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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Gennaio 2007

12 gennaio 2007
SALUTE

Prima o poi, capiterà.
Prima o poi, vi alzerete la mattina e guardandovi allo specchio vedrete quello che tutti gli altri hanno sempre davanti agli occhi ma a cui voi non siete abituati. Vi vedrete diversi da come vi ricordate, vi vedrete peggiorati, vi vedrete "sfatti", vi vedrete vecchi. Magari lo siete davvero, magari no. Volgerete lo sguardo allo specchio e vi chiederete: "perchè?". Forse troverete una risposta, forse no. Ed è esattamente a questo punto della vostra vita, che potrebbe saltare la molla fatidica. La molla dello sport.
Ci sono due modi immediati per riprendere il controllo del proprio corpo, quando non lo si riconosce più, quando non è più quello di un tempo, quello che ci ricordavamo. Ci sono due modi, dicevo: andare in palestra o andare a correre. La palestra ha un suo costo, la corsa no. Ma un genovese, se impegna dei soldi per una palestra è poi più motivato ad andarci per l'impegno preso (più che con la sua coscienza, con il suo portafoglio). Io ho scelto la corsa: meno orari, più libertà, più economia.
Si parte sempre con buoni propositi. "Andrò a correre tre volte alla settimana". Che poi diventano due. Ed infine si riducono ad una volta sola. Fino a sparire del tutto. Chissà. Se questa decrescita è abbastanza prolungata nel tempo, magari le corse avranno già sortito l'effetto desiderato, e non saranno un cedimento morale ma più che altro un passaggio di volontà ad altri interessi. Se invece la decrescita dovesse essere estremamente veloce, è un brutto segno. Decisamente brutto. Per quanto mi riguarda, posso dire di essere solo alla prima settimana, e di essere riuscito a mantenere la promessa fatta a me stesso: sono andato a correre tre volte.
La prima cosa da decidere, una volta preso il fatidico impegno, è: "dove vado a correre?". A Genova, in centro, la scelta è abbastanza semplice. Quasi obbligata: si corre in Corso Italia. E così è stato, anche per me. Quando si raggiunge il largo marciapiede che costeggia il mare, si cominciano ad intravedere tutti i podisti che, da anni, affollano quella zona di Genova e la rendono una specie di palestra a cielo aperto. Tute all'ultimo grido, bandane fosforescenti, pettorini colorati, cronometri in mano, iPod di ultima generazione per accompagnare e ritmare i propri movimenti, scarpe da ginnastica da urlo, pantaloncini aderenti, cani al fianco, fiati pesanti e magliette di marca. Andare a correre in Corso Italia è un po' come assistere ad una pubblicità televisiva, di quelle dove cercano di convincerti che fare sport è bello, fare sport è sano, fare sport è facile. Col cazzo, visto il fiatone che mi ritrovavo dopo nemmeno dieci minuti di corsa. Ma questa è un'altra storia, visto che erano circa tre anni che non praticavo più praticamente niente, conducendo una vita sedentaria e riposata.
In cielo, le stelle guardavano ammirate quella processione di anime singole, a coppie o in gruppo, tutte tese a mettersi in mostra e far splendere i propri corpi nello sforzo di essere ancora giovani, ancora in forma, ancora freschi e riposati. Ed in mezzo a tutti, c'ero io. Pantaloni della tuta degli anni del liceo, di quelli neri con una striscia arancione sui lati, e maglietta verde acceso a maniche corte. Non avendo un marsupio o altri gingilli tecnologicamente avanzati per portarmi dietro un minimo bagaglio, correvo con le chiavi di casa in una mano, ed il cellulare nell'altra. Il cellulare mi sarebbe servito in caso di emergenze e per sapere l'ora, visto che l'orologio l'ho tolto per evitare ulteriori fastidi. Ho corso, ansimato, sudato come non ricordavo di fare da anni. Pochi anni. Tanti mesi. Infiniti giorni. Ok, da tanto tempo.
Giunto in fondo a Corso Italia ho iniziato ad avvertire l'arrivo dei primi crampi, che ho cercato di contrastare con quelle mosse di stretching che ricordavo da anni addietro, il tutto mentre su di una panchina a fianco un atleta era impegnato in una serie di flessioni interminabili, a cui sono seguiti esercizi di addominali e quant'altro. Io ansimavo senza fiato, lui non si fermava mai. Io ero morto, lui l'essenza stessa della vita. Demotivante? Nemmeno un po'.
Sono riuscito a tornare indietro, e finire così il primo giorno di corsa. Il giorno dopo, le mie gambe erano due pezzi di legno. Di quelli duri, con le righe sopra a far capire che sono duri da anni e che, diamine, se volevi qualcosa di più morbido non avresti dovuto rivolgerti a loro, poveri pezzi di legno che chiedevano soltanto di restare a riposare per qualche tempo ancora. Per l'eternità, tanto per fare un esempio. Ed invece no. Ho costretto quei pezzi di legno a correre anche il giorno successivo, magari un po' meno, ma comunque a farlo. Ed ero sempre più morto. Poi un giorno di pausa, poi un'altra corsa. E magicamente, l'affaticamento del giorno successivo è sempre calato. Non sono calati, invece, gli atleti podisti professionisti in Corso Italia, ma questo sarebbe impossibile. Sarebbe la fine del mondo.
La fine del mondo, invece, potrebbe essere causa mia. Ho iniziato ad andare a correre. L'incredibile è stato fatto. Adesso, devo solo continuare a farlo. E prima o poi, chissà, riproverò a guardarmi allo specchio e a farmi ancora quella fatidica domanda. "Perchè?". E chissà che la risposta non possa essere completamente diversa.

