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Giugno 2008
23 giugno 2008
CHIESA
Indelebili.
Ci sono parole che, pronunciate in un momento ben preciso della vita, sembrano volersi fissare in modo indelebile nei cassetti di quel grande archivio disordinato che è la memoria umana. Ci sono frasi che ricordiamo perfettamente quasi come se le avessimo sentite ieri, frasi di cui non riusciamo a liberarci ma che in effetti non vorremmo mai dimenticare. Non vorremmo proprio perchè fanno parte di noi, perchè sono un segno nella nostra vita, un segno delle nostre esperienze, un segno nei nostri ricordi. Un segno indelebile, come quelle parole che sentii in quel giorno lontano.
Era il mio primo anno di catechismo, e come tutti i bambini mi avvicinavo alla religione con l'inesperienza e tutte le costrizioni mentali che ci vengono imposte da famiglia e società. Come tutti i bambini ero stato abituato a credere in un Dio, in quel Dio, come se fosse la cosa più normale del mondo, senza nemmeno soffermarmi a pensarci sopra. Senza chiedermi se fosse giusto o sbagliato, e senza nessuna cognizione di pensieri razionali in effetti. Era il mio primo anno di catechismo, ero solo un bambino. Ma ricordo ancora perfettamente quello che ci disse la suora quel giorno, le parole che pronunciò e che mi si fissarono sulle pareti esterne della corteccia cerebrale. Le ricordo ancora come le avessi udite ieri, con quella voce calda e sicura.
"Che cos'è per voi una chiesa? Voi forse ci vedete muri, mattoni, o una stupida e noiosa funzione religiosa... io ci vedo una comunità di anime."
In quel preciso giorno, in quel preciso momento, nella mia mente si fermò un'immagine ben delineata. Laddove avevo sempre interpretato un termine [CHIESA] con un'accezione perfettamente negativa, si era appena aperto ai miei occhi un nuovo mondo [COMUNITA']. Una nuova opportunità [CASA]. Un nuovo senso, con significati che fino ad allora mi erano rimasti celati per chissà quale arcano gioco del destino [FAMIGLIA]. Devo confessare che il modo di parlare di quella suora era veramente affascinante, e che riusciva a farmi vivere istanti di religiosità estrema nei quali immaginavo addirittura me stesso, da grande, vestito da prete e con una bibba in mano ad andare in giro per le vie cittadine a benedire le case. Curioso. Per fortuna o per disgrazia, i casi dell'esistenza mi hanno portato a percorrere altre vie, e adesso sono finito per essere quello che sono, con i ricordi e le esperienze che si sono anche un po' allontanate da tutte quelle ore di insegnamenti in quella piccola aula di catechismo giovanile.
Alcune cose mi sono rimaste. Alcune parole ascoltate in quelle lunghe ed interminabili ore di catechismo hanno attecchito e oramai sono parte di me. Il concetto di famiglia, di amicizia, di amore. La concezione di egoismo, solidarietà, solitudine. I valori morali e sociali a cui sono tanto legato e che rinnego ogni tanto sputando su me stesso. Le mie convinzioni. I miei ideali e l'assenza di essi.
Indelebili.
Ci sono parole che si fissano addosso a noi e ci vestono come se fossero dei completi che ci porteremo fino in punto di morte. Sono i vestiti migliori, quelli che dovremmo indossare ogni volta che il caso ci pone di fronte a delle scelte che potrebbero condizionare la nostra vita. Sono i vestiti che ci impediscono di cadere in futili credi o religioni, e che sostituiscono anche l'appoggio di un amico che potrebbe tradirci senza nemmeno volerlo. Sono i vestiti fatti su misura per noi, perchè noi siamo il monaco nato e vissuto per indossarli. Non si stingeranno col tempo, non diventeranno mai troppo stretti o troppo piccoli per essere indossati. Non li dimenticheremo mai in un'anta segregata di una cassapanca impolverata e destinata a svanire nel buio di una stanza chiusa. Non li dimenticheremo perchè sono indelebili. Non li dimenticheremo perchè sono le nostre parole. Sono le nostre parole. Le nostre esperienze. Le nostre identità. Siamo noi. E come sono loro, anche noi siamo. Uguali. Perfetti. Identici. Indelebili.
