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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
6 Gennaio 2009
BEFANA

Tutto il mondo girava vorticosamente. Vampate di colori e suoni esplodevano tutte intorno, senza sosta, sotto il ritmo perenne di una danza antica di secoli. Le gambe sembravano volersi muovere da sole, ma la testa era troppo pesante. Troppo pesante. E quelle risate, quelle bocche spalancate, quelle file di denti marci che non conoscevano pudore e continuavano a brillare sotto la luce di un fuoco vivo, scoppiettante, che arrivava fino al cielo. Le ombre cercavano di ghermirla con il loro abbraccio incorporeo e palpabile al tempo stesso. Come si era trovata in quella situazione? Quando era cominciato tutto? Faticava a ricordarlo.

"Domani sera vieni alla festa nei boschi? Per te sarà una sorta di inizio."
Un invito innocente, una domanda a cui non poteva dire di no. E non era sua intenzione farlo, in tutta sincerità. Era sempre stata la sua passione, e adesso era stata invitata ufficialmente. Non vedeva l'ora. Corse a casa velocemente, e passò l'intera giornata a domandarsi se sarebbe stata pronta, cosa avrebbe dovuto dire e fare per non essere ridicola, per non passare per ingenua nonostante la sua oramai non più giovane età. Fantasticò con la sua mente su tutto quello che sarebbe potuto accadere, da quella sera in avanti. Forse non era ancora pronta, ma non le importava. Sarebbe stata all'altezza. Non avrebbe deluso nessuno.
E finalmente l'ora giunse. Arrivò sul posto con il suo carico di aspettative e di speranze, e si trovò di fronte una decina di anziane signore, come lei, che già stavano accendendo il fuoco. "Vieni, unisciti a noi." Iniziò ad imitare tutti i gesti che per anni aveva studiato solo sui libri, prese a fare tutto quello che facevano le sue sorelle maggiori. Spezzò un ramo, lo gettò in aria e lo osservò con cura mentre andava ad unirsi come per incanto a tutti quelli che già erano stati spezzati. "Tieni, bevi questo con me." Un invito di cui avrebbe volentieri fatto a meno, ma non era in condizione di rifiutare. Non quella sera. E quindi alzò il suo calice di legno e iniziò a brindare con una, poi con due, infine con tutte le streghe che si erano radunate lì quella sera per completare lo strano rituale dei boschi. La coscienza poco per volta la abbandonò, e non si accorse che tutte le altre figure avevano iniziato a danzare attorno al fuoco, e la stavano indicando deridendola. Doveva allontanarsi. Sentiva esplodere dentro di lei la sensazione di essere fuori luogo, di essere sbagliata. E a quelle dita puntate che ancora la indicavano, che ancora la deridevano, non potè fare altro che rispondere con un frase biascicata. "Beffa! Beffa naaah! Beffa! Beffa naaah!"

Si risvegliò di soprassalto. Era ancora in quella radura sperduta, tra gli alberi, tutta coperta di muschio e risate che ancora le risuonavano nelle orecchie. Il sole era già alto in cielo, e i suoi raggi illuminavano tutte quelle ombre che la notte prima le erano sembrate così tetre, così lunghe, così oscure. Che stupida. Si rese conto di essere stata solo presa in giro, e provò pena per quelle donne che avevano voluto giocarle un così brutto scherzo. Non le sembrava giusto, non le sembrava corretto, non le sembrava nemmeno lontanamente buono. E fu allora che prese la sua decisione: non avrebbe più cercato di far parte di quella congrega di streghe, dentro di sè sentiva che non era la sua strada. Lei era diversa da tutte loro. Si sentiva differente, speciale. Aveva capito la differenza.
Da quel giorno, invece di cercare di incutere timore nelle persone e godere delle sventure altrui, lei avrebbe cercato di premiare le anime candide. Non avrebbe più dedicato la sua vita a studiare malefici per far del male a degli sconosciuti, ma sarebbe stata virtuosa nonostante il suo aspetto da vecchia megera. E in ricordo di quella notte, sarebbe andata in giro per i paesi a portare doni ai bambini, le anime più pure al mondo.
Era il 6 gennaio. Era nata la Befana.

[Ispirato ad una leggenda ligure del medioevo]

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