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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Settembre 2009

29 settembre 2009
NESSUNO

Guardami negli occhi.
Pensi di sapere chi io sia: buon per te. Pensi di conoscermi in virtù di qualche mese trascorso a condividere parole e luoghi comuni: buon pro ti faccia. Lascia per un attimo che tutta questa tua spavalderia ti scivoli addosso e goccioli via, lentamente, lungo quelle dita che mai stanno ferme. Lascia per un secondo che il respiro si soffermi, e alza lo sguardo verso quel punto di fuga lontano: non mi vedrai più davanti ai tuoi occhi, non sarò più di fronte a te. Hai creduto di conoscere qualcuno che non ero, hai immaginato di avvicinarti ad una maschera che ti sei costruita da sola, e mi hai posto sul volto. Hai sbagliato. Io non sono quella maschera, io non sono quel volto. Io non sono quello che vorresti vedere, a volte non sono nemmeno quello che io stesso vorrei vedere. Ma di una cosa posso dire di essere assolutamente sicuro: so chi non sono. E, posso assicurartelo, non sono la persona che pensi di vedere davanti a te.
Prendimi la mano.
Quanti vestiti ho indossato in tutta la mia vita? Non lo so, non mi sono mai fermato a contarli. Magari ricorderò qualche abito in particolari occasioni, magari la mia memoria si soffermerà su un episodio ben definito o su qualcosa che non riuscirò mai a dimenticare, ma il numero preciso... beh, quello proprio non riesco a riportarlo alla mente. Quante volte ho salutato agitando la mano, quante volte ho sorriso con un solo angolo della bocca, quante volte ho abbassato il capo, quante volte ho pianto perchè non ero quello che avrei voluto essere. Quante occasioni ho sprecato, nel corso di tutti questi anni. E, sono pronto a scommetterci, è un numero di gran lunga superiore a quello dei vestiti che mi sono calato addosso, che mi hanno ricoperto una spalla o una gamba, per una mezz'ora o un giorno intero. Tu dici di conoscermi. Fermati un attimo e chiediti: hai conosciuto me, o soltanto il vestito che quel giorno stavo indossando? Hai creduto di vedere un insieme di colori in movimento, o ti sei soffermata a chiederti il perchè di quel singolo, minuscolo, piccolo cenno increspato sul limitar del labbro?
Pronuncia una sola sillaba.
Potrei stare ore a raccontare favole e storie dalla dubbia plausibilità. Potrei lasciare che la mente vaghi libera per mondi incantati e dimenticati, lasciando che improvvisamente prendano forma e sostanza grazie al solo tremare della voce, grazie alla semplice bellezza del suono. Potrei rimanere in silenzio per giorni lasciandoti credere che quello che non sto dicendo è quello che non vorrei mai dire, quando la realtà sarebbe assai differente. Faccio fatica io a comprendere quello che penso, come puoi arrogantemente illuderti di riuscirci tu, soltanto perchè hai un punto di vista esterno? Non giudicarmi, non pensarci nemmeno. Lascia che la mia vita prosegua, un vestito dopo l'altro, senza tentare di indossare la maschera di salvatrice dell'universo intero o soltanto del mio. Non lo sei, non lo sarai mai. Non permetto alle mie stesse mani di accarezzarmi, non vedo perchè dovrei lasciarlo fare alle tue. A volte non riesco nemmeno ad alzare lo sguardo davanti allo specchio, non farebbe differenza se fossi tu a sostenerlo. Lascia ad un muro questo compito. Lascia ad un chiodo questo peso.
Cammina.
Non voltarti indietro, perchè non c'è niente che valga la pena di guardare. Non preoccuparti, non diventerai una statua di sale se anche tu lo facessi, ma sarebbe soltanto una semplice perdita di tempo. Del tuo, del mio. Ho di peggio da fare, e sono convinto che tu abbia di meglio. Macerami sotto una catasta di pensieri irrisolti, svanirò presto. Scomparirò nel soffio di un grigio indefinito e la pioggia ricomincerà a cadere intorno a quelle pareti di vetro che sono la mia immagine, rendendomi indefinito, sbiadendo i miei contorni. Mi strapperò di dosso quel vestito che oramai non mi va nemmeno più, e infine crollerò per terra. Non crucciarti. So rialzarmi, l'ho sempre fatto. Anche quando persone che credevano di conoscermi erano pronte a scommettere che il mio nome sarebbe stato il prossimo da appendere al muro.
Continua a camminare.
Lo farò anch'io. In un'altra direzione.

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7 settembre 2009
FAVOLA

Lasciate che mi racconti una storia.
E' una storia che risale a tanti anni fa, ma che per un motivo o per l'altro è sempre rimasta chiusa in un cassetto. E' una storia che ha provato a uscire da dove era stata stipata, ma non ha mai avuto la forza necessaria e il coraggio sufficiente per muovere i primi passi, per vedere la luce con le proprie gambe. E' una storia che ho ritrovato sotto troppi centimetri di polvere, e ho infine deciso che è giunta finalmente la sua ora, è arrivato il suo tempo, adesso tocca a lei. E quindi, lasciate che ve la racconti, e che la ricordi a me stesso: tutto inizia così.

