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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Gennaio 2009

27 gennaio 2009
POSTUMI

1374

"Stronzo. Stronzissimo. Eppure te ne vanti. Che coglione. Di merda."

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26 gennaio 2009
GIORNATA DELL'ODIO

1373

In corso...

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25 gennaio 2009
SHEEP TALES

1372

Chi ancora non le conosce?

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25 gennaio 2009
OMBRE

"Come prevedevo, autostrada deserta; sarebbe stato un viaggio stupendo, se non ci fosse stata nebbia: sembrava di guidare in una sala fumatori, con le strisce bianche per terra ad indicare i cessi... sarà stato per questo che a Busalla avevo già la vescica gonfia!"

Il viaggio è finito.

La nebbia sale da ogni parte, tessendo la sua tela di trasparente inconsistenza nel buio della notte. Le macchine scivolano attraverso di essa, lentamente, con tutte le luci disponibili accese, quasi vogliano tracciare un percorso invisibile che invece scompare dietro ogni curva. Dietro ogni albero. Dopo ogni galleria. La nebbia abbraccia silenziosa tutte quelle luci che appaiono e scompaiono, mentre dolci note allietano il viaggio dei pochi che pensano di mettersi in viaggio dopo mezzanotte, sperando nella clemenza del traffico. Che infatti arriva, ma con quella clemenza arriva anche lei. Di soppiatto, lei arriva senza avvisare. E tutto scompare immediatamente. Lei è venuta per ovattare tutto. Lei è venuta per spezzare le ombre che anche di notte faticano a scomparire. Mostrate rispetto. Inchinatevi, di fronte a lei. Prostratevi, di fronte alla nebbia.

E le ombre scompaiono, per cedere il posto a tutte le paure che tenete nascoste dentro il cuore. Le ombre spariscono, e a nulla serve cercare di illuminare a giorno quella grotta in cui vivete, quella grotta che vi dona sicurezza, quella grotta dalla quale osservate il mondo intero. Alzate invano tutte le luci che avete a disposizione, ma non serve a niente: più luce cercate di fare, più restate accecati dai vostri vani tentativi. Smettete quindi di proiettare su di me le vostre ombre, sperando che io mi comporti come agireste voi. Io non sono con voi in quella caverna piena di ombre in cui vi siete rinchiusi, e dalla quale proiettate tutte le vostre paure, le vostre speranze, le vostre ansie. Io non sono con voi, e a nulla serve credere che tutto il mondo sia paese. Palese menzogna. La gogna vi aspetta, nell'oscurità alle vostre spalle che striscia, e che si avvicina sempre di più.

Restate fermi. Immobili. Non cercate di muovere un muscolo. Anche aprire la bocca per sputare sentenze è un crimine in quella grotta, perchè le labbra producono ombre, e quelle ombre restano scolpite nella pietra e non svaniranno domani. Tra qualche anno, tra qualche centinaia d'anni, chissà, forse non saranno altro che polvere sul fondo di quel terreno roccioso, su cui altri piedi poggeranno e lasceranno le loro orme destinate ad arrugginire come già le vostre prima. Restate fermi. Ogni movimento non sarà altro che un tentativo di muovere quei fili da burattinaio che nemmeno possedete, e che vi rendono goffi come un cieco di fronte ad un cartello stradale. Immobili. E' l'unica speranza che vi resta, prima di essere giudicati e giustiziati dal tempo tiranno che non conosce pietà, il tempo che non si concede tregua. Restate fermi. Ovunque voi siate, respirate sottovoce: anche un sussurro è un grido per una pulce, e una pulce salta molto meglio di voi.

