SHADOW GALLERY - shadow gallery (1992)
Gennaio 2000
In ambito progressive metal il 1992 verra' ricordato soprattutto per l'uscita di un disco epocale come "Images and words" dei Dream Theater, un album fenomenale che, infranti i cuori della stragrande maggioranza dei "metallari", ha allargato con una semplicita' disarmante lo stesso concetto di musica "heavy metal". L'uscita di opere di questa caratura, se da un lato dona nuova linfa e vigore ad un genere musicale, dall'altro diventa l'unico punto di riferimento per migliaia di gruppi parassiti che (di li' a poco) nasceranno con l'unico intento di clonare quell'album o di ricrearne l'atmosfera e la magia, senza ovviamente raggiungere il proprio scopo. In quanti (ultimi Dream Theater compresi) hanno cercato, in questi anni '90, di rifare un disco come "Images and words"? In moltissimi. C'e' stato un periodo in cui una band metal su due aveva un tastierista fisso nella propria formazione e definiva la propria musica "progressiva", proprio come accade oggi, momento in cui il mercato e' inflazionato da gruppuscoli senza idee che sperano di vendere solo perche' usano la doppia cassa a manetta.
Non e' (naturalmente) un problema del solo "I&W", ma rappresenta il prezzo da pagare per l'uscita di qualunque capolavoro: non appena questo sara' sul mercato, potete scommettere che esistera' subito qualcuno pronto a copiarlo. Ma i capolavori spesso nascono per una serie spaventosa di coincidenze, altre volte per semplice casualita'. E' per questo che sono unici, e che ogni tentativo di riproporli sotto una nuova veste risultera', in ultima analisi, inconcludente.
Tutto questo per parlare degli Shadow Gallery, una delle poche band di metal progressivo che NON cerca di rifare i Dream Theater. E meno male. Nel 1992 (l'anno 0 per il progressive metal, dunque) esce "Shadow Gallery", sorprendente debutto di questa band americana dalla forte personalita', innamorata in modo sviscerato del romanticismo di un certo prog rock anni '70. La passione del gruppo per maestri come Genesis e Yes non puo' certo passare inosservata, e gli Shadow Gallery non fanno niente per nasconderla, ma anzi, la sfruttano a loro piacimento e la integrano alla perfezione nella miscela sonora proposta. Il sound e' maestoso (sinfonico, oserei dire) e tastieristico (le chitarre rivestono un ruolo spesso marginale, almeno in questo disco), quasi mai propenso a passaggi eccessivamente virtuosi (al contrario di quanto fanno i cugini Dream Theater) ma incentrato in particolar modo sulla melodia e sulle linee vocali, sempre convincenti, dolci ma mai sdolcinate, vero trademark del gruppo. Rivestite da arrangiamenti ricercati e a dir poco sublimi, e cantate con classe e teatralita' da un singer di primo piano come Mike Baker, le sette canzoni che compongono il disco, sempre sognanti ed eteree, sono un caleidoscopio di sensazioni difficilmente descrivibili a parole. Come si fa a restare insensibili di fronte a gemme come la struggente opener "The dance of fools"? Questi sono ricordi, sperduti in un qualche angolo della memoria. Residui di emozioni infantili("When only dreaming set you free"). Rimpianti di amori mai sbocciati. La spettacolare melodia alla "Shadow Gallery" continua a cullarci con le seguenti "Darktown" e "Mystified", altrettanto belle e particolari, ricche di cesure acustiche e di parti piu' aggressive (senza mai esagerare, comunque) mentre disorienta l'andamento metallico di "Questions at hand", dai toni vagamente A.O.R.
"The final hour" e' introdotta da un arpeggio dolce ma minaccioso allo stesso tempo (come se fosse stato scritto da Criss Oliva in persona) e si sviluppa in una miriade di cambi di tempo e di armonie (mai scontati ne' fastidiosi) e la penultima "Say goodbye to the morning" (in cui compare anche un flauto) sembra aver stretto un patto con la malinconia, ed appare triste ma non disperata. La sopresa finale di "Shadow Gallery" si chiama "The Queen of the city of ice", lunghissimo brano (oltre i 15 minuti) che rappresenta al meglio tutto quello che e' la musica del combo americano, e che gioca con geniali intrecci vocali e su cori di eccelsa fattura, delicati arpeggi e lunghe parti tastieristiche. Emozioni a non finire, insomma.
Se siete tra coloro che non ascoltano gli Slayer (grande gruppo, per carita') dalla mattina alla sera, cercate questo disco (ma anche i due successivi!) e dategli un ascolto. Potreste scoprire della grande musica, egregiamente suonata. Potreste scoprire un grande gruppo.

VOTO: 1/1
Gianluca "Geoff"
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INFO:
Anno: 1992
Etichetta: Magna Carta
Durata: 59.56 minuti
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