"E per voi, cos'è una chiesa?"
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22 giugno 2008
CREVARI
Devo ammetterlo: non so dove sia Crevari. Ma non è importante, in fondo. Alle 19 di venerdì pomeriggio decido ugualmente che avrei tentato di raggiungere il Crevari Invade, il festival che si tiene esattamente là. Indicativamente, so che è poco sopra Voltri, ma le mie conoscenze geografiche lasciano sempre un po' a desiderare. Evito quindi di ascoltare i consigli di un amico per il semplice piacere di andare alla ventura, e parto. Parto alla volta di Crevari.
Dopo mezz'ora di strenuante coda in autostrada arrivo a Voltri, e chiedo al Casellante la direzione approssimata.
- "Giri a destra e sempre avanti."
- "Ah grazie!"
Vado avanti finchè non mi assale il dubbio di essere andato troppo avanti. E quindi mi fermo, accosto la macchina, ed entro in un ristorante per chiedere informazioni.
- "Scusi, da che parte si va per Crevari?"
- "Umph... perchè ci deve andare?"
- "Beh, sto cercando di raggiungere il Crevari Invade, sa, quel festival..."
- "Umph... si, lo conosco"
- "E mi sa dire che strada devo prendere?"
- "Che poi non lo fanno nemmeno a Crevari, ma a Campenave... capaci tutti a prendere un nome e sfruttarlo così!"
- "Beh, ma io..."
- "E' come se io vendessi qui la focaccia di Recco, e non sono a Recco... ma le pare?"
- "Eh già..."
- "Non lo posso fare! Sarebbe scorretto, non trova?"
- "Eh si..."
- "E' una questione di coerenza e di confini..."
- "Senta, la ringrazio dell'interessantissimo trattato di geopolitica, ma mi sa mica indicare dove..."
- "Umph... prenda quella strada là che sale, e la segua fino alla fine."
- "Grazie eh!"
L'indicazione era corretta. Mi inerpico per questa strada che ascende il monte in modo discontinuo, e dopo qualche tornante arrivo in cima. Posteggio, e chiedo indicazioni ad un ragazzo su come raggiungere la festa. Mi fa notare gentilmente che il posto è letteralmente cosparso di cartelli attaccati ovunque, che indicano il percorso da seguire: è impossibile perdersi. Guardo, e mi accorgo che ha effettivamente ragione. Seguo quindi i cartelli, e inizio la salita a piedi [ridendo come un imbecille da solo, perchè al primo bivio le frecce indicavano che si poteva andare sia a destra che a sinistra].
Salgo. Salgo. Salgo. Sudo. Salgo ancora. Arrivo in cima che i gruppi stanno ancora provando i suoni e montando la batteria, e decido quindi che nel frattempo posso cibarmi in allegria. Noto subito un bancone con un cartello "focaccette" che sembra mi stia chiamando a gran voce. Lascio che la mia gola mi indichi la strada, faccio lo scontrino, e mi metto in coda per prendere da mangiare. Assisto ad un dialogo tra una ragazza dietro il bancone, addetta alla confezionatura delle focaccette, e la vicina che nel frattempo spalmava la nutella. Il buio nel frattempo comincia ad avvicinarsi a grandi passi.
- "Ma non si potrebbe avere una luce, qui?"
- "Ce l'hai sopra la testa."
- "Ah ecco... e la si può anche accendere?"
- "Beh, certo, accendila pure."
- "E' questo interrutore qui?"
- "No, quello è quello generale che toglie la corrente a tutto il tendone... appunto!"
- "Ups!"
- "Hai provato ad inserire la presa? E' quel filo che penzola lì proprio alla tua sinistra."
Tutto lo stand scoppia a ridere. Mi vergogno un po' per lei, ma mi unisco alla risata generale. Mangio con calma e mi disseto beatamente, con la fatica per la lunga salita che inizia finalmente a scemare. Incontro volti noti e facce amiche, persone che non vedo da due anni e volti con cui riesco a restare in contatto ogni giorno grazie all'ausilio del computer. Arriva anche Luciano, sfoggiando due bicchieri colmi di birra fino all'orlo.
- "Ma perchè ne hai prese due?"