Tutte le macchine rallentano, in quella bianca illusione divenuta realtà. Le luci, tutte quelle luci che fino a qualche metro prima erano una traccia indiscutibile che mostrava il cammino da percorrere, diventano improvvisamente un unico alone indistinto. La nebbia avvolge tutto, e sembra voler rapire i colori verso il freddo cielo della notte, come se fossero una flotta di malsani marziani che abbandonano il pianeta dopo una cocente delusione. Nulla è come si aspettavano. Niente li ha soddisfatti, e a loro non resta altro che piangere. E così fanno, si abbandonano al pianto, un pianto silente e allo stesso tempo assordante. Sulle differenze che li separano da quel mondo che vorrebbero esplorare ma che non riescono nemmeno a comprendere. Sulle lacrime che fuoriescono dai loro corpi ma che rinnegano l'istante successivo che si sono frantumate in terra. Su loro stessi. Stanno abbandonando le speranze perchè non riescono a concepire quella realtà che per loro è aliena. Una realtà impensata. Un'ombra che si muove di vita propria, e senza seguire le loro indicazioni, i loro dettami, i pensieri che hanno sempre ritenuto corretti e che si sono rivelati corrotti. Lo spazio li attende, e sanno che non posso fare altro che tornare alla loro dimora. Non possono fare altro che rifugiarsi in quelle certezze che si sono costruiti ad anni luce da qui, e che qui non valgono. Non reagiscono ai loro stimoli. Non esistono. La strada di fronte a loro è ancora lunga, ma...

...il viaggio è finito.

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23 gennaio 2009
FRAZIONI

1371

Per la precisione sarebbe 2009,063013698 [periodico, eh]!

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22 gennaio 2009
SI, VABBÈ...

1370

...auguri però, eh! ^_^

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14 gennaio 2009
GENOVA BOULEVARD

Spazio.
In astronomia, è la porzione di universo situata al di fuori dell'atmosfera stellare o planetaria. In altre parole, è l'insieme di tutti quei posti che ci tolgono il respiro, quei posti fantastici in cui vorremmo andare o che desidereremmo tanto raggiungere, ma che per un motivo o per l'altro ci sono stati proibiti. Posti da sogno, posti che invidiamo a tutti quelli che al contrario di noi riescono a raggiungere, riescono ad ottenere. Posti incantati, che fino a qualche anno fa non eravamo in grado di immaginare. Posti che adesso ci sono stati negati, come se avessimo colto la mela proibita da chissà quale paradiso terrestre a cui nemmeno eravamo destinati.

Spazio.
In fisica, è l'elemento dell'universo attraverso il quale ci muoviamo e esistiamo, misurato nel sistema internazionale con l'unità di misura del metro e con i multipli, sottomultipli e derivati di quest'ultimo. In altre parole, è tutto quello che ci circonda, e che misuriamo [magari anche inconsciamente, ma comunque misuriamo] ogni giorno. Lo spazio a disposizione diventa un vero e proprio metro di giudizio per misurare i nostri spostamenti, se non il fine stesso. Cosa facciamo stasera? Dove andiamo? Dove? E' tutta una questione di spazi, e di obiettivi [fisici o meno] da raggiungere.

Spazio.
In grammatica, è l'elemento che separa tra di loro le parole di una frase. In altre parole, nessun dialogo sarebbe possibile senza l'ausilio di questo piccolo strumento verbale e scritto, che rende tutto più chiaro e privo di possibili equivoci. Le bocche si aprono, comunicano tra loro, scambiandosi opinioni e pareri, e tutto attraverso quel piccolo elemento invisibile che non è più un fine, ma il mezzo più potente per fare chiarezza. La parole sgorgano dalla penna, scritte come piccoli segni neri sul bianco di quel foglio di carta che tutto racchiude in se stesso. E tra tutte le parole, che siano urlate o miniate, c'è sempre lui, c'è sempre la sua invisibile presenza. Intangibile come un desiderio che non si riesce a raggiungere. Trasparente come il vento, e capace allo stesso tempo di gelare nel freddo dell'inverno o riscaldare durante l'estate del discorso. Incorporeo come l'anima stessa.

