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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Dicembre 2006

17 dicembre 2006
CASA

Merri Crisma
Sono tornato a casa.
Esistono posti che infondono pace, e nei quali ti senti immediatamente a tuo agio. Esistono posti che sembrano fatti apposta per non andare mai via, o per farvi ritorno dopo un lungo viaggio. Esistono posti in cui ti sembra di non essere mai andato via, che ti accolgono sempre a braccia aperte, in cui senti che puoi essere te stesso senza cercare di apparire come qualcun altro, o come quello che non sei. Esistono posti che devono farti ricordare che non c’è famiglia migliore di quella che ti crei, per passare tutto il tempo della tua vita, giorno dopo giorno, sempre.
Sono tornato a casa.
Conosco ogni singolo centimetro di questo posto, ogni mattone, ogni leggera sfumatura di tinteggiatura, ogni venatura nel legno, ogni suono che vi echeggia dentro, ogni rumore di sottofondo, ogni grumo di coscienza sollevata dal bancone tra un sorriso di malinconia e l’altro, come ad un incontro di nuvole in cielo dopo un’intera notte stellata passata a cercare il filo di Arianna perduto da una stella cadente solitaria nel blu più profondo della notte.
Sono tornato a casa.
Ho varcato la soglia dopo mesi di lontananza, ed è stato come non essere mai andato via. Ho salutato qualcuno fuori dall’uscio, e qualcun altro appena entrato. Un saluto alle anime dietro il bancone, un saluto ad un volto amico, ad un tavolo lontano. È incredibile come il testino tessa in modo benigno e beffardo i fili delle nostre vite, portandoci ad incontrare volti che non comparivano davanti ai nostri occhi da tempi immemori, portandoci a dubitare della linearità stessa del tempo nel suo dipanarsi, portandoci a chiedere al primo fondo di boccale quale sia il suo più profondo segreto che ci ha celato fino a cinque minuti prima.
Sono tornato a casa.
Ho ordinato una guinness. Ho scambiato quattro parole con dio. Ho preso appunti delle risposte, cercando di evitare di pormi troppe domande. Ho brindato alla gioia. Ho brindato alla vita. Ho brindato a me stesso.
Sono tornato a casa.
Sono tornato al Gallo Nero.

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12 dicembre 2006
PORTA

Oggi parlerò di libero arbitrio.
Immaginate una porta. Una porta di casa, di un cinema, di un ristorante. Una porta di un parrucchiere, di un bar, di una libreria. Immaginate una porta qualunque, di un colore qualsiasi, con le fattezze che più piacciono a voi. Spessa, artigianale, rinforzata, in legno, massiccia, trasparente, a soffietto, aperta, socchiusa, divelta o sprangata. Immaginatevi nell’atto di avvicinarvi ad essa, mentre cercate di allungare la mano in direzione della sua maniglia. E finalmente la aprite, se prima era chiusa. O la chiudete, se era aperta. O ne fate quel che volete. Quel che volete voi.
Una porta non ha una vita poi così intensa. Aperta. Chiusa. Aperta. Aperta. Ancora chiusa. Aperta. Chiusa. E di per sé non sarebbe neanche una brutta vita, se soltanto fosse lei a decidere quando aprirsi e quando chiudersi. Ed invece no.
Sono altri a scegliere per lei. Sono altri a decidere cosa sia meglio per lei, quale sia la sua condizione migliore, momento dopo momento, sempre. Senza mai un attimo di tregua, o la possibilità di riscattarsi. Mai. Per sempre. Ovunque e con chiunque. D’accordo, ci saranno porte più fortunate di altre, a seconda del contorno in cui sono inserite. Ma a nessuna di loro sarà mai concesso il privilegio di una scelta. Mai.
Questa è la differenza tra noi e le porte.
Le scelte.
Poter scegliere.
È vero, ci sono persone che sono come porte chiuse, e si lasciano aprire da chiunque, a piacimento. Ma avranno sempre, prima o poi, la possibilità e la speranza di opporsi a quei gesti, a quelle scelte, a quelle volontà altrui.
Non montate cardini attorno alle vostre vite, non lasciate che il prossimo vi trasformi in una porta dorata e che segna l’ingresso al paradiso stesso, perché non è quello il vostro destino. Non lo è mai stato, e mai lo sarà. Diffidate di chiunque dica il contrario.
Voi non sarete mai la porta per il paradiso, ma il paradiso stesso. Con tutte le gioie che vi sono dentro, e che sono già dentro di voi, si proprio voi. Fatele uscire, quelle gioie, e lasciate che prendano la direzione che più meritano, che più desiderano, che più ricordano di aver sognato. Lasciate che le gioie che sono dentro di voi possano scegliere di essere delle gioie, perché è questo che fa di loro il paradiso che voi portate dentro.
Non chiudete i battenti al libero arbitrio. Non lasciate che altri scelgano per voi anche solo quelle piccole cose che rendono grande il mondo che vi circonda. Non limitatevi da soli. La vita è troppo breve per trasformarvi in un semplice “istante”. Voi siete il percorso, e non la destinazione.
Vivete. Vivete. Vivete.
E non badate agli spifferi tutto intorno a voi.

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