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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Dicembre 2007

31 dicembre 2007
MONTI 2

1259

Arrivo!

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30 dicembre 2007
MONTI

1258

Arrivo!

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29 dicembre 2007
MATRIMONIO

1257

Auguri, cugino!

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28 dicembre 2007
COPIA E INCOLLA

1256

Giuro che non è vero... giuro, eh.

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27 dicembre 2007
PERFEZIONE

1255

No?

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26 dicembre 2007
GONFIO COME...

1254

...lui! E sazio.

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25 dicembre 2007
NATALE

1253

Buone feste a tutti.

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24 dicembre 2007
PUZZLE

1252

La vigilia di Natale si fa sentire...

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23 dicembre 2007
PARABREZZA

1251

Ho scoperto l'esistenza dello spray scioglineve, dopo giorni passati a raschiare con la spatola...

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22 dicembre 2007
GUINNESS

1250

Il Natale è sempre più affascinante...

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21 dicembre 2007
INVERNO

1249

Freddo.

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20 dicembre 2007
DA DHARMA & GREG...

1248

...a Lost!

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19 dicembre 2007
CONTESA

1247

Tirare su il morale, eh, che avevate capito!

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18 dicembre 2007
NATALE

1246

Quando arriva, arriva. Cazzo vorrà dire, poi.

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17 dicembre 2007
TRENI, FENICI E FIABE

Ci avete mai fatto caso? Un viaggio in treno è paragonabile ad un concerto.

Ogni stazione è come una pausa tra una canzone e l'altra, e quando il treno si rimette in cammino, dapprima lento, poi sempre più veloce, è come assistere ad un brano che nasce, si evolve, cresce, ora accelera e ora rallenta. Un brano che respira, che vive con voi, tutto attorno a voi. E voi non siete altro che i passeggeri dentro il vagone, comodamente seduti nel vostro scompartimento, persi ad ammirare il paesaggio, o più semplicemente in piedi schiacciati da anime perse e sudate che come voi sono lì per assistere a quel magico concerto che si sta svolgendo su quelle rotaie sempre fin troppo trafficate.
A volte il viaggio tra una stazione e l'altra è troppo corto, oppure vi distraete e non riuscirete poi più a ricordare bene il paesaggio, persi come siete in una discussione con il vostro vicino di posto. Altre volte invece riuscite a farvi talmente trasportare da quello che state vedendo ed ascoltando, che quei cinque minuti diventano come come per incanto infiniti e si perdono in quel confine del tempo che prende il nome di Eternità. In treno si scontrano ed incontrano culture differenti, si amalgamo persone che altrimenti non avrebbero mai avuto occasione di incontrarsi, o più semplicemente ci si può lasciar cullare da quel dolce dondolio scandito dal ritmo tra una traversina e l'altra. Mentre l'orizzonte sfreccia via, lontano, sempre più distante, fino a scomparire dietro la linea del Mai più.

Certi viaggi, poi, sono infiniti. Salite su di un treno a lunga percorrenza, e le fermate diminuiranno sempre di più, fino quasi a scomparire. Il tempo tra una stazione e l'altra vi sembrerà una sorta di epopea greca, tali saranno le diversità che riuscirete a scorgere da quel finestrino sempre più incantato che vi separa dal mondo. Sarete talmente abituati a tragitti brevi che quel viaggio infinito assumerà tutte le sembianze e la consistenza di una magica esperienza di vita. E magari non baderete a piccoli dettagli come una frenata brusca del locomotore, o un'area brulla e tragicamente rovinata da un incendio troppo recente. Non farete caso al controllore che vi distoglierà dalla culla dei vostri pensieri, e ignorerete il pianto di un bambino lontano, talmente lontano che la carrozza vicina vi sembrerà come appartenesse ad un'altra vita. Non farete caso a tutte queste piccole imperfezioni, e vi lascerete soltanto cullare da quel viaggio eterno, lungo quanto basta per farvi chiedere "di più", lungo quanto basta per non essere abbastanza, lungo quanto basta per non ricordarne l'inizio ma non volerne la fine.

