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Febbraio 2012
1 febbraio 2012
MEMORIA
Noi siamo quello che pensiamo, siamo ciò che facciamo, e siamo tutto quello che rimarrà dopo di noi.
La memoria è tutto, ma non serve un solo singolo giorno per ricordarci che esiste. Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, ma cosa ne resta nel resto dell'anno? Parole al vento, attaccate sul muro dei ricordi come una nuvola di post-it sbiaditi e sgualciti: un giorno non è sufficiente a redimere la coscienza e a farci sentire puliti, un giorno non basta a mondare tutto quello che non vogliamo ricordare a noi stessi nei restanti 365 giorni di questo anno bisestile. Un giorno è un ottimo spunto per ragionare, così come può esserlo un articolo letto casualmente su Vanity Fair.
Trovato in edicola il 25 gennaio, i miei occhi cadono curiosi su un'intervista ad Art Spiegelman, l'autore di "Maus". Memorabili sono le parole con cui il fumettista si scaglia contro Roberto Benigni, mandandolo letteralmente a fare in culo per il film "La vita è bella". Memorabili sono le parole, così come sono memorabili le immagini delle sue opere, in cui è riuscito a ritrarre l'orrore dei campi di sterminio nazisti senza moralismi inutili, ma semplicemente con la cronaca di un racconto che non lascia respiro e trascina fino alla nausea anche il lettore più smaliziato. "Maus" è un capolavoro che ha vinto il premio Pulitzer nel 1992 ed Enrica Brocardo, la giornalista che realizza l'intervista, ricorda come questa sia la prima graphic novel della storia.
I miei occhi si fermano.
Mi torna alla mente un film di Nanni Moretti, "Palombella rossa", in cui il regista in accappatoio si scaglia contro una giornalista, schiaffeggiandola e urlandole contro: «Ma cosa dice! Cosa dice! Le parole sono importanti! Cosa dice!» Come può un/una giornalista commettere un errore così grossolano? Come può averlo fatto? Anche riconoscendo a Spiegelman tutto quello che merita, "Maus" non è la prima graphic novel della storia: pubbicato per la prima volta nel 1986, è sicuramente successivo a "Contratto con Dio" di Will Eisner, dato alle stampe nel 1978, nel quale pare che venga usata per la prima volta proprio la definizione graphic novel. Ma non posso non ricordare anche "Corto Maltese" di Hugo Pratt, datato 1967, o l'opera argentina di Héctor Oesterheld e Francisco Solano López del 1957, "L'Eternauta". Persino Dino Buzzati si era cimentato in un poema a fumetti, nel 1969. Questi sono tutti esempi di quello che adesso, con un termine fin troppo abusato, viene chiamato graphic novel.
E allora? Il punto è che la giornalista, peccando di pressapochismo forse dovuto al voler mettere in luce l'Arte di Spiegelman, dimostra di non aver approfondito l'argomento di cui stava scrivendo, venendo così a mancare di rispetto alla memoria dell'Arte; ed è ironico quando proprio "Maus" è un monito all'umanità affinché non dimentichi mai il passato, riconoscendo gli errori e tramutando gli orrori in segni grafici espressivi e potenti.
Sono passati oramai dieci anni da quando sono stato in visita al campo di concentramento di Mauthausen, e i miei occhi ricordano ancora tutti i dettagli di quello che nel 2004 vidi nei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau: non sono mai riuscito a descrivere degnamente quello che provai in quelle ore, davanti a quei luoghi lontani, ma ogni particolare è ancora ben fermo in ogni singolo atomo della mia corteccia cerebrale. Le parole sono importanti, ci ammoniva Moretti, perché hanno il potere di restare impresse nella Storia, anche attraverso un articolo di Vanity Fair. La parole sono importanti, e non ha senso limitare la Memoria ad un singolo Giorno dell'anno, perché altrimenti rischiamo di sentirci autorizzati a dimenticare il nostro passato o, peggio, a riscriverlo a nostro uso e consumo quando più ci aggrada. Essere approssimativi anche semplicemente nella scrittura di un'intervista è un vero e proprio crimine alla Parola, alla Memoria, alle Graphic Novel: sarebbe come ascoltare Dee Snider dei Twisted Sister che urla «the sicker you get, the sicker we'll get» e non sapere che furono pronunciate, molti anni prima, già da Alice Cooper. La Conoscenza è importante e, una volta fermata su carta, è per sempre.
Noi siamo quello che pensiamo, siamo ciò che facciamo.
Sandro Bondi, Ministro della Cultura italiano nel 2010, affermò su Panorama che i Meshuggah fossero un gruppo Death Metal. Enrica Brocardo, giornalista di Vanity Fair del 2012, sostiene che "Maus" sia la prima graphic novel della storia. Musica e Grafica appianate in una carenza di Memoria, banalizzate in un'assenza di Cultura. Ed è in questo preciso punto che mi tornano alla memoria le parole di Demetrio Stratos, leader e cantante degli Area: «Come ho già detto, è tutta colpa della mancanza di educazione musicale. Noi cerchiamo di educare, ma come fai se mancano le scuole, le strutture? Ed è così anche in altri campi artistici.» Un discorso che vale per la Musica così come per il Fumetto, per la Storia e per la Parola. Dove finisce la Memoria, quando la Cultura viene a mancare?
Noi siamo tutto quello che rimarrà dopo di noi.
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