E' tutta una questione di spazi. Sempre.
Spazi che mancano sempre di più, e dei quali a Genova si sente la mancanza. Quali sono quei posti dove si può fare musica, oggi? Dove sono gli spazi in cui si possa coltivare l'arte musicale, la cultura del suono? I locali continuano a chiudere, uno dopo l'altro, cadono come soldati al fronte, oppressi e soggiogati da restrizioni sempre più pesanti, sempre più soffocanti. Esiste un palazzetto dello sport, ma è adatto solo per grandi eventi. Esistono arene e palchi all'aperto, ma non sono praticamente utilizzabili al di fuori della bella stagione. E cosa resta? Restano alcuni circoli ARCI, restano i centri sociali che per natura sono sempre criticati, e resta una manciata di luoghi al di fuori del capoluogo ligure. Restano anche i festival estivi, organizzati col sudore da poche anime che ancora credono di poter fare qualcosa, e si attaccano ai loro sogni nella speranza di non svegliarsi tanto presto. Per il resto, non ci sono alternative per portare avanti discorsi di cultura musicale, ed è francamente assurdo. E' assurdo perchè proprio quest'anno si celebra il decimo anno dalla morte di Fabrizio De Andrè, il cantautore, il poeta, il simbolo della musica a Genova. E' assurdo perchè sembra quasi che a Genova la musica sia soltanto più quel nome, e non vi sia nient'altro. E' assurdo perchè se da un lato è corretto festeggiare e solennizzare un mito, dall'altra è meschino e ridicolo che una città che si vanta di avere un così nobile cantante si ostini poi a mettere i bastoni tra le ruote a chi cerca di portare avanti un discorso di cultura e di arte. Non è un fatto ignoto che Fabrizio abbia iniziato la sua carriera musicale cantando di ghetti, di vicoli malfamati, di storie vissute da gente povera e semplice, di emarginati. I ghetti degli anni '70 sono diventati i centri sociali di oggi, e ghetti sono anche tutti quegli spazi che vengono boicottati solo perchè osano cercare di alzare la testa e proporre discorsi artistici che fuoriescono dalla normalità. E dietro quale scusa si nascondono le istituzioni che dovrebbero promuovere la cultura? Non può non venirmi in mente il discorso che il manager faceva al povero scrittore nel famosissimo film Viale del tramonto: "io ho fiducia in te, io ti stimo, ma so che per essere creativo tu devi fare la fame, e perciò ti tolgo tutto...". Sappiamo benissimo a quale universo al di fuori dell'atmosfera stiamo puntando. Sappiamo benissimo dove vorremmo arrivare. Sappiamo benissimo che quello che manca è un dialogo. E dunque è a questo che siamo arrivati? Alla celebrazione dei miti del passato, oramai troppo grandi per esistere in questo piccolo mondo, e al tentativo di distruzione di tutto quello che ne è venuto dopo? Siamo dunque arrivati al nostro viale del tramonto?

E' tutta una questione di spazi, dicevo: la musica è ancora grande, è Genova che è diventata piccola.

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11 gennaio 2009
RISPETTO

Rispetto: "sentimento di riguardo e di attenzione nei confronti degli altri, che trattiene dall'offendere, dal trattare bruscamente o in modo inadeguato". Iniziamo da questo. O dalla mancanza di questo, per la precisione: il rispetto non dovrebbe mai venire meno in determinate situazioni, soprattutto nell'ambiente musicale. Non dovrebbe mancare mai, secondo la mia personale opinione, ma ora non intendo perdermi in disquisizioni di puro carattere sociale. Procediamo quindi con ordine.

