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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Febbraio 2005

27 febbraio 2005
BLACK WIDOW

Non giudicateci male. Forse non saremo aquile, ma neanche dei perfetti imbecilli. Siamo solo piccioni. Non disprezzateci.
Ci piace stare sui cornicioni dei palazzi, quelli alti e vecchi del centro storico di Genova. Ci piace guardare tutta quella gente che passa là di sotto, e provare ad immaginare che vita condurrebbe se avesse un paio di ali come le nostre. Ci piace volare con la fantasia, e non solo con il corpo. E in effetti si, ci piace anche cagare in testa alle persone.
Non lasciamo mai che sia il caso a decidere quale sarà il nostro bersaglio, e ci piace non solo prendere per bene la mira, ma anche scegliere con cura la vittima. È per questo che ci piace Genova. È per questo che adoriamo il suo centro storico. È lì, esattamente in mezzo a quella Via del Campo ormai libera dalle puttane ma non dagli illusi che cantò Fabrizio De Andrè, che ha sede il nostro ritrovo preferito. Black Widow.
La musica che esce da quel piccolo e oscuro antro è qualcosa di assolutamente curioso, ed allo stesso tempo affascinante. Una vetrina minuscola e stretta, farcita di dischi dalle copertine stravaganti e dai nomi improbabili per noi poveri piccioni. Un piccolo negozio di musica in una città oramai globalizzata da grandi catene e piccole soddisfazioni. Un insignificante baluardo della cultura underground. Ma se tante persone continuano ad andare in quel piccolo ritrovo, ci dovrà essere un motivo. Potrà essere per la gentilezza dei gestori, che ti accolgono con una conoscenza della materia che potrebbe avere soltanto chi ha scelto il proprio lavoro seguendo il cuore e la passione di una vita intera. Potrà essere per la certezza che alcuni dischi non si possono trovare alla FNAC o da Ricordi, ed allora devi rivolgerti a qualcuno di cui sai di poterti fidare. Potrà essere anche per abitudine. Fatto sta che Black Widow continua ad essere un punto di ritrovo, e a restare il nostro bersaglio preferito.
È veramente un piacere svolazzarvi sopra e, dopo aver preso accuratamente la mira, cagare su quei giubbotti neri, o su quei lunghi impermeabili in pelle che vanno tanto di moda da quando hanno fatto un film su un volatile che non ha assolutamente nulla in più di noi. Il corvo, tsè. Non sa neanche contare fino a quattro, un corvo. Uno, due, tre, tanti. Prima di disprezzare noi poveri piccioni, pensate a quanto possa essere stupido un corvo. E pensate anche al fatto che è stato preso a modello di vita da tanti ragazzi, da tante persone, che si vestono come un protagonista di un film dedicato a lui. È per questo, lo confessiamo, che ci piace tanto cagare in testa agli avventori di Black Widow. Per vendetta. Per rivalsa. Per puro piacere.
Un po’ ci dispiace, per il negozio. A volte vorremmo planare fino su quella vetrina e discorrere con i gestori. Forse non verremmo compresi. Ma potremmo almeno tubare a tempo di musica. A volte vorremmo osservare un’intera giornata di quel piccolo negozio che è anche etichetta musicale indipendente. A volte vorremmo addirittura incidere un disco. Ed invece ci limitiamo a cagare. Ci limitiamo a bersagliare tutti quei metallari vestiti di nero, e anche un poco tristi, che passano là sotto. Se lo sono meritato, in fondo. Perché non hanno mai pensato di fare un film dedicato a noi piccioni? Cosa abbiamo in meno di un corvo? Noi sappiamo anche contare.
Uno, due, tre, quattro, tanti.

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12 febbraio 2005
RE SCORPIONE

Siete nel mezzo del deserto di Genova. Un deserto torrido, afa notturna e visioni incantate. State camminando in questo deserto quando, all’improvviso, la vostra attenzione viene catturata da suoni che cadono dall’alto. E se stavate camminando al centro di via XX settembre, avrete la fortuna di capitare in quell’oasi intima e perduta che è il Re Scorpione.

