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 27 Giugno 2006
 DALLA RUSSIA CON AMORE
 
 Ci sono sere in cui hai talmente tante opportunità che non sai proprio che cosa fare. Incredibile, anche a Genova. Non sai cosa scegliere, dove andare, chi vedere. In quelle sere, inizi a pensare che non è giusto che proprio due giorni prima giravi da solo come un cane in Sottoripa, cercando con tutte le tue forze qualcosa che avrebbe potuto attirare la tua attenzione, qualcosa da fare, qualcosa da andare a vedere. E quando capitano le sere di “piena”, ahimè, inevitabilmente qualcosa va storto.
 Sabato 26 giugno era una giornata affascinante. C’era il Crevarinvade, il Play Festival, gruppi suonavano a Villa Rossi, ai giardini Malinverni, c’era la Festa della Birra, e tanto altro ancora. E non avevo voglia di uscire.
 Alla fine, trainato fuori casa da un gruppo di amici fidati, sono finito a pascolare nei vicoli, quegli stessi vicoli che osservo tutto l’anno e che mi tengono compagnia quando sono triste, quando sono felice, e anche quando sono medio. Sempre, insomma. Ho percorso via del Campo, con i suoi lastroni tutti dissimili e dissestati, e mi sono soffermato in piazza Banchi, un cantiere all’aperto in questo periodo dell’anno. Ho percorso via San Lorenzo e mi sono fermato davanti alla splendida cattedrale bicolore, con i suoi turisti sempre presenti tutti attorno manco avessero aperto un ostello lì davanti. Ed è stato allora che ho iniziato a sentire la musica. Ah, quella musica.
 In piazza Matteotti c’era un palco. Enorme, come palco. E bello. Su quel palco, si stavano alternando due gruppi folk di chiare origini sovietiche, alternandosi a balli russi di danzatori in costume. Due gruppi composti da musicisti in splendida forma, circondati da strumenti tanto insoliti quanto ovviamente affascinanti. Le musiche che proponevano erano un misto di ballate tradizionali del loro paese, inframezzate con brani di repertorio di musica classica o moderna. Ho ascoltato il “Peer Gynt” di Grieg in mezzo ad una colonna sonora di “Pulp fiction”, con un contorno di Shubert alternato ad una evocativa “O sole mio”, con un pizzico di “We will rock you” e una spruzzata di “O surdato ‘nnamurato”. Il pubblico presente apprezzava lo spettacolo che si parava davanti ai suoi occhi e incalzava i musicisti a suon di applausi, incitando quel batterista che si alternava tra i suoi piatti ed uno strano xilofono, o le balalaike che vibravano in splendide armonizzazioni.
 Entrambi i due gruppi provenivano da Ekaterinburg, sugli Urali, e riuscivano a trasmettere a storia del loro paese con quegli arrangiamenti moderni di canzoni tradizionali e non, come se fossero un’unica cosa, come se le origini di un paese potessero mescolarsi leggiadramente con tutto il repertorio musicale degli ultimi secoli senza risentirne affatto. La gente intorno a me ballava con loro, gioiva con loro, cantava con loro. Partecipava.
 Sono rimasto talmente ipnotizzato da tutti quei suoni per quasi due ore, fino alla fine del concerto e delle danze, che quando hanno terminato l’esibizione mi sono sentito come svuotato. L’incanto era finito. Spezzato dal tempo. Perduto. All’improvviso ero di nuovo in quei vicoli di Genova che per un paio di ore mi erano sembrati lontani migliaia di chilometri, e non riuscivo ancora ad accettarlo.
 La serata era finita, ma mi aveva lasciato qualcosa che mi terrà compagnia per tanto tempo. La magia di un sogno. La magia di una città lontana. La magia della Russia.
 
 
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	| [Commento lasciato da paolo il 6 Luglio 2006] |  
	| cos'è i vicoli di zena hanno la funzione del gruppetto di animaletti un pò matti creati da me.....("il vitello dai piedi di balsa")?????? |  | 
 
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	| [Commento lasciato da Pazuzu il 6 Luglio 2006] |  
	| Esattamente! Mai successo a nessun altro? :-) |  | 
 
  
 
 
  
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