- "Perchè ho fame!"
Il ragionamento non fa una piega. Stupido io a non averci pensato. La serata finalmente prende il via e i gruppi diffondono nell'aria una musica allegra, tutta da ballare. Ed infatti la gente inizia, prima timidamente poi sempre più decisa, a danzare sulle note che circondano l'aria e si infrangono sugli alberi tutti attorno. Io stesso mi ritrovo a muovere il mio corpo al suono del divertimento e della compagnia. Passano i minuti, e inizio a sentire il richiamo del basso ventre che urla per poter espletare alcuni piccoli bisogni fisici. Vista la coda per poter andare in bagno, decido di ricorrere alla natura, e sfruttare il bosco circostante.
- "Dici che si può andare, di qua?"
- "Si, ci allontaniamo ancora un po' dalle luci..."
- "Eh ma io non vedo niente..."
- "Basta camminare piano."
- "E se c'è qualche coppietta che s'è appostata?"
- "..."
- "Speriamo di non imbatterci in nessuna scena imbarazzante..."
- "..."
- "Ehi! Dove sei finito?"
- "Sono due metri più in basso, qui, nel fosso..."
Esco dall'oscurità, e torno alla festa. La serata prosegue piacevolmente, fino allo scoccare del grande gong di fine giochi. Il primo giorno del Crevari Invade si è dunque concluso, e le danze ripartiranno il giorno dopo. Saluto tutti, e prendo la via di casa, barcollando un poco, ma con la luna che mi sorveglia nel cammino [grazie, Jacques].
Finalmente, anche io so adesso dove sia Crevari. O Campenave, ma in fondo non ha importanza: la geopolitica non fa proprio per me.
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16 giugno 2008
AMORE
Mi guardo indietro, e non riesco a sorridere. Ogni volta è uguale, ogni volta è diverso. Tutte le volte che sento di dipendere da te, è come se qualcosa mi si spezzasse dentro. E' come se la mia vita fosse una grande città e le mie emozioni non fossero altro che strade bagnate da una pioggia notturna e perenne. In lontananza si intravedono macchine sfrecciare in strade isolate, e si sentono tassisti che attraversano le zone abitate, da un punto all'altro, in modo continuo. In modo confuso. Una strana pace regna sovrana tutto intorno, e neanche i gabbiani osano interrompere quella strana assenza di suoni. Solo in lontananza si sente l'eco di una chitarra solitaria che infrange come il muro del silenzio, accompagnando il volo degli uccelli che sfiorano rasenti i muri delle case. Sono note solitarie, non riesco a capire bene. Sono scale blues, forse. Tendo l'orecchio. Adesso mi sento come se avessi cercato di raggiungerti tutto il giorno, senza risultato. Mi sento come se tu mi avessi detto che preferisci stare sola, piuttosto che con me. Mi sento come se il mondo intero stesse sprofondando sotto i miei piedi, dall'alto del terrazzo di questo palazzo, ed io non mi fossi mai accorto prima di quanto potessero pungere le lacrime. Di quanto potessero scavare le mie guance. Di quanto potessero corrodere il mio viso. Mi sento come se fossi in cima ad un grattacielo di questa città lontana, e stessi osservando dall'alto tutte le macchine che passano, sfrecciando incuranti della mia presenza. E da lassù, mi sembra quasi di vederti. Mi sembra di scorgerti attraverso la finestra del tuo locale preferito, ma è troppo lontana. Troppo lontana da me, troppo lontana per raggiungerti. Mi sento come se fossi lontano mille miglia, in una galassia lontana. Mi sento come se fossi su Marte.
Fanculo.
