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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
25 Maggio 2006
VECCHIA CITTÀ

Cinque segni sul nudo terreno sono il simbolo dello stupore, sono il simbolo della paura, sono il simbolo del terrore supremo che ci attanaglia con le sue spire di volontaria dissolvenza incrociata. Pregate per un suono che non può accompagnare un mazzo di rose sbiadite sul tocco di un abbraccio di scuse, pianti e sorrisi, senza la passione di una colpa dissolta nel gelo dell’amore. Corro e svengo sulle mie stesse parole appena tracciate sul sentiero della memoria, fino a capire per l’ultima volta che nessuna pagina bianca è il sogno di un bambino, così come è il segno di un cantore dimenticato dietro gli occhiali appannati dell’età. Corro e piango per tutto quello che non ti ho mai detto. Finora.

Non ci sono parole per esprimere tutte le parole che non ho mai imparato, quelle che non ho mai pronunciato, e quelle che non pronuncerò mai perché mi rifiuterò sempre di imparare. Il segreto è tutto nell’attesa fine a se stessa, nell’attesa di un qualcosa che potrebbe non arrivare mai, e di conseguenza non potrà mai trovarci impreparati, per il semplice motivo che non pensavamo che l’avremmo mai meritato. Mai.

Ho visto un crollo di vetro
sul sorgere del piacere bianco
dove muore il sole.
Ho sentito un sussurro di noia
nel calore immacolato di una rima
che invano sbiadisce lontano.
Ho annusato un rimpianto nero
come se ricordassi di non avere
mai lastricato una via di pianti.
Ho toccato un solco di gioia
che nessuno ha mai conosciuto
prima di un volo pindarico.
Ho gustato un pensiero dorato
e nella speranza di una canzone finita
mi sono svegliato, finalmente.
Sempre soltanto io
sono qui con tutte le mie paure
e gli occhi che bruciano
per tutto quello che hanno visto oggi
miracoli di un domani inconsistente
che sarà uguale a oggi e a ieri.
A un mese fa, all’anno scorso.
Come un caffè andato al mare
che sorge con le onde ormai bianche
da tutti decantate
ed allo stesso tempo odiate.
Ho corso a fianco della cornice
di tutto quello che nasconde
un messia benedetto dal suono
di un violino arrugginito
che nessuno capisce
perché neanche lui sa veramente
che cosa vuole dire
e cosa sta dicendo
in quello stesso preciso momento.
Vuoi venire con noi,
e lasciarti alla spalle la solitudine?
No grazie,
sto bene così.
Sto bene da me.

Sempre solo queste parole rincorrono al vento quello che nessuno pensa possa essere il vero senso di tutto quello che possiamo capire e ricordare tra il nulla ed il niente che nessuno ha voluto affiggere nel bianco di un solitario giovedì sera trascorso tra pensieri solitari e parole rivolte all’aria di casa che nel bianco del tramonto viene in soccorso di tutti coloro che non potranno mai aspirare a più pene di quante non ne abbiano patite fin dall’alba di quel giorno incantato che è il ricordo di una volontà bugiarda che tutto distrugge nel pensiero di un uomo rinnegato e che si abbandonerà per sempre solo.

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