Twitter
LinkedIn
Google+
YouTube
Facebook
Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Marzo 2008

31 marzo 2008
CORONCINA

Grigia, come i ricordi che iniziano a svanire. Grigia, come le ragnatele che poco per volta la ricoprono sempre di più. Grigia, come le parole, le ultime parole che ci siamo scambiati quel giorno di tanti anni fa. E che mi assalgono travestite da rimpianti, come sempre. Come non più.
Cosa resta adesso di te? Una foto sorridente, dall'alto dei tuoi 23 anni che allora mi sembravano una meta lontanissima, un traguardo da raggiungere. Una foto sorridente, nella tua uniforme militare, ed un sorriso carico di speranze ed aspettative. Una foto sorridente, incorniciata e oramai sbiadita sul freddo marmo della tua lapide. Cosa resta adesso di te? Il ricordo, un frammento di una vita passata insieme a rincorrere i sogni l'uno dell'altro, a prenderci in giro, a mandarci affanculo, a ridere insieme, a insultarci, a giocare, ad affrontare un giorno dietro l'altro come se non dovessero mai avere fine. Cosa resta adesso di te? Una collezione di parole che si accalcano e mi riportano alla memoria un gusto o un colore, un gesto ed il calore, quel candore ingiusto che è venuto a mancare. Cosa resta adesso di te? Una visita al cimitero, ogni volta che torno sulla strada di casa. Una visita al cimitero, con le lacrime che trattengo a spinta forzandole verso l'alto, come a cercare di fermare la gravità che le rovescia verso il terreno freddo e spoglio. Una visita al cimitero, sempre più breve, sempre più intensa. Una visita a te, che mi aspetti di laggiù, sorridente come allora.
Grigia, come i ricordi che non svaniranno mai. Questo è il colore della tua lapide, ma non quello dei fiori che sempre adornano il tuo spazio, il tuo tempo, il tuo essere. Grigia è la tua lapide, ma null'altro più. Cosa resta adesso di te? Una coroncina di fiori, candidamente adagiata da chissà chi in un angolo di quel cimitero. E' il tuo cimitero. E' il mio ricordo. Sono i tuoi colori. Sono i miei ricordi. E' la tua coroncina.

Commenti (4)