Ricordo ancora come tutto è cominciato. Ricordo ancora perfettamente come ci siamo conosciuti. Tu venisti da me, quel giorno lontano, con quel tuo sorriso profondo. Abbiamo parlato un poco, anche se in realtà avevamo ben poco da dire. Avevo ben poco da dire. Abbiamo quindi bevuto del vino, da una bottiglia che ricordo ancora adesso. Il tramonto poco per volta è sfumato nei colori della notte, e noi l'abbiamo accolto insieme, promettendoci pensieri che sapevamo non avremmo mai mantenuto. Ricordo che mi dicesti che credevi in me. Credevi in quello che ero. Chissà se adesso credi ancora che io possa amarti per sempre. Ricordo di aver assaporato quella notte il frutto della passione, e ricordo ogni singola parola che uscì dalle nostre labbra. In quel momento ero veramente colui che ti avrebbe amata per sempre. Ma quello che volevo, forse, era molto più semplice. Forse non lo capivo ancora nemmeno io, ma quello che cercavo non era altro che il tuo fascino femminile. Quello che cercavo era qualcosa che solo tu potevi darmi, e che avresti potuto dare solo a me. Mi continuavo a ripetere che il nostro amore sarebbe sfumato come petali di un fiore appassito, e che io avrei assistito a tutta la scena dall'alto, indifferente. Ero così forte e sicuro di me. Forte di un'arroganza che mi proveniva direttamente dall'ingenuità. Forte di una sicurezza che non era nemmeno mia. Prima che l'alba sorgesse, sapevo che me ne sarei dovuto andare, e scomparire nel nulla. Prima che l'alba sorgesse.
No.
Adesso invece mi sento lontano, come se un barca mi stesse portando lontano, sempre più lontano, via da te. Lontano dai ricordi che ci hanno uniti, lontano dalle persone a cui importa se io sia vivo, o morto. Ho frainteso tutto, me ne rendo conto. Un errore dopo l'altro, sono riuscito a commettere tutti gli sbagli possibili che mi accompagneranno fino alla fine della mia vita, come se fossero un mero miraggio lontano. Ma ho il ricordo di averti stretta tra le mie braccia, e nient'altro importa. Volevo solo stringerti tra le mie braccia, non chiedevo nulla più. Sei arrivata nella mia vita, come un fulmine. Mi hai illuminato l'esistenza, ridando un senso anche a tutti i miei pensieri già morti, ridando un significato a tutte le sensazioni che dovrebbero morire solo per poi sentirsi ancora, nuovamente e perennemente, vive. Vorrei non lasciarti andare mai più, perchè so che il tuo posto è qui con me. Non ti lascerò andare via, se mi prometti di non scomparire. Non scomparire mai. Io ti prometto le stelle, e l'intero firmamento al di sopra di esse. Mi sento come se fossi in una galassia lontana, e tutto quello che chiedo è stringerti ancora tra le mie braccia. Voglio solo stringerti, qui tra le mie braccia. Non scomparire. Non scomparire mai.
Ricordo.
Quand'ero piccolo mi innamoravo di tutto. Anche se mi dicevano che a un dio a lieto fine non avrei dovuto credere mai. Anche se il mio amore era solo una risata. Eri tu. Eri il mio sorriso, eri la mia risata. Anche se forse non mi seppellirai, so che mi terrai compagnia per tutta la vita. Che io sia su Marte o meno. Non importa. Per te non scomparirò all'alba. Voglio solo stringerti ancora a me. Non scomparire mai.
Rido.
[Liberamente ispirato da "might as well be on mars" di Alice Cooper, "i fade away" dei Cryhavoc, "starlight" dei Muse, e "coda di lupo" di Fabrizio De Andrè]
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11 giugno 2008
COMUNICAZIONE
I tempi cambiano. I mezzi di comunicazione si evolvono, nascono e muoiono, come piccole farfalle destinate ad un singolo giorno di vita. I rapporti interpersonali sono sempre più frenetici, non si fa quasi in tempo a dire "ciao" che ci si sente rispondere "è stato bello conoscerti". Tutto è accelerato, adrenalinico, esagerato. Non ci si ferma più ai lati della strada a vedere se arriva una macchina, tanto il pedone ha sempre ragione. E poi c'è internet.
L'era digitale ha creato nuove forme di comunicazione che fino a poco tempo fa non erano neanche immaginabili, e ora si può raggiungere un amico lontano in pochi istanti, e senza pagare una bolletta telefonica infinita. Messaggi istantanei, a disposizione tutto il giorno. Si rischia di perdersi in un mare di possibilità, senza cartine di navigazione in questo nuovo oceano inesplorato. E inevitabilmente, nascono nuove fobie, nuove paure, nuove paranoie. Avete mai provato a leggere le frasi che compaiono sotto i vostri "contatti" digitali? Cosa significano? Vi siete mai soffermati per un istante a cercare di ragionare su cosa stiano cercando di trasmettere? Cosa stanno tentando di comunicare? Provateci. E tremate.
