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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
1 Luglio 2009
SILENZIO

Non giudicatemi.

Tutti hanno le proprie debolezze, anche se qualcuno le sa nascondere meglio di altri. Chi sono io per ritenermi superiore a voi? Nessuno. Proprio nessuno.
Il mio racconto inizia in un pomeriggio di più di trenta anni fa, quando ancora non mi ero reso conto di nulla. Ero convinto che il bianco fosse bianco, la notte fosse la notte, e le decisioni prese fossero incontestabili e immutabili nel tempo. Mi sbagliavo. Oh, quanto mi sbagliavo! Non esiste colore al mondo che non possa essere contaminato da gocce di fluidi esterni, o stella in cielo che non possa venir oscurata anche solo da una nuvola di passaggio. Non esistono posizioni prese che possano risultare indifendibili e che diventino uno scudo da tutte le radici che poco per volta continuano a crescere sotto di noi. Non esiste nessuna sicurezza, nessuna possibilità di fuga, nessun punto fermo nella vita di chiunque. Non esiste un futuro predefinito, determinato e deciso.
A volte mi sorprendo di come i ricordi possano assalirmi nei momenti più strani e inaspettati, portando la mia mente a rincorrere pensieri che avevo rimosso, o addirittura che non pensavo nemmeno potessero essere miei. A volte sentiamo dentro di noi una sensazione di chiusura fisica, di oppressione materiale, di pressione mentale, che ci assale anche nella più silenziosa delle notti. Tutto intorno a noi è immobile, non si muove neanche un filo d'aria, eppure da qualche angolo del nostro cervello sentiamo provenire un fischio lontano, un rumore ovattato ma acutissimo, come se fosse un filo di consapevolezza che ha ritrovato finalmente la strada di casa ed è giunto fino a noi. Tutto tace, eppure il silenzio stesso sta gridando con tutto il fiato che abbiamo in gola, con tutte le forse che ci sono rimaste in corpo, quello stesso corpo di cui pensiamo di riconoscere ogni singola cellula, ogni più piccolo difetto. Ma ci sbagliamo. Oh, quanto ci sbagliamo!
Mentiamo a noi stessi, l'abbiamo sempre fatto. Abbiamo imparato a farlo con una facilità talmente disarmante, che non ci accorgiamo nemmeno più di quello che abbiamo davanti agli occhi, di quello che stiamo toccando, delle nostre perdute illusioni. Mentiamo a noi stessi e ci costruiamo attorno un recinto di ghiaccio che non riesce a tenere lontano nemmeno la più piccola farfalla che prova a volare in quello spazio aperto che è la nostra realtà di tutti i giorni. Mentiamo a noi stessi e ci tappiamo le orecchie con un singolo foglio di carta velina. Mentiamo a noi stessi e ci tarpiamo le ali come se fossimo noi quella farfalla che cerchiamo invano di tenere fuori dalla nostra portata, senza accorgerci minimamente che siamo oramai coperti da uno sciame di api che ha fatto il nido sul nostro corpo, su ogni centimetro del nostro spirito. Ci assolviamo da tutti i nostri peccati come se fossimo giudice e giuria, una santa inquisizione venuta al mondo per giudicare le colpe degli altri che non ricadranno mai sulle nostre spalle, sui nostri peccati.
Ogni giorno che si sussegue all'altro ha gli stessi colori di una decisione oramai infranta, di una notte diventata giorno, di un candido foglio bianco su cui sono state sbavate talmente tante macchie d'inchiostro da aver assunto le sembianze stesse dell'apatia. E' questo, quello che vogliamo da noi? E' questo, il futuro che ci eravamo immaginati e che abbiamo lottato per raggiungere? E' questo, il sogno della nostra infanzia divenuto realtà? Vi sbagliavate. Oh, quanto vi sbagliavate! Io non sono come voi, nè superiore nè inferiore. Io non sono come voi vi aspettavate che io fossi, come voi speravate io diventassi. Io non sono il fostro fragile burattino a cui tirare i fili per ottenere una danza macabra il cui destino possa essere deciso a priori. Sbaglierò, imprecherò, sputerò sangue, ma non sono come voi.

Giudicatemi, adesso.

Lasciate che le vostre letture di me mi scivolino addosso, perchè tutto quello che è davanti a voi sono soltanto le vostre convinzioni. Lasciate che le vostre conclusioni vi convincano del vero di quello che siete convinti di vedere, di quello che siete sicuri di sentire, di quello che siete certi di aver compreso. Non mi state offendendo, ma mi state liberando: dai vostri giudizi, dai vostri pensieri, dai vostri colori.
Ogni istante che passerete a guardare verso di me non sarà altro che un giorno perduto a guardare nello specchio della vostra anima, nel più profondo del vostro recinto di ghiaccio che oramai si sta sciogliendo al sole. Sentite quella brezza che vi accarezza la pelle? Sentite quel sussurro che sembra provenire da lontano? Non sono altro che le frustate di quelle sporche notti che stanno prendendo forma dall'interno di voi e che bramano di uscire.
Sorridete. Dovreste essere ancora capaci di farlo. Sorridete. Ma non un sorriso falso di quelli che finora mi avete regalato ad ogni compleanno, non un sorriso falso che ha la stessa valenza di un bicchiere oramai vuoto per un alcolizzato all'ultimo stadio. Siete voi, quelli che state compatendo. Siete voi, il vostro imputato sotto accusa. Siete voi, la causa della vostra dannazione interna. Siete ancora in grado di sorridere? Guardate in questa direzione. Guardatemi nello specchio dei vostri occhi, e provate adesso a sorridere. Provateci.
Alzo un dito, ed è diretto a voi. E' diretto verso di te. Ma non è un segno di condanna, non è un giudizio universale. E' soltanto un dito, un appiglio a cui aggrapparti prima di precipitare in quel burrone che giace alle tue spalle. Mi sarebbe piaciuto porgerti l'intera mano, ma non riesco. Ho soltanto un dito, a disposizione. E un dito, per te, deve essere più che sufficiente, dopo tutto. Non intendo sprecare una mano per la tua salvezza, non ho voglia di renderti la vita troppo facile. E' un dito, fattelo bastare. Non avrai altro, da me.
Il silenzio, attorno, cade e mi ricopre le spalle col suo manto di spregevole sicurezza. Ho pianto, ho tremato, ho dimenticato quello che non avrei dovuto, e ricordato le banalità. Ho fatto tutto questo per te, e ancora non ne riesco a capire il motivo. L'unica compagnia che ho ottenuto è quella di questo silenzio affascinante, di questa pace che oramai è parte di me. Lascio che quel fischio lontano torni a me, e diventi sempre più forte. Lo abbraccio, e mi accorgo che non sto più urlando, non sto più piangendo, non sto più tremando. Mi abbraccio, nel bianco silenzio della notte.

Giudicami.

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