I Dresda hanno abbandonato i treni regionali per salire su carrozze a lunga percorrenza. Salite con loro. Sedetevi comodamente. Guardate fuori dal finestrino. E non lasciatevi intimidire da quella scritta "prossima fermata: più tardi", perchè rischierete di chiudere gli occhi e bendarvi di fronte ad un viaggio che merita veramente di essere vissuto. Venerdì 14 dicembre, al Nota Bene Live di Rapallo, sono salito su di un treno con un biglietto di sola andata, e mi sono perso nel fascino di quel percorso, di quelle note, di quella sola ed unica canzone. Quanto lunga? Abbastanza, non abbastanza.

Dopo di loro, come a risvegliare la coscienza e riportarmi sulla faccia di questa benevola terra, hanno calcato il palco gli Splindeparì, con il loro rock progressive rinato dalle ceneri dopo una lunga pausa. Come una buona fenice degna di tal nome, hanno presentato nuove composizioni e dimostrato di possedere la giusta linfa vitale, degna di un gruppo che merita sicuramente di uscire da quella morsa locale che ogni tanto sembra voler avvolgere realtà che esistono da tantissimo tempo. Una voce calda, a volte forse non perfettamente udibile ma comunque sempre presente, che nel poco spazio a disposizione usciva e colmava gli spazi, accompagnata da una batteria sempre sul punto di cambiare tempo e rompere le righe. E così faceva. Vi erano poi un basso, una chitarra ed una tastiera, che andavano a riempire ogni buco rischiasse di restare vuoto, danzando all'unisono e intrecciando melodie mai banali o scontate. Fino allo scoccare della mezzanotte.

Mezzanotte. Quando tutto sembrava finito, Hipurforderai ha regalato un assaggio della sua eclettica arte ad un pubblico seduto per terra e raccolto come un'unica entità, ancora assetata. Di musica. Di esperienza nuove. Di suoni. Di scarpette fiabesche che non verranno indossate da una principessa addormentata, ma fuse nella pressa della vita moderna per essere poi riciclate e utilizzate come apparecchi acustici da vecchie megere. Mezzanotte. L'avvento del ventunesimo secolo, che spazza via ogni frammento del passato per poi recuperarlo e stravolgerlo al suo interno come una nuova esperienza di vita vissuta. Di vita sognata. Di vita segreta e di vita suonata. Di vita finita. Mezzanotte. La musica è finita, andiamo a dormire in pace.

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17 dicembre 2007
XKP

1245

Quando la programmazione è una cosa seria.

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16 dicembre 2007
DESTINO

1244

+

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15 dicembre 2007
GIOIE

1243

E come sorride. Cavolo.

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14 dicembre 2007
SERGIO LEONE...

1242

...spero mi perdonerà! E anche Ennio Morricone, suvvia...

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13 dicembre 2007
CAMIONISTI

1241

Accendono anche i falò serali, come le bagasce...

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12 dicembre 2007
LA MERCA

I libri sono come le persone. Sono esattamente come gli individui. Alcuni riesci ad indentificarli e catalogarli chiaramente fin dal primo sguardo. Da come sono vestiti, da come gesticolano, da come si muovono. Alcuni di questi sono calmi, pacati, quasi repressi, altri sono furenti, furiosi, agitati e iperattivi. Alcuni sono belli, altri brutti. Vi sono quelli che affascinano, e quelli che trasmettono ribrezzo dopo meno di cinque minuti. Qualcuno ti tiene compagnia per qualche settimana ma poi finisce in un buio scantinato della nostra memoria, e altri invece rimarranno per sempre nel nostro cuore, come vecchi amici d'infanzia, destinati ad essere qualcosa di più di semplici individui comuni. Lo stesso vale per i libri, che ancora di più si prestano ad essere conosciuti, vissuti, catalogati ed infine schiarati in file immaginarie di librerie mentali. Ma a volte, magicamente, si incontra lo sconosciuto. L'ignoto. Il nuovo.
A volte capita tra le nostre mani un libro che non ci aspettavamo, un libro che forse non era destinato a noi, un libro il cui fato s'è incrociato al nostro, solo grazie al caos primordiale che comanda i fili delle nostre menti intorpidite dalle abitudini quotidiane. Un libro tanto affascinante quanto difficile. Un libro che non è possibile canonizzare all'interno dell'esperienza vissuta, e quindi riesce ad aprire la mente a nuovi pensieri, a nuove emozioni. A nuove realtà. Un libro da scoprire. Un libro da amare. Un libro da vivere. Incondizionatamente.