27 marzo 2008
MAGAZZINO PARANOIA

A volte è bello fermarsi davanti ad uno specchio. A volte è bello fermarsi e basta. Ci si guarda, ci si osserva con calma, spostandosi un po' a destra ed un po' a sinistra. Ci si tocca il volto quasi con sospetto e circospezione, come se la persona che stiamo guardando non sia quella che era lì davanti l'ultima volta che l'abbiamo fatto. Ci si ammira, un po', anche. E altrettanto un po', ci si incazza.
A volte è bello fermarsi e chiedersi: come ho fatto a diventare così? Come ha fatto a venirmi quella piccola fossetta sulla guancia? Perchè ho sempre meno capelli? Ma il mio sorriso è davvero così penoso come lo vedo io? Ho gli occhi piccoli? E la pancia? Ma te guarda che gambe storte! Dio, che brutto profilo. E quelle occhiaie? Quanto tempo è che me le porto dietro? Saranno solo giorni, o è una cosa cronica? Aiuto.
A volte è bello, dicevo, fermarsi e ritrovarsi a parlare un po' con se stessi. Una volta superato lo shock iniziale su tutte le piccole attrazioni fisiche, una volta che si è passati oltre tutti i nostri difetti che ben conosciamo ma che cerchiamo sempre di ignorare per andare avanti. Come siamo diventati quello che siamo? Quali avvenimenti ci hanno portato ad essere noi? Siamo soddisfatti di quello che vediamo nello specchio, e di quello che gli altri vedono in noi?
Il più delle volte, ne sono fermamente convinto, l'ultima risposta avrà un suono decisamente negativo. O almeno, così è per me. Tutte le volte che mi fermo ad osservarmi, e vi giuro che mi capita abbastanza spesso, non riesco mai ad essere soddisfatto di quello che vedo. Osservo difetti di carattere, imperfezioni di atteggiamenti, orrori di personalità. Tutti miei, una piccola bottega degli orrori che sta aperta ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette, giorno e notte, festivi inclusi. Una piccola bottega che non aspetta altro che di accogliere ignari clienti e sommergerli con promesse che non riuscirà a mantenere, con illusioni di articoli in vetrina che mai corrisponderanno alla realtà. Una sorta di catalogo ikea pronto all'uso, ma che non verrà mai recapitato a domicilio. Insoddisfatti e mai rimborsati, sarebbe lo slogan di questo fantastico magazzino paranoia.
Come sono diventato quello che sono? Attraverso anni di duro lavoro, per cercare continuamente di migliorarmi. E se adesso sono così, provate ad immaginare quale catastrofe io potessi essere in precedenza. Cioè, provateci soltanto. Anzi no, in realtà non vi conviene. Lasciate che sia io a farvelo immaginare, e poi chiudiamo il discorso. Immaginate un tavolo in legno, malamente intagliato, con le gambe rozze ben tozze, e scaglie appuntite che fuoriescono ad ogni centimetro. Ogni anno, un falegname diverso arriva e prova a dare qualche colpo di pialla. Una scartavetrata. Una passata di lucido. Una verniciatina. Il risultato è che quel tavolo che potrebbe servire a chissà quante cose, in realtà non è altro che un'accozzaglia di colori e tentativi di essere migliore di quello che dovrebbe e potrebbe essere, se solo fosse accettato per quello che è. Un tavolo in legno. Un semplice tavolo in legno, senza fronzoli di sorta, o ambizioni lussuriose. Un primitivo tavolo in legno primevo. Tutto qui.
E tutto qui è anche quello che sono, quello che mi sento. Mi guardo, mi sputo in volto, e mi giro dall'altro lato. E' bello fermarsi e ritrovarsi. E' bello perchè finalmente possiamo prendercela con qualcuno, per qualcosa di cui nessuno può dirci niente. Niente. Perfettamente niente. Guardatevi, guardatemi. Sputatemi addosso, e chissà che non serva a togliermi un po' di quella vernice che ben poco mi si addice, che chissà come un giorno ho deciso di tingermi addosso. Sputatemi addosso, e voltatevi altrove. Non ve ne porterò rancore, ma toglierò dalla vetrina un articolo che tanto mai nessuno comprerà. E chissà che, prima o poi, quel magazzino paranoia di cui sono giudice e giuria non riesca finalmente a chiudere, per esaurimento scorte.
Chissà. Voi, intanto, sputate.

Commenti (4)



26 marzo 2008
RISPOSTE

Per Pavese
E poi perché è ritornata nel cuneese? Per Pavese?
Domanda difficile, che andrebbe rivolta un po’ a tutti, quando torniamo in un luogo che ci ha segnato il passato. Perchè si torna sui propri passi, per volontà? Perchè ci si è costretti? Per affari o per affanni? Per Pavese o per piacere? Non so. Quello che so è che una parte di noi può essere felice di tornare in un posto che una volta chiamavamo casa, un posto che ha visto momenti felici e che si pèrdono nei fumi dei tempi che furono. Un posto che non potremo dimenticare, ma che magari vorremmo. Ma allo stesso tempo, è anche un posto che odiamo dal più profondo del nostro intimo, per quello che ci ha lasciato e per ciò che non ci ha perdonàto. Per quello che ci ha fatto diventare e per ciò che ci ha negato. Per tutto, e allo stesso tempo per niente, quel niente che adesso ci ritroviamo tra le mani e che guardiamo con occhi colmi di stupore e per dono divino.
E poi, perchè sono ritornato nel cuneese? Per Pavese?
Abbozzo un sorriso, e mi allontano in silenzio.

