiste un futuro predefinito, determinato e deciso.
A volte mi sorprendo di come i ricordi possano assalirmi nei momenti più strani e inaspettati, portando la mia mente a rincorrere pensieri che avevo rimosso, o addirittura che non pensavo nemmeno potessero essere miei. A volte sentiamo dentro di noi una sensazione di chiusura fisica, di oppressione materiale, di pressione mentale, che ci assale anche nella più silenziosa delle notti. Tutto intorno a noi è immobile, non si muove neanche un filo d'aria, eppure da qualche angolo del nostro cervello sentiamo provenire un fischio lontano, un rumore ovattato ma acutissimo, come se fosse un filo di consapevolezza che ha ritrovato finalmente la strada di casa ed è giunto fino a noi. Tutto tace, eppure il silenzio stesso sta gridando con tutto il fiato che abbiamo in gola, con tutte le forse che ci sono rimaste in corpo, quello stesso corpo di cui pensiamo di riconoscere ogni singola cellula, ogni più piccolo difetto. Ma ci sbagliamo. Oh, quanto ci sbagliamo!
Mentiamo a noi stessi, l'abbiamo sempre fatto. Abbiamo imparato a farlo con una facilità talmente disarmante, che non ci accorgiamo nemmeno più di quello che abbiamo davanti agli occhi, di quello che stiamo toccando, delle nostre perdute illusioni. Mentiamo a noi stessi e ci costruiamo attorno un recinto di ghiaccio che non riesce a tenere lontano nemmeno la più piccola farfalla che prova a volare in quello spazio aperto che è la nostra realtà di tutti i giorni. Mentiamo a noi stessi e ci tappiamo le orecchie con un singolo foglio di carta velina. Mentiamo a noi stessi e ci tarpiamo le ali come se fossimo noi quella farfalla che cerchiamo invano di tenere fuori dalla nostra portata, senza accorgerci minimamente che siamo oramai coperti da uno sciame di api che ha fatto il nido sul nostro corpo, su ogni centimetro del nostro spirito. Ci assolviamo da tutti i nostri peccati come se fossimo giudice e giuria, una santa inquisizione venuta al mondo per giudicare le colpe degli altri che non ricadranno mai sulle nostre spalle, sui nostri peccati.
Ogni giorno che si sussegue all'altro ha gli stessi colori di una decisione oramai infranta, di una notte diventata giorno, di un candido foglio bianco su cui sono state sbavate talmente tante macchie d'inchiostro da aver assunto le sembianze stesse dell'apatia. E' questo, quello che vogliamo da noi? E' questo, il futuro che ci eravamo immaginati e che abbiamo lottato per raggiungere? E' questo, il sogno della nostra infanzia divenuto realtà? Vi sbagliavate. Oh, quanto vi sbagliavate! Io non sono come voi, nè superiore nè inferiore. Io non sono come voi vi aspettavate che io fossi, come voi speravate io diventassi. Io non sono il fostro fragile burattino a cui tirare i fili per ottenere una danza macabra il cui destino possa essere deciso a priori. Sbaglierò, imprecherò, sputerò sangue, ma non sono come voi.

Giudicatemi, adesso.

Lasciate che le vostre letture di me mi scivolino addosso, perchè tutto quello che è davanti a voi sono soltanto le vostre convinzioni. Lasciate che le vostre conclusioni vi convincano del vero di quello che siete convinti di vedere, di quello che siete sicuri di sentire, di quello che siete certi di aver compreso. Non mi state offendendo, ma mi state liberando: dai vostri giudizi, dai vostri pensieri, dai vostri colori.
Ogni istante che passerete a guardare verso di me non sarà altro che un giorno perduto a guardare nello specchio della vostra anima, nel più profondo del vostro recinto di ghiaccio che oramai si sta sciogliendo al sole. Sentite quella brezza che vi accarezza la pelle? Sentite quel sussurro che sembra provenire da lontano? Non sono altro che le frustate di quelle sporche notti che stanno prendendo forma dall'interno di voi e che bramano di uscire.
Sorridete. Dovreste essere ancora capaci di farlo. Sorridete. Ma non un sorriso falso di quelli che finora mi avete regalato ad ogni compleanno, non un sorriso falso che ha la stessa valenza di un bicchiere oramai vuoto per un alcolizzato all'ultimo stadio. Siete voi, quelli che state compatendo. Siete voi, il vostro imputato sotto accusa. Siete voi, la causa della vostra dannazione interna. Siete ancora in grado di sorridere? Guardate in questa direzione. Guardatemi nello specchio dei vostri occhi, e provate adesso a sorridere. Provateci.
Alzo un dito, ed è diretto a voi. E' diretto verso di te. Ma non è un segno di condanna, non è un giudizio universale. E' soltanto un dito, un appiglio a cui aggrapparti prima di precipitare in quel burrone che giace alle tue spalle. Mi sarebbe piaciuto porgerti l'intera mano, ma non riesco. Ho soltanto un dito, a disposizione. E un dito, per te, deve essere più che sufficiente, dopo tutto. Non intendo sprecare una mano per la tua salvezza, non ho voglia di renderti la vita troppo facile. E' un dito, fattelo bastare. Non avrai altro, da me.
Il silenzio, attorno, cade e mi ricopre le spalle col suo manto di spregevole sicurezza. Ho pianto, ho tremato, ho dimenticato quello che non avrei dovuto, e ricordato le banalità. Ho fatto tutto questo per te, e ancora non ne riesco a capire il motivo. L'unica compagnia che ho ottenuto è quella di questo silenzio affascinante, di questa pace che oramai è parte di me. Lascio che quel fischio lontano torni a me, e diventi sempre più forte. Lo abbraccio, e mi accorgo che non sto più urlando, non sto più piangendo, non sto più tremando. Mi abbraccio, nel bianco silenzio della notte.

Giudicami.

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