Aspettando l'inaugurazione...
Daniele non ridere...
Every fool can write code that a machine can understand, good programmers write code that a human can understand.
Giovedì la porta blindata.
Some things have to be believed to be seen.
Ne sei sicuro?
Se la sorte t'è contraria e mancato ti è il successo... smetti di far castelli in aria e va a piangere sul...
Perchè di mattina alle nove gli occhiali da sole sono FONDAMENTALI XD
La legge non ammette ignoranza, ma tollera decisamente la stupidità!
Looking for...!
Trovo molto interessante la mia parte intollerante...
Una delle malattie più diffuse è la diagnosi.
Bella difesa, bravi!
Sono su oblivion, se sei Elena, uno squillo sul cell per contattarmi.
Ho mal di testa!
Alive with the glory of love.
Sono il tuo pennarello.
Mugello e Rossi!
Grossa crisi, mollatemi.
Some people aren't nice to hippos...
Una pera ed una mela giocano a carte. La pera dice alla mela: "Pesca!"
Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle.
Ah, ok!
Believe in me as I believe in you, tonight.
Buona la cataplana.
Macchina burocratica... migliorerà?
Stasera colonia sonora!
Non andate al Moody a pranzo che è carissimo.
Adelina, l'hai rotto...
Se non sono qui, sono altrove...
Sgolato.
E' inutile, non sono ancora vecchio quanto vorrei... mi incazzo ancora!
A chi si sta riferendo? A me? Oddio, che cosa gli ho fatto? Cosa avrà voluto dire? Perchè ce l'ha con me? Dove ho sbagliato? Potrò rimediare?
Tremate.
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5 giugno 2008
GOCCE
Le gocce continuano a cadere, lentamente.
Dal grigio tenue delle nuvole che incombono sulla mia testa, le gocce continuano ad infrangersi al suolo, una dopo l'altra. Ininterrottamente. Dal grigio soffuso che illumina il giorno, le gocce crollano sui tetti, sui prati, sulle strade, sulle macchine, su di me. Lentamente, come se la loro stessa caduta fosse misurabile in un periodo di tempo che sembra essersi fermato. Per sempre. Una dopo l'altra, le gocce assumono quasi una loro identità, e diventano una diversa dall'altra. Ciascuna differente. Ciascuna unica e ciascuna altrettanto distinguibile.
Ad un tratto, il tuono ed il lampo squarciano il cielo sopra di me, e tutto si fa chiaro per un istante. Ogni cosa sembra immobile in quel preciso istante, e tutto sembra eterno. Tutto sembra senza inizio e senza fine. Senza un fine. Giace ferma la città, giace inferma la città. La pioggia cade, e lava via i peccati da questi tetti, da questi prati, da queste strade, da questa macchine. Da me. Sono felice perchè queste gocce stanno purificando quest'aria, sono felice perchè questa pioggia lava queste strade ed entra dentro di me. Mi sento puro, purificato, eterno come non sono stato mai. Mi sento differente. Mi sento unico come quella goccia che si è appena appoggiata laggiù, dietro quel muro. Dietro di sè.
Le gocce continuano a cadere, lentamente.
Giace ferma la città, silenziosa come non lo è stata mai. Tutti sono nelle loro tane, rintanati nel caldo delle pallide sicurezze a cui si aggrappano cercando di evitare la caduta delle gocce su di loro. Ma non si può schivare una goccia di pioggia, non si può evitare che su di noi prima o poi cada tutto il destino di una vita destinata proprio a noi. Giace inferma la città, mentre la pioggia urla tutta la sua furia in questa giornata di purificazione, in queste ore di santi e di eroi. Il tempo per pentirsi delle proprie azioni è oramai finito, e tutto il nostro passato appartiene a ieri. Alzo il calice al cielo, e brindo al vuoto. Non importa quanto siamo stati ladri di emozioni, o amanti di passioni. Tutto scivola via, come un fiume in piena che porta con sè l'orizzonte di un viaggio oramai giunto al termine. Un viaggio che sembra non finire mai, un viaggio che è finito ancora prima di cominciare, e se guardi alle tue spalle chiunque può capire che non ha poi perso molto. Chiunque lo sa. E lo sai anche tu. Lo sai benissimo. Non si può schivare una goccia di pioggia, non si può evitare di alzare lo sguardo al cielo e assistere alla caduta su di noi di tutte quelle passioni bagnate che chiamiamo dolore. Che chiamiamo sentimenti. Che chiamiamo calore. Che chiamiamo emozioni.