La locandina è chiara: "sabato 10 gennaio, dalle 22.30, ingresso con tessera ARCI". C'è poco spazio per dubbi o fraintendimenti. Arriviamo davanti al locale alle 22.40, un orario più che onesto, e ci troviamo davanti ad una porta ancora chiusa. C'è già qualche anima che aspetta lì fuori, al freddo, davanti a quella porta chiusa. Scopriamo che alcuni stanno aspettando dalle 22. E' inutile bussare, solo il silenzio ed il fischio del vento rispondono a quei colpi che risuonano vani e privi di eco nel gelo della sera. E' anche inutile provare a chiamare qualcuno del gruppo che avrebbe dovuto suonare quella sera, amici da tempo, così come è inutile tentare di contattare la persona che cura la promozione del gruppo in questione. I cellulari squillano, ma la risposta non è differente da quella del vento che continua a soffiare, senza sosta: silenzio, tutto intorno a noi.
Non ha senso restare ad aspettare davanti ad una porta chiusa, e decidiamo di andare a riscaldarci in un locale lì vicino. Passano i minuti, inesorabili e implacabili. Passano le mezz'ore. A mezzanotte circa, entrano nel locale altri ragazzi, che si siedono nel tavolo vicino al nostro. Scopriamo con stupore che il locale è ancora chiuso. A poco servono parole del tipo "ma in fondo lo sappiamo, lì funziona così". A poco servono giustificazioni quando i fatti parlano già chiari da soli, senza bisogno di ulteriori aggiunte. Il rispetto è venuto a mancare.
Personalmente non mi importa se il gruppo che avrebbe dovuto suonare è composto da amici con i quali magari la sera prima bevevo e scherzavo in qualche pub, davanti ad una birra. Sabato 10 gennaio sono venuto per ascoltare loro come musicisti, come artisti, come professionisti, e come tali mi aspetto che si comportino. Se mi comunichi "cerca di arrivare puntuale" e alleghi la locandina con tutte le indicazioni, io mi aspetto quantomeno di trovare il locale aperto, per tale ora. Non starò poi a criticare se inizi a suonare un'ora dopo, se ti fai attendere per far arrivare più gente o per creare suspance, ma almeno non mi hai lasciato in condizioni di doverti aspettare nel freddo della notte. Non quando hai comunicato un orario ben preciso e hai richiesto puntualità. E non puoi nemmeno nasconderti dietro un dito adducendo la scusa "ma è colpa del locale", perchè nemmeno tu [gruppo] eri presente sul posto all'ora in cui avresti dovuto esserci. Hai finito di fare i suoni alle 21.30? Mi sta bene. Devi ancora mangiare? Mi sta bene. Arrivi davanti al locale [ancora chiuso] dopo le 23.30? Non mi sta più bene.

E siamo quindi arrivati al problema di fondo. Possiamo girarci intorno quanto vogliamo, ma è sempre lei. La professionalità: "capacità, competenza e serietà nell’esercitare una professione". Non importa quanti concerti un gruppo faccia, in giro per l'Italia. Non importa quante gente vada ai suoi concerti. Quando un gruppo di Genova suona a Genova, è quasi come se stesse suonando nella propria saletta, con tutti gli amici intorno che cantano le canzoni perchè oramai le conoscono a memoria, e battono le mani a tempo... ma questa situazione non autorizza un gruppo a venire meno al rispetto per il proprio pubblico, a maggior ragione se quel pubblico viene a sentirti per amicizia prima ancora che per il lato artistico. E' come se io invitassi a cena un'amica a casa mia per le 20, e poi mi presentassi davanti al portone due ore dopo. C'è qualcosa che non quadra, c'è qualcosa di disastrosamente sbagliato in tutto questo. Poi, ahimè, a Genova siamo tutti amici e perciò felici, e si passa sopra a tante cose. Si sorvola su tanti, troppi errori, quando invece se non lo si facesse forse si raggiungerebbero obiettivi migliori e la gente si lamenterebbe molto meno. Ma finchè mancherà il rispetto, finchè si peccherà in professionalità, ho paura che i risultati tarderanno ad arrivare.

In tutto questo scenario, la presa in giro finale. Per entrare nel locale, oltre alla tessera ARCI c'erano da pagare altri 5 euro per il concerto. Come a dire: "ti sto prendendo per il culo, e intendo farlo fino alla morte". Buon per te. E' a questo che aspiri? Buon per te.

Legenda.
Locale: Milk Club.
Gruppo: 2Novembre.