Poesia
Cala la nebbia, e lentamente ricopre l’orizzonte. Cala la nebbia, e tutto improvvisamente svanisce. Ogni singolo dettaglio scompare alla vista, come se non esistesse, come se non fosse mai esistito. Cala la nebbia, e scopro che il bianco mi avvolge e mi abbraccia, con tutto il suo candore incorporeo. Cala la nebbia, e davanti agli occhi non rimane altro che la fine dei miei piedi.
Il resto, tutto il resto, è un continuo inizio.
Cerco in tasca il mio taccuino, quelle quattro pagine bianche su cui sono solito prendere appunti. Il mio taccuino, la mia porzione di anima portatile che mi accompagna sempre nei miei viaggi all’interno del mio stesso spirito, e che non mi lascia mai solo. Il mio taccuino, che riesce sempre a stupirmi per la sorpresa di certi pensieri che vi ritrovo alla seconda lettura. Come se quello che vi ho appena scritto non fosse mio, come se quello che ho appena letto non fosse un mio pensiero, ma soltanto un’eco lontana di un qualcosa che cerca istintivamente di uscire dal mio corpo.
Prima di imparare a leggere, ho imparato ad ascoltare.
Scrivo due parole, ma subito mi annoio. Scrivo due frasi, e già mi sono stancato. Scrivo due pagine, e capisco che non avrei mai dovuto iniziare. Poggio quindi la penna, e lascio vagare lo sguardo su tutti quei pensieri irrisolti che mi accalcano la mente, che mi oscurano la vista. Cerco invano un percorso da seguire in tutto quel bianco, in mezzo al candore nebuloso. Cerco invano una strada da seguire, ma non riesco a trovare il mio cammino, non riesco a ricordare un insegnamento che mi possa portare a qualcosa. Vedo però qualcosa in lontananza. Laggiù, nel nulla, mi pare di scorgere delle macchie scure.
E non sono consigli, ma solo tracce.
Inizio a muovere i miei primi passi in quel paesaggio onirico che altro non è che una pianura satura di nebbia, e di pensieri incastrati nelle loro stesse trame. Cerco di pensare a qualcosa di positivo, e mi ritrovo a fischiettare dei gioiosi motivetti che non credevo nemmeno di conoscere. Mi sembra di essere quasi felice, in pace con me stesso, ma dentro di me so che mi sbaglio. Mi sbaglio. Lo so. Non basta una canzone felice, per riempire il mio cuore, per cullare i miei pensieri.
Non basta cantar d’amore, perché sia poesia.
E allora capisco che la vera poesia è nella nebbia, è QUELLA nebbia, è in tutta quella parte di mondo attorno a me che non vedo, e che quindi non riesco a scrivere e descrivere. Mi circonda, ma non riesco a toccarla, a raggiungerla, a vederla. La percepisco, la annuso, la sfioro, ma… ma in fondo, che cosa mi importa?
L’ultima parola, come la firma, è la mia.

Intervista
Colta in dama.
La pedina è arrivata alla fine della scacchiera, ma il suo tragitto oramai è finito. Terminato. Concluso. Ha avuto una breve vita, di casella nera in casella nera. S'era anche illusa, in gioventù, di potersi muovere non diagonalmente. Ma invano. Ora una mano la priverà del suo spazio nel gioco, e tutto finirà. E' perduta.
Colta in dama.
Cosa potrebbe fare? Forse provare ad spettare una risposta dall'alto, che mai arriverà? O provare a rispondere al richiamo di quella voce che sente provenire da lontano, ma che invece è dentro di se? Provare ad assecondare i suoi pensieri, le sue volontà, le sue passioni. Provare a colorare le sue intenzioni di blu, e liberarle nel vento bemolle. Provare a vivere. Ecco. Assecondare quella voce. Si.
Daino clamat.
Una pedina, da lontano, risponde alla vita.

Commenti (0)


ULTIMI COMMENTI

05/08: My BEST 10 ALBUMS
05/08: My BEST 10 ALBUMS
13/07: Ipse dixit
13/07: Cipolla
13/07: Ezio e le Scorie Lese
13/07: Cipolla
13/07: Cipolla
24/01: Cipolla
24/01: Cipolla
30/05: Ciambelle
30/05: Ciambelle
14/03: Ipse dixit
19/01: Steganografia Metallorum
03/01: Professioni
03/01: Professioni
27/11: PENDULUM
24/11: Professioni
19/07: Nevermore
19/07: Nevermore
30/12: Math

DOWNLOAD ZIP

Antro del Fato: 1, 2, 3, 4
Control Denied: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10
Control Denied 2: 1, 2, 3
Imagine 7D: 1, 2, 3, 4
Le sole 24 Ore: 1
Lupus: 1