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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Luglio 2001

21 luglio 2001
G8

Un pomeriggio diverso. La voglia di essere presente. Ed infine la decisione: ma si, ci vado. Ci devo andare. Per una volta non mi voglio accontentare di quello che vedo in televisione, voglio essere presente, voglio poter vedere con i miei occhi quello che succede, quello che dice la gente, quello che in televisione non si vede. E ci sono andato. Al secondo giorno delle manifestazioni contro il G8, sabato 21 luglio 2001.
L'idea non era quella di andare là ed unirmi alle proteste, ma solo dare qualche occhiata in giro, per farmi un'idea mia di quello che stava succedendo. Ed in fondo così è stato. Ma qui mi limiterò a riportare gli episodi a cui sono stato testimone. Senza alcuna conclusione.
Sono salito in moto verso le due e mezza e ho inforcato l'Aurelia. Viaggio tranquillo, pochissime macchine che si dirigevano alla volta di Genova. Appena sono arrivato in Corso Europa sono cominciati i pullman, posteggiati ovunque ai lati della strada. Ne avrò contati un centinaio, a occhio e croce. E una volta giunto all'uscita del casello di Nervi, il primo sbarramento di poliziotti, due furgoncini, tre macchine, e la solita vettura ferma per accertamenti. Sono transitato davanti alla fermata dell'autobus che prendo tutti i giorni per tornare dal Dipartimento, ed è stato lì che ho iniziato a notare il clima strano che si respirava. Non vi avevo fatto troppo caso in precedenza, ma era tutto chiuso. Blindato. Non c'era un negozio aperto, o una saracinesca alzata. Desolazione, ovunque. E nessun pedone che vagasse per le strade.
Mi sono diretto sopra Piazza Tommaseo e ho posteggiato la moto in una vietta laterale lì sopra, in modo da essere abbastanza tranquillo che non potesse succedere niente. Sono sceso giù con le scalinate e mi sono avviato verso Corso Buenos Aires. Che schifo, gente. Tutti i muri erano stati imbrattati con scritte di vario genere, parecchie vetrine erano state infrante, soprattutto quelle delle banche lì presenti, ed ovviamente i bancomat erano stati i primi a pagare lo scotto. Arrivato in Corso Torino, ho assistito allo sfilare di una manifestazione pacifica e musicale che si stava dirigendo verso Corso Sardegna, quindi al di là della ferrovia. Non mi ci sono accorpato, ma ho preferito osservare i partecipanti per qualche minuto e poi andare a vedere un po' più da vicino la Zona Rossa. Ed in quei pochi minuti ho visto di tutto. Persone di ogni età, ceto sociale o partito che sfilava all'unisono. Bello. Pulito. Quasi appagante. Certo, ho visto anche giovani con bandiere di Che Guevara e contemporaneamente telefonino e telecamera personale in mano, ma questo è un altro discorso.
Piazza della Vittoria invece era deserta e presidiatissima dalle forze dell'ordine, ed erano stati posizionati anche dei grossi container in mezzo alla strada per evitare penso eventuali cariche da parte dei manifestanti violenti che sempre ci sono e sempre ci saranno. Tutto tranquillo, comunque. Sopra la città continuavano a volteggiare elicotteri, ed il clima che si respirava era quello di una città in stato d'assedio, per non dire in guerra. Aspettavo quasi che da un momento all'altro partissero le tristi note di "One" dei Metallica, quelle quattro note scandite da rumori di guerra e proprio da elicotteri in cielo. Terribile.
Mi sono diretto verso la foce, e lungo la strada ho visto un'ambulanza caricare un ragazzo ferito che continuava a bestemmiare e ad urlare contro i poliziotti che inevitabilmente erano presenti. In mezzo a tutte quelle parole, continuava ad essere presente l'urlo "padroni!", gridato a squarciagola, con tutto il fiato che è possibile avere in corpo.
A questo punto sono tornato verso Corso Torino, ed è stato lì che sono iniziati i casini. Ho visto da lontano del fumo, e ci sono andato incontro per vedere che cosa stesse succedendo. Non pensavo che fossero fumogeni, finchè non mi ci sono trovato dentro e ho iniziato a piangere. Occhi che bruciavano e gola in fiamme, che bruttissima sensazione, ho dovuto fare dietrofront e ridirigermi tramite una vietta laterale in Corso Buenos Aires. Qui ho assistito a giovani che lanciavano pietre contro le forze dell'ordine urlando "bastardi!", e l'immediata risposta dei poliziotti a base di fumogeni e avanzamento in massa. Niente cariche incontrollate. Nervi abbastanza saldi. Un ragazzo ha rovesciato un bidone dell'immondizia, ed è stato subito assalito verbalmente da altri ragazzi con le parole "Ma a che cosa cazzo serve? Eh? Eh?". Un bell'episodio, in fondo. Sapere che un minimo di coscienza sociale era rimasta in tutta quella confusione. Anche se ad andarci di mezzo era pur sempre Genova.