Se vi fermerete a dissetarvi in quest’oasi, chiudete gli occhi. Tappatevi le orecchie. Chiudete la mente. Vi troverete in un tempio perduto nel tempo e nello spazio. Inizierete a danzare. Col cuore. Con ogni singolo muscolo del corpo. Con lo spirito. E vedrete, in lontananza, un piccolo ma gigante scorpione che danza. Con voi.

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2 febbraio 2005
LUDOVICO EINAUDI

Immaginate un cielo nero. Nero come un pozzo di petrolio. Nero come l'animo di un peccatore incallito. Nero come il nero più nero del nero.
E sotto questo cielo nero, gocce incessanti di pioggia. Gocce che cadono quasi benevole dal cielo, ma non è questo a salvarvi. Le gocce continuano a cadere, e sembrano seguire una melodia che, da dietro la vostra finestra, riuscite quasi a sentire. Non udite il suono di ogni singola goccia che cade, ma udite gli accordi che ne fuoriescono, e l'armonia che sembra pervadere la terra sotto quel cielo nero.
Voi siete in casa, ed è questo a salvarvi da quelle gocce, da tutte quelle note che avvolgono il mondo intero. Voi avete un camino acceso alle vostre spalle, che vi riscalda l'anima. Sentite provenire ogni tanto qualche sparuto colpo di tosse da una stanza alle vostre spalle, ma non gli date importanza. Passeranno. Ora state prestando tutta la vostra attenzione a quelle strane gocce. Vi siete fatti rapire da quell'immagine di minuscole partiture d'acqua che cadono dall'alto e finiscono la loro vita sbattendo sull'asfalto, sull'erba, sul cemento. Gocce destinate a portare sollievo a qualcuno, e allo stesso tempo far disperare qualcun altro. Gocce portatrici di riso e di pianto, gocce che possono rendere felice un bambino e far intristire un vecchio malato di vita. Gocce che sembrano quasi una metafora di vita, incessanti ed inesorabili come la sorte di una foglia avvizzita.
A tutto questo a tratti si unisce lui, il vento. Vento che accompagna quelle gocce fatate, vento che prende il sopravvento e sovrasta anche il rombo di un tuono lontano, vento che sembra salutare e ringraziare il cielo nero di averlo portato lì, quel giorno, ad accompagnare tutte quelle gocce che cadendo al suolo sembrano note impazzite gettate su di uno spartito ingiallito dalla mano di un musicista dimenticato dal tempo e dallo spazio.
Il caldo alle vostre spalle comincia quindi a scomparire, a svanire d’improvviso, come succede ai sogni non appena sopraggiunge la veglia. Vi siete accorti che quello che volete adesso, non è il caldo fittizio di un camino acceso. Non è un gatto che vi fa le fusa in grembo, mentre leggete il giornale. Non è un paio di pantofole calde ai piedi. No, non è niente di tutto questo.
Incredibilmente, adesso l’unica cosa che voi sentite di volere veramente è uscire fuori, e correre all’impazzata lasciandovi cullare da quel mare di gocce che vi circondano. Che vi sussurrano parole silenziose. Che vi ricordano che c’è anche il vento, lì vicino, a unirvi a loro. E voi vi lascerete accompagnare da quei dolci suoni, inconfondibili e irripetibili nella vana realtà quotidiana, quando il torpore della vita di tutti i giorni prenderà il sopravvento. Siete solo più voi e loro. Voi e le gocce. Accordi di gocce in maggiore. Gocce diminuite. Gocce e vento. Vento e gocce. E voi lì, in prima fila ad assistere a quell’incredibile e pacato concerto.

Il 31 gennaio 2005, al Carlo Felice di Genova si sono esibiti due musicisti.
Ludovico Einaudi, alle Gocce e Pianoforte.
Marco Decimo, al Vento e Violoncello.
Lasciatevi cullare.

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