Non lasciatevi ingannare dalle dimensioni de La Merca, perchè dentro quelle piccole pagine c'è molto più di quello che si potrebbe pensare, e la lettura non scivola via affatto leggera e leggiadra come uno potrebbe aspettarsi. Ogni lettera al suo interno ha un ben preciso significato, ogni punto diventa verbo, ogni frase è pensiero. La sua autrice, Chiara Daino, riesce a imprimere in ciascuna pagina la gioia della scrittura e l'estetica della lettura, al punto che giunti al termine ci si rende conto di essere diventati dipendenti di una nuova forma di droga, una di quell più sottili e pericolose. Ma il viaggio mentale fino a quell'ultima pagina è un percorso che non si può cercare di narrare o confinare in una semplice e scarna recensione. Sarebbe come voler riassumere la Divina Commedia in una qualcosa tipo "Dante non muore ma va in paradiso". Inutile, e decisamente riduttivo. Sono però presuntuosamente convinto che se Chiara Daino avesse dovuto descrivere il suo libro a qualcun altro, ci sarebbe ovviamente riuscita. E forse, avrebbe fatto un qualcosa che sarebbe suonato pressapoco così.

Estetica la scrittura, estatica la lettura, invernale nel suo incedere, infernale nel suo creare dipendenza. Uno stile enigmistico e vero per una storia enigmatica e sincera, nera fin dall'inizio all'afona e sinfonica fine. Dichiarano a Chiara Daino: "chi darà a noi la crema?" La Merca le marca. Chiara, dai, no. Marcale, c'è l'amor. O carina, chi è la dama?

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12 dicembre 2007
CAFFÈ

1240

Sempre da solo, a ridere.

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11 dicembre 2007
COME L'OTTIMISMO

1239

...no?

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10 dicembre 2007
ORIENTE

1238

Giochi di geometria.

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9 dicembre 2007
TERRA

1237

Mai piaciuta, la Genesi.

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8 dicembre 2007
IL PESCATORE

1236

De Andrè è pur sempre De Andrè!

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7 dicembre 2007
MARTINI

1235

Che bufo, che bufo...

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6 dicembre 2007
LUNA

1234

Dal monte.

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5 dicembre 2007
LETTORI

1233

Fior fiore di lettori...

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4 dicembre 2007
DI OCA...

1232

Credeteci! Su Rieduchescional Cianne. E unitevi alla mia esclamazione.