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9 gennaio 2007
INNAMORAMENTO

Erano circa tre anni che non avevo notizie di lei. Non l'avevo più vista, e un po' mi mancava. La sua presenza, la sua allegria, tutto di lei mi mancava e mi faceva sentire imperfetto al pensiero che non era con me. Da qui, inevitabilmente, il desiderio di rivederla. E così è stato.
Mi ero portato da casa un abito pulito, per cambiarmi quando fossi uscito dal lavoro. Non potevo mica presentarmi a lei in quelle condizioni, dopo più di otto ore passate dietro un scrivania grigia, davanti un monitor piatto le cui uniche emozioni che trasmette sono puntini colorati e luminescenti. Mi ero portato da casa un abito pulito, e già a mezzogiorno non stavo più nella pelle all'idea dell'incontro di quella sera, al punto che mi mancava già il fiato prima ancora di averla incontrata.
Dovevo però ancora sfogarmi, liberare i miei pensieri, per non arrivare troppo teso all'incontro. Ho quindi reso partecipe delle mie ansie e della mia gioia gli amici che avevo a portata d'ascolto, e mi sono giunti consigli, pareri, dubbi, opinioni, pensieri da amici insomma.
- "Ma la conosco? Chi è? Chi è? Chi è?"
- "Spero tu non abbia portato un abito tutto nero, come al solito..."
- "E' un uomo?"
- "Complimenti!"
- "Vedi di non stancarti troppo, eh?"
Tralasciando i sottintesi inutili, era bello vedere come tutti si stessero preoccupando per me. Vi voglio bene.
Avevo appuntamento con lei alle 20 circa, sotto l'ufficio. Incredibilmente, è arrivata in leggero anticipo, e ci siamo quindi diretti in direzione Corso Italia. Il rumore delle onde che si infrangevano faceva da sottofondo musicale al nostro incedere, e le stelle in cielo ci ammiravano da lontano come testimoni incantati. Abbiamo parlato di cose futili, del più e del meno, di tutto quello che ci passava per la testa, con il solo scopo di parlare senza nessun secondo fine apparente. Abbiamo parlato di noi stessi e del tempo perduto l'uno lontano dall'altra, con la promessa implicita di continuare a vederci e la speranza di riuscire a mantenere i nostri nobili intenti. Abbiamo parlato della nostra vita e dei nostri cuori, aprendo l'anima e scoprendo di avere sempre tanto in comune, nonostante il troppo tempo trascorso senza nemmeno sentirci.
Ero felice. Il cuore mi batteva sempre più forte, il fiato iniziava a mancarmi, ma ero felice. Appagato e decisamente felice. Non riuscivo quasi a guardarla negli occhi, da quanto desiderio provavo nei suoi confronti, e rendermene conto mi ha fatto sentire ancora meglio, ancora più forte, sempre più felice.
Purtroppo, in queste occasioni il tempo è sempre tiranno e anche questo breve incontro era destinato a finire. Ci siamo salutati, stanchi per il cammino percorso ma sicuri di volerne percorrere ancora altro insieme, e ci siamo dati appuntamento a qualche giorno dopo. Sono quindi rientrato in casa, ho dismesso l'abito d'occasione e sono rientrato nei miei soliti panni quotidiani.
Alla prossima "corsa" insieme. E permettimi di innalzare un calice immaginario in tuo onore. Salute.