C'ero una volta, tanti e tanti anni fa, sotto le spoglie di un ragazzo solo. Avevo tanti amici, è vero, e non ero emarginato dal mondo come purtroppo spesso accade a tanti ragazzi meno fortunati di me... ma non tutte le sfortune brillano sotto la luce del sole. Decisamente no. Ci sono maledizioni che ti si attaccano alle spalle e ti portano via una fetta di normalità che tanto avresti voluto, guardando il mondo intorno a te. Ci sono destini che sembrano beffarsi delle tue volontà e continuano a deriderti senza sosta, incuranti delle lacrime che ogni notte, appena toccavi il cuscino e provavi a prendere sonno, trovavano la loro strada attraverso il buio della tua camera. Dolori ovunque, fitte su tutta la schiena per un male che non avresti voluto, che non riscontravi in nessun altro, che maledivi ad ogni respiro. E le lacrime, incessanti, continuavano a cadere e a rigare quelle lenzuola, notte dopo notte, privandoti del respiro e di quella voce che non risuovana disperata nella tua testa. Quando finirà? Quando diventerò normale? Ogni movimento era un concerto di sofferenze, e non esisteva al mondo una posizione che potesse donarti pace e riposo. La pelle si ribellava alle tue preghiere disperate, e seguiva la sua strada verso quel dirupo fatto solo di ossa, carne e sangue.
"Stai tranquillo, vedrai che poi passa. Ci vuole solo un po' di tempo."
Ma il tempo, a quell'età, si sa: è la peggiore delle punizioni. Un mese assume la durata di un intero decennio, e una semplice pacca sulla spalla come dimostrazione d'amicizia diventava un supplizio destinato a placarsi più di dieci minuti dopo. Giorno dopo giorno, mese dopo mese [e ancora: anno dopo anno], la maledizione non accennava a diminuire minimamente, e la pre-adolescenza aveva oramai ceduto il posto all'adolescenza vera e propria, senza che quel ragazzo trovasse la pace che così ardentemente desiderava. Quella pace che oramai gli pareva quasi un miraggio, abituato com'era a quelle notti insonni passate a urlare a ogni muscolo che si tirava, abituato com'era a quelle giornate in cui un semplice gesto lo rendeva nervoso e lo faceva scattare di paura. Era questo il destino a cui andava incontro? Era questa la vita che gli si profilava davanti, e a cui doveva assistere immobile e senza avere alcuna voce in capitolo?
"Prendi questa medicina, vedrai che guarirai. Vedrai che andrà tutto a posto."
Fu una sorta di fulmine a ciel sereno, dopo così tanti anni di pianti e lacrime a cui nessuno aveva assistito, e che erano rimasti un segreto tra lui e le sue voci interiori. La speranza si era riaffacciata sotto le sembianze di una pillola magica da assumere tre volte al giorno, sotto opportuna ricetta medica. Che fosse la fine di tutto? Forse, in fondo, esiste una cura per ogni male del mondo. Forse, sotto sotto, non esiste malattia o maledizione che non possa venir guarita. Questi erano i suoi pensieri, queste le sue più segrete speranze nei giorni in cui iniziò a seguire quella terapia. Ligio come un condannato a cui viene posta davanti agli occhi la possibilità di salvezza, un magico elisir di resurrezione dalla morte, il ragazzo seguì alla lettera ogni indicazione, e il miracolo infine avvenne. Il corpo reagì. Le ferite che aveva accumulato negli anni poco per volta iniziarono a rimarginarsi, a chiudersi. Non sparirono certo del tutto, restava qualche cicatrice a testimoniare che non si può togliere un quadro da un muro senza che rimanga il buco del chiodo che vi era fissato fino a pochi istanti prima, ma poco importava. Poco gli importava. Era talmente felice che faticava a capire quelle strane sensazioni che iniziarono poco per volta ad assalire la sua mente, il suo subconscio. Non ne aveva mai provate prima di simili, e non riusciva a comprendere da quale angolo del suo cervello potessero arrivare, ma quello che importa è che c'erano. Erano lì, ben presenti, e non accennavano a volersi spostare nemmeno di un centimetro. Il ragazzo smise quindi di seguire la cura prescritta, e non passo molto tempo che quel farmaco miracoloso fosse bandito perchè causava crisi depressive che, nei casi peggiori e più sfortunati, avevano portato direttamente al suicidio.

