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Giugno 2006
25 giugno 2006
TAVOLO BIANCO
Un tavolo bianco. Liscio, senza nemmeno un graffio, o una leggera imprecisione sulla sua pallida superficie. Un tavolo bianco come un panno steso al sole da infinite ore, bianco come il manto uniforme di un gregge al pascolo su di un monte inaccessibile, bianco come la coscienza immacolata di un fanciullo non ancora martoriato dalle giornate negative della vita.
Un tavolo bianco.
Ecco come mi sento in questa serata di inizio estate, con le stelle sul capo a farmi da testimoni, e un giardino tutto intorno ad avvolgermi con le sue calde spire di indifferenza. Ecco come mi sento al volgere di queste ore che domani non sentirò nemmeno più mie, come se non le avessi mai vissute, come se non fossero mai esistite.
Mi sento vuoto, svuotato, fiacco e stanco, come se avessi riassunto in cinque centimetri tutto il cammino di una vita, tutto il sapere di un’esistenza, tutte le lacrime di un oceano. Mi sento morto, prosciugato. Mi sento estinto e abbandonato, solo e sotterrato. Dimenticato.
Come un tavolo bianco, nel mezzo del deserto di una città colma di spire d’acciaio e di speranze di serenità. Come un tavolo bianco nell’oscurità della notte rischiarata soltanto dai sottili sogni di tutti gli innamorati che si tengono per mano e si sussurrano a vicenda i segreti dell’universo.
Solitario, ma allo stesso tempo circondato da volti amici e rassicuranti. Solari e tenebrosi in un unico respiro, come una parola straniera pronunciata da labbra incerte delle loro potenzialità. Solitario, ma in pace con me stesso. Forse.
A quest’ora, in fondo, chi potrebbe smentirmi?
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22 giugno 2006
TI SEI NASCOSTO
Nasconditi dietro una mano. Nascondi dietro cinque dita tutta la tua paura di vivere, tutte le tue ansie e le tue incertezze. Nascondi dietro uno sguardo immaturo ed un sorriso celato tutta la tua arroganza e la tua supponenza, la tua lussuria e la mia noia.
Non sei ancora stanco di nasconderti dietro te stesso, di nascondere le tue più intime nuvole di gioventù passeggera dietro tutto quello che chiedi e non sarà mai esaurito?
Non sei ancora stanco di pregare quel dio codardo a cui hai voltato le spalle più di due secoli fa, quando eri una persona migliore, quando eri un individuo in mezzo alla folla e non un folle in mezzo agli individui?
Non sei ancora stanco di non essere ancora stanco? Percuotiti l’anima e scoprirai i pensieri del tuo dio codardo che ha provato a privarti del tuo paradiso, due secoli fa.
Non sei ancora stanco? Forse vuol dire che sei ancora vivo. O che vorresti esserlo. A te spetta la risposta. Ma non avere fretta.
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15 giugno 2006
INCANTO
Ho scoperto la differenza tra una scultura di marmo bianco ed il presente del mio spirito inquieto.
È un soffio, un breve sospiro di greve rammarico, sul candido viale dell’emozione perduta che dimentico al sorgere di ogni nuovo sole. È un respiro di diamante che nulla vale se privato del suo stesso alone di tristezza e inconsistenza. È un ricordo ormai sbiadito che svanisce nel nulla ad ogni colpo di scalpello della mano di dio sulle fragili vite di noi poveri umani destinati dalla nascita a rincorrere l’incanto.
È questa la differenza tra ciò che sono e quel che vorrei essere, tra quello che un bambino vede di me e quello che io credo di trasmettere. Non sono niente di tutto quello che vorrei, e poco di quello che posso fingere di essere. Sono una parte di quello che tutti vedono, e un’altra parte di ciò che non sarò mai. Sono tutto questo e molto di più, so di tutto questo e poco di meno, come se la certezza di conoscere ogni mio più profondo pensiero non possa essere altro che l’ennesimo soffio di quel dio che mi sta facendo navigare verso acque sconosciute e malsane nonostante tutte le mie paure e le mie ansie.
Credo di conoscermi, e di sapere anche quello che io stesso penso, dico, affermo, quando poi a rileggere le mie stesse parole ad un giorno di distanza sono convinto siano state vergate da qualcun altro, da una mano che non è la mia, da un brillare d’emozioni che non mi appartiene.
Io non sono un marmo bianco, e nemmeno mi dovrei illudere di poterlo o volerlo diventare. Io non sono una statua, ma solo il respiro di me stesso, e l’illusione di tutto quello che vorrei diventare. Io sono la paura di vivere, ed il terrore di sospirare. Io sono la vergogna, e vivo soltanto dei miei stessi incanti.
Lasciatemi a me.
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