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7 gennaio 2007
ANNO NUOVO

È iniziato un nuovo anno.
Generalmente, in queste occasioni ci si guarda alle spalle, affrontando l’anno appena trascorso, e si fanno progetti per il futuro. Si cerca di prendere atto di quanto di cattivo è avvenuto e si fa tesoro delle esperienze per cercare di non ripeterle in futuro, migliorandosi internamente, esternamente e tutto il resto. Generalmente, si fanno promesse di buona condotta e si spera che tutta la nostra vita migliori e noi con essa, ma non necessariamente insieme.
Tutte cazzate.
Non esisterà mai un anno migliore, per il semplice fatto che quello che è appena finito è il migliore che avremmo mai potuto vivere in quello stato attuale. Se ci fossimo comportati diversamente, se avessimo agito in modo differente in questa o quella occasione, adesso non saremmo quello che siamo e che magari non saremmo mai voluti diventare, ma non possiamo farci niente. Noi siamo quello che siamo adesso, in questo preciso momento storico della nostra breve e sempre più timida vita, e nessuno potrà farci credere che il percorso fatto per arrivare fino a qui sia stato inutile. Tutt’altro.
Senza cadere in facile retorica da quattro soldi come quella che si sta già formando nel mio cervello, mi rendo semplicemente conto di quanto sia inutile sprecare energie esprimendo desideri per il futuro quando invece dovrei cercare di assaporare ogni singolo istante di questo presente che sfugge via ad ogni respiro, senza lasciarmi quasi l’aria per rendermi conto di avere già un piede nella fossa e non accorgermene nemmeno. Sono un cadavere ambulante che vorrebbe risuscitare per poter gioire nuovamente della vita, e non mi rendo conto che sto già vivendo, ma nel peggiore dei modi. Ed è per questo che smetto di respirare.
È iniziato un nuovo anno.
Quanti bei propositi nell’aria, guardando i volti che incrociano il nostro sguardo. Ed il mio è forse il più bello di tutti. Me ne vanto, lo sento speciale, unico, incantevole. Sentite che splendore, assaporate come suona bene, come sembra il paradiso sceso in terra dal più alto dei cieli incantati. Cercare di non avere propositi per l’anno appena iniziato. Ma non è forse questo un proposito esso stesso, e quindi perfettamente inutile? Sto esprimendo il desiderio di non esprimere desideri. Affascinante. E stupido, tanto per non smentirmi.
Tutte cazzate.
Qualunque cosa io mi metta a pensare, in questo momento, sono fottuto. Non esiste soluzione a questi pensieri, perché ovunque essi portino sono come un boomerang che torna a colpire là da dove sono partiti. E quindi è come commettere un suicidio colposo. Sapere di aver già perso, ma cercare ugualmente di giocare una partita fino in fondo, sperando in ogni istante che il punteggio cambi, che il risultato possa essere differente, che la parola “fine” non sia ancora stata scritta in questo foglio che è il più piccolo e così banale paradosso delle mie più misere intenzioni.
È iniziato un nuovo anno.
Gioite come me per quello che siete, per quello che sono, per quello che siamo. Insieme. Perché siamo noi a essere quello che vogliamo essere, quello che siamo, quello che saremo, e non i nostri desideri.
E dopotutto, di questo possiamo solo essere felici.

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