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6 gennaio 2009
BEFANA

Tutto il mondo girava vorticosamente. Vampate di colori e suoni esplodevano tutte intorno, senza sosta, sotto il ritmo perenne di una danza antica di secoli. Le gambe sembravano volersi muovere da sole, ma la testa era troppo pesante. Troppo pesante. E quelle risate, quelle bocche spalancate, quelle file di denti marci che non conoscevano pudore e continuavano a brillare sotto la luce di un fuoco vivo, scoppiettante, che arrivava fino al cielo. Le ombre cercavano di ghermirla con il loro abbraccio incorporeo e palpabile al tempo stesso. Come si era trovata in quella situazione? Quando era cominciato tutto? Faticava a ricordarlo.

"Domani sera vieni alla festa nei boschi? Per te sarà una sorta di inizio."
Un invito innocente, una domanda a cui non poteva dire di no. E non era sua intenzione farlo, in tutta sincerità. Era sempre stata la sua passione, e adesso era stata invitata ufficialmente. Non vedeva l'ora. Corse a casa velocemente, e passò l'intera giornata a domandarsi se sarebbe stata pronta, cosa avrebbe dovuto dire e fare per non essere ridicola, per non passare per ingenua nonostante la sua oramai non più giovane età. Fantasticò con la sua mente su tutto quello che sarebbe potuto accadere, da quella sera in avanti. Forse non era ancora pronta, ma non le importava. Sarebbe stata all'altezza. Non avrebbe deluso nessuno.
E finalmente l'ora giunse. Arrivò sul posto con il suo carico di aspettative e di speranze, e si trovò di fronte una decina di anziane signore, come lei, che già stavano accendendo il fuoco. "Vieni, unisciti a noi." Iniziò ad imitare tutti i gesti che per anni aveva studiato solo sui libri, prese a fare tutto quello che facevano le sue sorelle maggiori. Spezzò un ramo, lo gettò in aria e lo osservò con cura mentre andava ad unirsi come per incanto a tutti quelli che già erano stati spezzati. "Tieni, bevi questo con me." Un invito di cui avrebbe volentieri fatto a meno, ma non era in condizione di rifiutare. Non quella sera. E quindi alzò il suo calice di legno e iniziò a brindare con una, poi con due, infine con tutte le streghe che si erano radunate lì quella sera per completare lo strano rituale dei boschi. La coscienza poco per volta la abbandonò, e non si accorse che tutte le altre figure avevano iniziato a danzare attorno al fuoco, e la stavano indicando deridendola. Doveva allontanarsi. Sentiva esplodere dentro di lei la sensazione di essere fuori luogo, di essere sbagliata. E a quelle dita puntate che ancora la indicavano, che ancora la deridevano, non potè fare altro che rispondere con un frase biascicata. "Beffa! Beffa naaah! Beffa! Beffa naaah!"

Si risvegliò di soprassalto. Era ancora in quella radura sperduta, tra gli alberi, tutta coperta di muschio e risate che ancora le risuonavano nelle orecchie. Il sole era già alto in cielo, e i suoi raggi illuminavano tutte quelle ombre che la notte prima le erano sembrate così tetre, così lunghe, così oscure. Che stupida. Si rese conto di essere stata solo presa in giro, e provò pena per quelle donne che avevano voluto giocarle un così brutto scherzo. Non le sembrava giusto, non le sembrava corretto, non le sembrava nemmeno lontanamente buono. E fu allora che prese la sua decisione: non avrebbe più cercato di far parte di quella congrega di streghe, dentro di sè sentiva che non era la sua strada. Lei era diversa da tutte loro. Si sentiva differente, speciale. Aveva capito la differenza.
Da quel giorno, invece di cercare di incutere timore nelle persone e godere delle sventure altrui, lei avrebbe cercato di premiare le anime candide. Non avrebbe più dedicato la sua vita a studiare malefici per far del male a degli sconosciuti, ma sarebbe stata virtuosa nonostante il suo aspetto da vecchia megera. E in ricordo di quella notte, sarebbe andata in giro per i paesi a portare doni ai bambini, le anime più pure al mondo.
Era il 6 gennaio. Era nata la Befana.

[Ispirato ad una leggenda ligure del medioevo]

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