Non sempre esiste il lieto fine, non sempre "e vissero felici e contenti" compare a carattere gotico sullo schermo di quel cinema infinito che è la nostra vita. Cosa ne fu di quel ragazzo, cosa ne fu di me? Ecco: io sono qui a raccontarvi una storia di tanti anni fa, una storia inutile, una storia che risuona nel silenzio delle notti e che va a raggiungere ancora tutti quei solchi sul cuscino che non scompariranno domani. Io sono qui a scrivere parole vane per ricordare a me stesso che ogni tanto fa bene togliere la polvere da vecchi racconti, da vecchie vicende. E lui? Che fine ha fatto quel ragazzo? A volte lo immagino ancora abbracciato a tutte le sue lacrime, con la rabbia per un male che non scompare e la speranza di vedere finalmente l'alba di un nuovo giorno. A volte lo penso ancora spaventato dal contatto con il mondo. Altre volte lo vedo come se rifiutasse ogni medicina mentre si ripete all'infinito "vedrai che poi passa, vedrai che poi passa, vedrai che poi passa". Ma la verità, in fondo, credo che sia una e una soltanto: è stato più forte di me, e ora non si accontenta più di raccontare vecchie storie nel cuore della notte: oramai lui vive la sua vita felice e sereno, accettando tutte le pacche sulle spalle come segno di quello che realmente sono. Quel ragazzo è riuscito a sconfiggere se stesso, e ne è uscito a testa alta.
Adesso, non è più solo.

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3 settembre 2009
FORSE

Forse non esiste.
Una porta si chiude, e tutto quello che puoi solamente immaginare è proprio dietro di essa. Le tue illusioni, le tue speranze, le tue più intime e false aspettative che tragicamente cadranno. Cadranno non appena avrai il coraggio di allungare quella mano, che ancora trema lungo i tuoi fianchi, e raggiungere quella maniglia lontana. Cadranno non appena il tuo cervello ordinerà finalmente al tuo corpo di muoversi, e di continuare a farlo [senza smettere], muscolo dopo muscolo, tendendo ogni nervo al solo scopo di ottenere quello che più desidera. Cadranno non appena varcherai quella soglia, e ti troverai come d'incanto di fronte a...
Forse non esiste.
Un altro bicchiere, ancora uno. Ancora un ultimo, spontaneo, fottuto sorso di autostima. Una goccia per domare ogni singolo singulto che farebbe tremare interi vulcani ancora addormentati, una goccia per sopire l'oblio e dimenticare tutte le parole che non hai mai colorato. Una goccia per asciugare tutte quelle perle di sudore che ti colano ghiacciate lungo il petto, percorrendo ogni minuscolo poro, valicando quella breve serie di colline costali fino a perdersi nella valle dell'addome. Ancora un bicchiere, e tutte le immagini che si sono impresse nella tua mente nel corso di una giornata povera di suoni assumeranno finalmente il sapore di un ricordo immediato, di un calore irradiato. Un bicchiere, e quel vetro che ti avvolge e ti schiaccia privandoti del respiro finalmente scivolerà via, sciogliendosi fino a diventare trasparente, bruciando fino ad essere asfissiante.
Respira, piccola creatura disillusa, respira. Inspira dentro di te tutto quel fumo che vorrebbero ancora gettarti negli occhi, fino a renderti cieco. Inspira e tossisci via tutto il rancore per quello che non sei riuscito a vedere, ma che ti è stato raccontato nei più piccoli dettagli. Volevi veramente sapere? Avresti davvero voluto essere presente? Respira, piccola creatura affranta, continua a respirare. Respira e prendi fiato, perchè non è nelle illusioni altrui che devi cercare la strada, non è con luci artificiali che potrai finalmente trovare il tuo cammino da percorrere. Passo dopo passo, cadrai e ti rialzerai. Un piede dopo l'altro, riuscirai a barcollare come se non avessi mai avuto un equilibrio tuo, fino a riuscire a disegnare una linea retta col tuo incerto procedere. Ti guarderai attorno, e vedrai alberi vicini e tronchi lontani, dispersi in una distesa infinita che va oltre il tuo sguardo. Ti guarderai attorno, e ti renderai conto di quanto sei piccolo nel tuo percorso, e saprai che quella porta non è mai stata troppo lontana: sei tu che non riuscivi a misurare correttamente lo spazio che ti separava da essa, e scoprirai con stupore che tre colli di bottiglia sarebbero sufficienti a colmare la distanza che ti divide da lei.
Che forse non esiste.
Continua a ripetere i tuoi dubbi, continua ad urlarteli nella testa, senza sosta. Immobile, non muovere un muscolo. Oramai ti sei talmente convinto di quello che non sei che potresti disegnarlo e risultare perfino credibile. Ti rendi conto? Tu sei quello che io ho graffiato nero su bianco, su questa tavola che è la tua esistenza. Tu sei quello che io ho deciso che tu fossi, quando ho preso in mano la penna e ho iniziato quella danza scrivente che lenta procede da sinistra a destra, riga su riga, fino a colmare quella pista da ballo rettangolare che i poveri di spirito si ostinano a chiamare foglio. Figlio, tu sei tutte le mie illusioni, le mie speranze, le mie più intime e vere aspettative. E' veramente questo, quello che vuoi? E' veramente questo, quello che sei? No, tu sei molto di più. Lo sai. Lo so. Hai oltrepassato i confini che ti separano dal reale, e mi hai abbandonato in quella distesa di alberi che non conosce orizzonte. Oramai cammini libero e sicuro, e hai chiuso talmente tante porte dietro di te che lo sforzo per raggiungerti andrebbe oltre ogni mia più sfrenata illusione. Hai vinto, figlio mio.
Forse sono io, che non esisto.

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