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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
25 Giugno 2006
ADMIRAL BACKBARENTS & SALINAS

Sono astemio.
Sono astemio e per sopravvivere alla noia di serate tutte uguali e fini a se stesse, esco in solitudine e vado alla ventura. Parto senza una meta precisa. Non so nemmeno io dove finirò. Qualche sera fa, per volere del fato, sono giunto al Madeleine. Il caldo scoppiava prepotente tra quelle mura schiacciate e compresse, e tutto attorno si respirava il nero più opprimente di un inizio estate che toglie il respiro. Era il 23 giugno, e credevo fosse già pieno agosto.
Devo combattere la noia, dicevo. E quella sera mi sono imbattuto negli Admiral Backbarents e i loro suoni grezzi e sporchi, mi sono imbattuto nella loro rabbia estroversa e nella passione che trasmettono nel suonare. Confesso, i primi brani che ho sentito mi hanno ricordato certi gruppetti punk alle prime armi che non sentivo dai tempi del liceo, quando andavo a sentire amici suonare per la prima volta il loro strumento alla bocciofila di Camogli. Ma dopo qualche pezzo, nota dopo nota, canzone dopo canzone, gli Admiral mi hanno dimostrato di essere superiori ai miei ricordi, e anche più preparati tecnicamente. Un trio che ricorderò per un po’, complice anche quella splendida salita sul palco. “Abbiamo pezzi per una trentina di minuti, e dobbiamo suonare per tre quarti d’ora. Beh, facciamo pausa.” Ed un demo nella mia tasca.
Il caldo continua. Esco dal locale per riprendere fiato, e far riposare la mente. Scambio due veloci parole con la luna che mi sorveglia da lontano, e rientro per ascoltare il prossimo gruppo. Ne avevo sempre sentito parlare, ma non avevo mai avuto l’occasione di sentirli dal vivo. I Salinas, intendo.
Una formazione curiosa. Due chitarre e una batteria, senza basso. Una precisione di suoni a dir poco spaventosa, e melodie che rimangono in testa dopo pochi secondi. Un gusto musicale che è difficile trovare in gruppi indie, se così possiamo restringere e catalogare i Salinas, autori di un concerto incantevole, e mai raffazzonato. Al termine della performance mi avvicino al cantante e gli chiedo il perché dell’assenza di uno strumento così importante per la sezione ritmica. “Vedi, noi componiamo i brani spontaneamente, e ci amalgamiamo automaticamente l’uno all’altro. Il giorno che troveremo un bassista che si incastrerà alla perfezione nel nostro modo di comporre e suonare, allora avremo un bassista”. Logico. E semplice.
Mi allontano all’una passata dal Madeleine con la certezza che la serata è finita, e la noia per una sera è stata sconfitta. I ricordi dei gruppi resteranno con me e mi accompagneranno per le notti a venire, qualora non riuscissi a sconfiggere quel male che mi porto dentro. Mi sono ritrovato a cantare le mie mura nel silenzio del caldo dell’anima, in assenza di quella consolazione che un bicchiere di vino può promettere dopo un sorso di sincerità.
Dopotutto, sono ancora astemio.
Bevo solo in occasioni particolari. Ai matrimoni, quando esco con gli amici, ai concerti. Può bastare.

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