Mi sono unito al gruppo di poliziotti che seguivano i giovani lapidanti e ho visto scene raccapriccianti. Una donna che avrà avuto circa poco più di quarant'anni, bionda, avrebbe potuto essere anche mia madre, che urlava a squarciagola "assassini!" rivolta alle forze dell'ordine, "non ce l'avete una madre voi!", piegata a metà lei stessa mentre gridava per lo sforzo alla cassa toracica. Un grido isterico, paranoico, che riceveva ogni tanto l'appoggio di qualche presente. Un ragazzo meridionale che si è tirato fuori il pene e ha iniziato a masturbarsi urlando "coglioni!", di fronte agli sguardi esterrefatti di tutti. Un altro ragazzo che girava con una cassetta di mele offrendole a tutti, poliziotti esclusi ovviamente. Ed un poliziotto che sussurrava ad un suo compagno, lì vicino, che si era appena tolto la maschera antigas e l'elmetto, le parole "come ne vorrei una anche io... ho una sete!". Uomini contro altri uomini. Ed infine, onnipresenti, i giornalisti con tanto di telecamere che seguivano ogni mossa delle forze dell'ordine e cercavano sempre di arrampicarsi più in alto, sempre più in alto, per avere una visuale migliore. Giornalisti italiani, inglesi, tedeschi, giapponesi, irlandesi, francesi. Giornalisti in caccia di notizie.
Erano passate poco più di due ore. Mi ero stancato. Anche perchè mi faceva male al cuore vedere come era ridotta Genova. Sapere che quelle aiuole erano state belle fino a due giorni prima, che quei negozi e quelle strade avrebbero portato il segno di quei macellai per tanto tempo ancora. Ma sapevo dentro di me che la colpa era di pochi. Pochi che si mescolavano in mezzo ai tanti, e passavano così inosservati. Impuniti. Assolti. E per fortuna non ne avevo incontrato nemmeno uno.
Tornato alla moto, avevo deciso di fare la via del mare poichè all'andata ero passato da Corso Europa, in modo da vedere anche l'altro fronte. Ho visto macchine bruciate lungo la strada, altre vetrine infrante, e l'unico bar in Via Montevideo che aveva avuto il coraggio di rimanere aperto, letteralmente assaltato da giovani assetati. Subito dopo la Casa dello Studente ho quindi svoltato a destra e mi sono inoltrato nel quartiere di Albaro. E tutto solo per finire in faccia ad una manifestazione che andava in senso opposto. Ho avanzato a fatica finchè ho potuto, poi mi sono accostato a lato della strada per lasciarla passare, posizionandomi a lato dei bidoni dell'immondizia. Ed è stato allora che li ho visti. Vestiti completamente di nero, con una maschera sul volto per impedirne il riconoscimento, avanzavano sicuri di sè e protetti dalla massa, dal gruppo, dall'apatia stessa. Giovani cavalieri di un'apocalisse moderna, i cosiddetti anarchici. Li ho visti avventarsi come avvoltoi su quei bidoni che erano di fianco a me, rovesciarli, posizionarli in mezzo alla strada come fossero una barricata, e successivamente dar loro fuoco. E nessuno che diceva niente, nessuno che poteva dire niente perchè anche se erano in mezzo a tanti che avrebbero voluto protestare, i cavalieri dell'apocalisse non erano pochi, ed erano armati. Il tutto ad un metro di distanza. Forse meno. Appena hanno girato l'angolo e la manifestazione è leggermente diminuita sono riuscito a ripartire, e questa volta senza alcun minimo ripensamento. Avevo visto abbastanza. Avevo capito.
La gente, i manifestanti, le bandiere rosse sparse ai quattro venti sono continuate fino quasi a Nervi, poi la calma. Pace. Strade nuovamente vuote. Con la certezza che stavo tornando a casa. Ma anche che quei muri sporchi, quelle vetrine spaccate, quei bidoni incendiati mi avrebbero fatto compagnia nella mente per molto tempo ancora. Ora sono qui, davanti ad un monitor che riflette i miei pensieri nero su bianco, ed un bossolo sulla scrivania con la scritta "Cartuccia 40mm a Caricamento Lacrimogeno al CN" che mi ricorderà le lacrime sparse non tanto per il fumo, ma per Genova. Per una città rovinata, piegata, spezzata, sconvolta e stuprata. E per cosa?

G8
Fumo negli occhi e
lacrime nel cuore,
sapere dentro di me
che tutto
sta bruciando ma
le scritte di fuoco
non spariranno domani,
le fiamme sui muri
resteranno
a testimonianza reale
che la guerra
è passata per Genova
e ha lasciato lo sporco
di sangue
di urla e di nero,
volontà di pochi
dannati simboli
ai quali il mio animo
non trova un senso.

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12 luglio 2001
SOLO

Fuoco che brucia
avvampa nel buio
buio dipinto
dentro di me
che sono rimasto
da solo, una sera
nel buio dipinto.

Una musica crescente
un ritmo che sale
errore su errore
una vita bruciata
emozioni rubate
da un cuore malato
che succhia i colori
del cielo serale
del mare gelato
del vento corale
che urla, che soffia
che parla di gente
morta di tedio
dolore insapore
dal gusto lascivo.

Temprato dal flusso
inerte e solare
ricorro al dolore
di note rincorse
sfuggite un giorno
ad un dio negato
che cercava invano
di essere un altro
nel buio dipinto.

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