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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Novembre 2007

27 novembre 2007
ALLUVIONE

Lo scorso fine settimana ho preso la macchina e sono andato a Genova. Pioveva a dirotto. Pioveva talmente tanto, e forte, che la macchina sembrava volesse scivolare via da un momento all'altro, e senza nemmeno chiedermi il permesso. Ma pensa te. Maledette macchine progressiste, mi sono detto, di questo passo inizieranno a pretendere anche il diritto di voto. Figurarsi.
Sono andato a Genova, dicevo, e ho fatto una piacevole scoperta non appena ho imboccato corso Europa. La pioggia non era affatto diminuita, anzi: sembrava continuamente di attraversare un muro d'acqua, e nonostante tutto questo diluvio biblico ogni tanto si intravedeva qualche sventurato moticiclista che si divincolava magistralmente tra le vetture, come un novello Alberto Tomba. Poveri sventurati, non li invidiavo nemmeno un po'. Ma torniamo alla mia scoperta. Lì, in mezzo a corso Europa, tra un semaforo perennemente verde ed un limite dei 40 che faceva più ridere di uno spettacolo dello Zelig, c'era lui. Quel cartello luminoso. Quella scritta lampeggiante. Quelle lettere gialle. "Attenzione, possibili forti piogge". Quella risata irrefrenabile. Possibili, eh.
Ho iniziato a pensare che in fondo Genova sia veramente un popolo di umoristi. Mentre in tutto il mondo quando capita un alluvione si grida al disastro, a Genova sono presenti un po' ovunque cartelli e segnaletica pubblicitaria con su scritto "a volte capita". Come a dire: pazienza, che ci vuoi fare? Niente, assolutamente niente. Salvo poi magari incontrare un genovese che si lamenta un poco col dirimpettaio o si sfoga con la signora in coda davanti a noi agli sportelli delle poste, ovviamente. Niente, quindi, assolutamente niente.
E' stato quindi con questi pensieri che ho raggiunto il centro città, e posteggiato la macchina. Fuori, stava iniziando a spiovere, e giusto in tempo: a lato del marciapiedi scorreva felice un piccolo torrente in piena, per fermarsi giusto dieci metri più in là, e scomparire nell'oscurità di un tombino semi-aperto. Sono sceso, e mi sono reso conto di aver dimenticato la giacca all'interno; ho quindi aperto la portiera dal lato del viaggiatore, e ho tirato fuori l'indumento agognato. In quel mezzo secondo, quel mezzo fottuto secondo in cui la giacca sorvolava l'aria per poi finire tra le mie braccia, è avvenuto il disastro: la macchina fotografica digitale è scivolata fuori dala tasca interna, ed è atterrata pacificamente nel bel mezzo di quel torrente in piena che scorreva felice giusto sotto ai miei piedi.
Penso di aver riscoperto tutta la mia perduta religiosità, in quegli eterni secondi successivi. Il tempo deve essersi fermato per qualche istante, congelato dalla mia volontà e dalle mie divine invocazioni. Penso di essermi riavvicinato alla spiritualità, al legame uomo-dio, giusto per capire quale sia il rapporto che mi unisce col Credo, il Verbo e tutte quelle cose. Amen.
Credo veramente che Genova sia un popolo di umoristi. Ma falliti. Cosa ci sarà mai da ridere? Niente, assolutamente niente.
Ma a volte, capita.

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