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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Febbraio 2013

20 febbraio 2013
EZIO E LE SCORIE LESE

Ero ancora alle scuole medie quando venni in contatto per la prima volta con il gruppo Ezio e le Scorie Lese. Sono oramai passati più di vent'anni, ma ricordo ancora quel viaggio in pullman verso la piscina comunale, quando un mio ex-compagno delle elementari [alle medie ci assegnarono a sezioni differenti, e ne fui felice: l'avevo sempre detestato con ogni fibra del mio spirito] si mise a cantare a squarciagola una canzone a me ancora sconosciuta: il "Papppero". Quello fu il mio primo contatto.

Nonostante l'odio per quel mio ex-compagno, iniziai ad adorare le loro canzoni. Al liceo giravo con il walkman senza cuffie sulle note di "Essere gonna oggi", suscitando lo sdegno di compagne e professori quando Ezio intonava il ritornello. Soffrii come un rottweiler quando morì il sassofonista. Andai a sentirli più e più volte dal vivo. Mi iscrissi per qualche anno addirittura al fanclub. Insomma, seguii con attenzione ogni loro passo, comprai ogni uscita discografica, cercai ogni singolo fosse distribuito negli autogrill. Il tutto, cercando sempre di osservare con occhio critico il lato artistico e musicale.

La prima crepa [nel mio credo] credo si sia formata all'epoca dell'uscita del disco "Rattini". Che senso aveva? Era una sorta di best-of di canzoni reincise, e allora? Che cosa rappresentavano? Avevano forse iniziato a perdere inventiva? Proprio loro? Sarà stato perché nel frattempo il cantante avesse iniziato a scrivere favole umoristiche per bambini, o fosse colpa anche [qualcuno ha detto X-Pactor?] di qualcos'altro? Non lo so, ma l'uscita di quell'album mi lasciò alquanto perplesso. Poi, quest'anno, eccolo lì: il colpo definitivo.

"La panzona monogota", se mi si concede la triviale citazione, secondo me è una cagata pazzesca. A parte il riuscire a suscitare un immediato tormentone, che però diventa fastidioso già al terzo ascolto, mi pare uno sfoggio di tecnica e perizia e nient'altro. Che senso ha presentare una canzone del genere ad un Festival della Canzone Italiana? Siete bravi, ok. Siete ottimi musicisti, ok. Sapete eseguire cambi di tempo e genere come se respiraste, ok. Ma nel mio cervello si forma soltanto una gigantesca domanda: credete forse che Picasso giocherebbe a Pictionary, o Umberto Eco si iscriverebbe ad un torneo di Ruzzle?

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