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3 dicembre 2007
DOTTORATO

Le diversità tra persone di varie nazionalità si vedono anzitutto dalle piccole cose. Un italiano può essere famoso all'estero per la sua sfrenata passione per il calcio, così come uno svizzero può essere riconosciuto per la sua precisione maniacale, o un giapponese per la sua inseparabile macchina fotografica. Alcune volte si rischia di sfociare nel luogo comune, ma ci sono caratteristiche che sono veramente particolari e distinguibili da paese a paese. Prendiamo ad esempio i francesi.
Qualche giorno fa sono andato a trovare un'amica che discuteva la sua tesi di dottorato vicino a Marsiglia. Io mi aspettavo una cerimonia simile a quelle italiane, a cui mi è già capitato di assistere, ed in un certo senso è stata così. Un'aula spoglia e grigia, in un centro asettico e dalle pareti grigie e monotone, con tutto intorno i soliti volti da professori annoiati e corpi di studenti che elemosinano un voto solo per apparire all'altezza dei propri compagni che invece credono veramente in quello che stanno portando avanti. Parenti ed amici in egual misura. Ed in mezzo a tutto questo, vi erano alcuni particolari che risultavano fondamentalmente differenti. Stonavano quasi, da quanto mi sembravano grotteschi. E divertenti.
Immaginate sette persone, sedute in prima fila in un'aula calda al punto da essere quasi asfissiante. Immaginate questi sette docenti, chiamati ad esaminare una ricercatrice che dovrà parlare ininterrottamente per quasi un'ora. Mettete davanti a loro cinque bottiglie d'acqua, da spartirsi secondo un algoritmo che non sono stato in grado di interpretare. La ragazza alla lavagna, invece, senza neanche una goccia di liquidi, per sciogliersi la voce. Il tempo scorreva avanti lentamente, in quell'ora, minuto dopo minuto dopo minuto, ed i sette docenti ascoltavano in silenzio tutto il discorso preparato con cura dalla ricercatrice, che gesticolava animatamente davanti ad una presentazione colma di arcane formule matematiche, animazioni, effetti speciali e sicurezza espressiva. Al termine della discussione, immaginatevi una gola asciutta. Ed è allora che sono iniziate le differenze culturali.
I sette docenti hanno preso la parola a turno e, invece di limitarsi a porre qualche semplice domanda alla ricercatrice per mettere in risalto determinate parti del suo lavoro o per criticarne altre, hanno iniziato ciascuno a parlare per una decina di minuti circa, raccontando chissà quali aneddoti sulla loro vita personale, pre-scolare o accademica, che purtroppo non sono riuscito a capire poichè non capisco praticamente nulla della lingua francese. Al termine di questi dieci lunghissimi, estenuanti e interminabili minuti cadauno, ecco che faceva capolino nel discorso una mezza domanda abbozzata, ed una risata per una battuta che sembrava capissero soltanto loro. Il tutto, mentre sorsegiavano quell'acqua che a loro non era affatto stata risparmiata. Un supplizio. Ho visto occhi chiudersi, bocche ridere a denti stretti e menti spegnersi per iniziare a vagare libere da ogni costrizione in quell'ulteriore ora che è seguita a quella presentazione già così magistrale e perfetta. Ed è stato allora che ho messo a fuoco, perfette e così palesemente semplici, le differenze tra il modo di fare italiano e quello francese, che fino ad allora mi era ignoto.
Prendete un argomento qualunque. Fate parlare un italiano. Osservatelo. Il discorso non uscirà soltanto dalle sue labbra, dai suoi occhi, ma anche dai movimenti delle sue mani, dalla gestualità delle sue braccia, da ogni movimento del suo corpo. Quello che vi starà dicendo non sarà semplicemente un susseguirsi di parole, ma anche un crescendo rossiniano di dita che si agitano consapevoli di spazi non euclidei che non possono non far parte del suo stesso discorso. E per far questo l'acqua non è affatto fondamentale. Anzi. Un francese, invece, sprovvisto di tutta quest'arte plastica, si limiterà a tenere le mani dietro la schiena e cercare di prolungare anche soltanto una semplice frase nel modo più monotono e tedioso possibile, senza riuscire a destare il benchè minimo interesse nel pubblico presente.
Un gesto. Una semplice mano volta al cielo che cerca di raccogliere un oggetto invisibile, ma perfettamente presente nella mente di chi sta parlando. E di chi sta ascoltando. Eccolo, è tutto qui il segreto della dialettica italiana. Ecco il segreto della nostra capacità comunicativa. Magari non saremo un popolo di traduttori perfetti e precisi come potrebbero essere ad esempio gli svizzeri, ma siamo un popolo di oratori nati. E ci mettiamo l'anima, nel farlo. Provate ad immaginare di essere in mezzo ad una stanza vuota. Provate ad immaginare di leggere la prossima frase ad un vostro amico, senza avere niente in mano. Come la visualizzareste?
Esattamente. Proprio così.

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3 dicembre 2007
KAPPA

1231

Yeps.

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2 dicembre 2007
MONGOLFIERA

1230

Povero H.P. ^_^

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1 dicembre 2007
LA VOLPE

1229

L'uva del vicino è sempre più buona.

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