Le gocce continuano a cedere, sempre più lentamente.
Tutto intorno, riesco a distinguere ogni odore che sale dal terreno, dai tetti, dai prati, dalle strade. Sale e mi assale l'odore dell'asfalto, l'erba, i fiori, il vento, al punto che mi viene voglia di spogliarmi, e mi trovo a desiderare che tutto questo entri dentro di me, e non sia più solo una patina opaca che mi avvolge con le sue promesse di sicurezza. Voglio che mi entri dentro, e distrugga tutto ciò che può, tutto ciò che raggiunge, tutto. Mentre tutto intorno piove, piove, piove. Piove, e mi accorgo di stare ridendo al vento, ai fiori, all'erba, all'asfalto stesso, come a dimostrare che il mio orizzonte è oramai raggiunto, è vicino a me. La mia strada è davanti. Non ha più senso volgere lo sguardo alle spalle, non si può tornare là. Non si deve. Mentre fuori piove.
Piove. Ma sono felice, perchè lava queste strade. Perchè entra dentro di me.
Esco per strada.
Guardo negli occhi di un ragazzo che mi guarda, con uno sguardo innocente. Mi osserva senza dire niente. Guardo nei suoi occhi e quando vedo che sta per chiedermi "perchè?" non trovo altro che rispondergli "questo è niente, adesso è ora che io vada". E' oramai calata la notte, ed è una notte senza luna, persa in questo mare di gocce che continuano a cadere senza sosta. Senza sosta. Il ragazzo mi segue per quella che è la mia strada. E' un diciottenne alcolizzato, lo capisco subito. Lo accompagno al primo bar, gli verso da bere ancora un poco, e mentre quello mi guarda lo anticipo ancora e "amico, ci scommetto che stai per dirmi che adesso è ora che io vada". L'alcolizzato mi capisce, lo vedo dalle sue pupille. L'alcolizzato mi capisce, e non dice niente. Non dice mai niente. Però mi segue, ancora, in quella che è la mia strada. In quella che è diventata la sua cattiva strada.
Ad un certo punto sparisce nel nulla. Rimango solo. Come sono sempre stato, come capisco che sarò sempre. C'è chi può dire che sia un bene, così come c'è chi dice che sia un male. Poco importa. Io so solo che non vi conviene venir con me, dovunque vada, non vi conviene proprio. Ciascuno ha il suo cammino da percorrere, ciascuno ha la sua strada da seguire. Che sia buona o cattiva, contiene comunque un po' di amore per tutti, e tutti quanti vi possono trovare un amore. Io l'ho trovato. Ed è proprio lei. E' la mia strada. La mia cattiva strada.
Le gocce continuano a cadere, lentamente.
[Liberamente ispirato a "Piove" dei Timoria. E a "La cattiva strada" di Fabrizio De Andrè]
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3 giugno 2008
HORROR
Il silenzio scende in sala. Il film ha inizio.
Mi sono sempre piaciuti i film horror.
Il piacere di quel brivido che cala lungo la schiena nei momenti più terrificanti, quando il regista riesce finalmente a creare attimi di puro terrore. Il piacere di quella goccia di sudore che cola mentre assisto a scene che mi augurerei rimanessero nella pellicola, ferme su quello schermo gigante. Il piacere di provare paura, almeno al cinema. Paura elegante, paura sottile. Paura gentile. Il film prosegue con alti e bassi, con grida interne ed esternate, con momenti di pausa e di delirio puro. Sussulto, mi emoziono, rido, mi soffermo su un pensiero, stringo le mani a pugno, sorrido, salto sul sedile, sgrano gli occhi. Tutti i colori delle emozioni mi passano davanti agli occhi, fotogramma dopo fotogramma, come se fossero ricordi in punto di morte. Il buio della sala mi avvolge nel suo silenzio immacolato, e mi culla nel calore del suo abbraccio notturno.
