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28 Febbraio 2006
SERENITÀ
Questa è la ricetta per la serenità. Non ci sono dosi consigliate, o controindicazioni scritte minuscole sul bordo sbiadito della confezione. Non ci sono categorie di persone a cui possa arrecare danno, o che ne possano trarre sofferenza per un qualsiasi motivo. È questa, la ricetta per la serenità.
Diffidate da tutti quegli elisir che provano a vendervi millantatori che non credono nemmeno nella loro ombra. Diffidate da tutte quelle parole che vi versano addosso gli invidiosi, i disillusi o gli amareggiati. Diffidate di voi stessi, se solo cominciate a non credere a quanto state leggendo.
Questa è la ricetta per la serenità. Cominciate a vivere in una città che amiate, che vi tolga il respiro, senza la quale non potreste proprio mendicare un briciolo di speranza per il domani. Prendete una città da amare. Prendete Genova. Lasciate che vi avvolga nel suo oscuro manto di promesse malcelate. Lasciate che vi racconti dei sogni che ha indotto a infinite generazioni di viandanti, approdati sulle sue soglie per trovare quella ricchezza di spirito che non esiste nell’esile fiume della vita. Lasciate che vi culli con le sue carezze di marmi corrosi dal tempo. Lasciate che vi distragga con le sue oscillazioni nascoste. Lasciate che vi ricordi che la bellezza non dimora dove tutti la possono cogliere, ma nel profondo di uno sguardo timido che poco si addice all’ostentata sicurezza di una megalopoli tirannica.
Questa è la ricetta per la serenità. Circondatevi di amici sinceri, fidàti e cristallini. Circondatevi di anime candide, e lasciate che vi prendano per mano e vi conducano lontano. Lasciate che vi ricordino quanto di bello vi sia nello sbattere d’ali di una libellula, e brindate con loro al sorgere dell’ennesimo sole invernale. Lasciate alle spalle ogni insicurezza, e quella famiglia che vi siete scelti riuscirà a farvi sorridere anche quando l’inferno intero sarà in lacrime. Non piangete per esso. Brindate con lui.
Questa è la ricetta per la serenità. Poche regole semplici da leggere, ma difficilissime da seguire. Poche regole difficili da mettere in pratica, ma semplici da bruciare. Prendete questo foglio. Bruciatelo. Con esso, bruciate ogni promessa abbiate mai ricevuto per raggiungere la serenità. Non esistono regole. Non vi sono leggi. Niente elisir. Solo la cenere di un foglio inutile, e la vostra vita. Vivetevela.
Sono il suono di un ramo che si spezza
sotto il peso di uno sbattere d’ali innocente,
sono il suono di una nuvola che svanisce
dal candore di un giorno di pioggia,
sono il suono di una sguardo rapito
mentre coglie l’angolo di un sorriso rubato,
sono il suono di una goccia che si scioglie
mentre tutto il mondo dorme ignaro.
Sono tutti questi suoni
e molto di più,
sono tutti questi sogni
ma poco di meno,
sono tutti questi segni
e tutti credono di conoscermi
quando mi vedono passeggiare
per le vie di Genova
sotto i temporali
durante i funerali
o col sole infernale.
Sono tutti questi suoni
e niente di quello che avete sentito finora
avrà più un senso
perché non dovrete più star male
o interrompere i vostri pensieri
sulla presunta serenità che agognate
nelle vostre serate in solitudine
quando le lacrime macchiano il cuscino
e vi promettete che non vi sveglierete mai più
con quei pensieri maledetti
che vi bruciano l’anima
quell’anima che neanche vi appartiene più.
Sono il suono di un ordine disincantato,
sono il suono del ricordo di quello che eri,
sono il suono di tutto ciò che non sarai mai,
non abbassare il volume
o non conoscerai mai te stesso
o non sarai mai te.
Ho sputato nel piatto dove Cristo ha mangiato. Ho sputato e mi sono mondato le labbra con il mio stesso sangue, sgorgato un mattino dieci minuti dopo il sorgere del sole. Lordo dai miei pensieri, ho accentrato l’egoismo in un vassoio di speranze svanite nel buio di un pianto infantile che non è altro che la mia stessa coscienza.
Ho mangiato nel calice dove Cristo ha bevuto. Ho mangiato e tutto il cibo mi è andato di traverso, lungo quella diagonale senza ritorno che porta al condizionale. Sporco dal mio stesso vomito, ho dimenticato tutto quello che di buono non esiste nel soffio di una margherita.
Ho pregato dio e il diavolo nella stessa preghiera, affinchè io possa cambiare domani, affinchè io non cambi mai. E che si fotta la serenità. Ho pregato il diavolo e dio mi ha risposto, ho pregato dio ed il diavolo mi ha incoraggiato, ho pregato dio e il diavolo nella stessa preghiera, e mi hanno ignorato entrambi. Stolto io, e tutti i miei pensieri. Stolto io, ed il cammino di un pensiero che non vuole sparire dal mio cervello. Mente, parola, pensiero, azione. Mi manca tutto per essere completo, non mi manca niente per essere dannato. E che si fotta la serenità. Ancora una volta. Ed una volta ancora. E ancora. E ancora.
Ho sputato nel piatto dove Cristo ha mangiato. Ho riso, e mi sono tradito. Ho pianto, e mi sono condannato. Ho sussurrato il nome di dio, e sono stato perdonato. Da te? Da me. Dal diavolo. Da me. Da dio? Da me.
Sputate con me. Sputate in silenzio. Sputate urlando. Sputate sulla croce. Sputate su di voi. Sputate sulla serenità. Sputate sull’esistenza che conducete. Sputate sul diavolo. Sputate su di voi. Sputate sul vetro che vi separa dal mondo. Sputate sugli sputi che state sputando. Sputate sul silenzio. Sputate sulla serenità. Sputate su di voi.
Sputate. Sputate. Sputate. E che si fotta la serenità. Sputate.
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