Mi sono sempre piaciuti i film horror.
In tutti questi anni, però, ho notato una piccola e lieve mutazione all'interno delle storie che ci vengono raccontate. Se fino a qualche anno fa l'eroe classico era il tipico ragazzone americano che avrebbe dovuto salvare la ragazza di turno dalle mire di uno psicopatico assassino - lo so che è una semplificazione eccessiva, ma lasciatemela fare - negli ultimi tempi c'è stata un'inversione completa della storia. Sempre più spesso, infatti, è la ragazza ad arrivare alla fine del film contusa e ammaccata, ma salva, mentre il ragazzo ahimè muore nel tentativo di salvare stupidamente e cavallerescamente la controparte femminile, o viene semplicemente massacrato nel modo più stupido che lo sceneggiatore abbia ritenuto opportuno. Questo, come ho detto, è quello che accade semplificando il più possibile le storie, senza stare ad osservare se il "cattivo" sia uno psicopatico, un fantasma, un virus letale, uno zombie, una mummia, o una videocassetta che se la guardi dopo sette giorni muori. Non importa. Alla fine, sarà la ragazza a sopravvivere.
Lascio da parte le mie riflessioni, le rinchiudo in un cassetto nel più profondo della credenza delle mie attenzioni, e torno a godermi la pellicola che sta avanzando sempre di più davanti ai miei occhi. Siamo quasi arrivati al punto in cui si capirà qualcosa del passato dell'omicida, per poterne intuire maggiormente le motivazioni. E' uno dei punti caldi della pellicola. Non ricordo nemmeno più il titolo da quanto mi sono lasciato catturare dall'evolversi della storia. Partecipo alle emozioni dei protagonisti, patisco con loro, mi spavento per quello che vedono, urlo silenziosamente per quello che sentono, piango per quelli che cadono. Per quelli che non si rialzano. Per quelli che annegano in pozzanghere di sangue larghe come un letto matrimoniale che non verrà mai più scaldato. Mai più.
Ed è allora che capisco.
Quella che sto guardando non è una semplice pellicola cinematografica, ma è piuttosto una riduttiva rappresentazione della mia vita, l'ennesimo tentativo di guardare dall'esterno quell'orrore elegante sottile e gentile che mi divora da dentro. Sussulto, mi emoziono, rido, mi soffermo su un pensiero, stringo le mani a pugno, sorrido, salto sul sedile, sgrano gli occhi. Vivo. Giorno dopo giorno, in quell'infinito film horror che è la vita quotidiana, sotto i continui assalti del destino. Quando ero giovane il protagonista che avrei salvato al termine di quel film era un ragazzo. Un uomo. Il mio corpo. Non avrei mai pensato di dover salvare nient'altro. Poi il tempo passa, scorrono gli anni e con loro le esperienze di vita. Adesso, so che c'è ben altro da salvare. Una ragazza. Una donna. La mia anima. E così, continuo a guardare, e allo stesso tempo continuo a piangere su quel film che prosegue senza sosta, con alti e bassi, con grida interne ed esternate, con momenti di pausa e di delirio puro. Continuo a guardare il film, ed il buio della mia vita mi avvolge nel suo silenzio immacolato, e mi culla nel calore del suo abbraccio notturno.
Mi sono sempre piaciuti i film horror.
Il piacere di quella goccia di sudore che cola mentre assisto a scene che mi augurerei rimanessero nella pellicola, mentre so che non è affatto così. Non è affatto così. Siamo quasi arrivati ad uno dei punti caldi della pellicola. E della mia vita. L'assassino sta per incontrare faccia a faccia i protagonisti. La tensione aumenta, i pugni si stringono, l'attenzione è assoluta. Qualcuno morirà, qualcuno sopravviverà. Succede in tutti i film horror, lo so. Ma non importa.
Alla fine, sarà la ragazza a sopravvivere.
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Antro del Fato: 1, 2, 3, 4 Control Denied: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 Control Denied 2: 1, 2, 3 Imagine 7D: 1, 2, 3, 4 Le sole 24 Ore: 1 Lupus: 1
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