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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Maggio 2006

27 maggio 2006
INCANTO

Passare in Via del Campo, trovare un locale chiamato La Cattiva Strada, con un musico che intona Un Giudice. Questa è magia, condita da un tramezzino ed una corona.
Quattro appuntamenti sparsi in giro per la città, e trovo il tempo per regalarmi lo spazio di quest’oasi di pace, illudendomi che le nuvole possano fermare il cammino stesso delle stelle, del cielo, dell’anima.
Che altro posso aggiungere, per spiegare l’incanto? Non ci sono parole, non ci sono segni che possano essere scritti. Lascio che il silenzio accompagni queste note.

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25 maggio 2006
VECCHIA CITTÀ

Cinque segni sul nudo terreno sono il simbolo dello stupore, sono il simbolo della paura, sono il simbolo del terrore supremo che ci attanaglia con le sue spire di volontaria dissolvenza incrociata. Pregate per un suono che non può accompagnare un mazzo di rose sbiadite sul tocco di un abbraccio di scuse, pianti e sorrisi, senza la passione di una colpa dissolta nel gelo dell’amore. Corro e svengo sulle mie stesse parole appena tracciate sul sentiero della memoria, fino a capire per l’ultima volta che nessuna pagina bianca è il sogno di un bambino, così come è il segno di un cantore dimenticato dietro gli occhiali appannati dell’età. Corro e piango per tutto quello che non ti ho mai detto. Finora.

Non ci sono parole per esprimere tutte le parole che non ho mai imparato, quelle che non ho mai pronunciato, e quelle che non pronuncerò mai perché mi rifiuterò sempre di imparare. Il segreto è tutto nell’attesa fine a se stessa, nell’attesa di un qualcosa che potrebbe non arrivare mai, e di conseguenza non potrà mai trovarci impreparati, per il semplice motivo che non pensavamo che l’avremmo mai meritato. Mai.

Ho visto un crollo di vetro
sul sorgere del piacere bianco
dove muore il sole.
Ho sentito un sussurro di noia
nel calore immacolato di una rima
che invano sbiadisce lontano.
Ho annusato un rimpianto nero
come se ricordassi di non avere
mai lastricato una via di pianti.
Ho toccato un solco di gioia
che nessuno ha mai conosciuto
prima di un volo pindarico.
Ho gustato un pensiero dorato
e nella speranza di una canzone finita
mi sono svegliato, finalmente.
Sempre soltanto io
sono qui con tutte le mie paure
e gli occhi che bruciano
per tutto quello che hanno visto oggi
miracoli di un domani inconsistente
che sarà uguale a oggi e a ieri.
A un mese fa, all’anno scorso.
Come un caffè andato al mare
che sorge con le onde ormai bianche
da tutti decantate
ed allo stesso tempo odiate.
Ho corso a fianco della cornice
di tutto quello che nasconde
un messia benedetto dal suono
di un violino arrugginito
che nessuno capisce
perché neanche lui sa veramente
che cosa vuole dire
e cosa sta dicendo
in quello stesso preciso momento.
Vuoi venire con noi,
e lasciarti alla spalle la solitudine?
No grazie,
sto bene così.
Sto bene da me.

Sempre solo queste parole rincorrono al vento quello che nessuno pensa possa essere il vero senso di tutto quello che possiamo capire e ricordare tra il nulla ed il niente che nessuno ha voluto affiggere nel bianco di un solitario giovedì sera trascorso tra pensieri solitari e parole rivolte all’aria di casa che nel bianco del tramonto viene in soccorso di tutti coloro che non potranno mai aspirare a più pene di quante non ne abbiano patite fin dall’alba di quel giorno incantato che è il ricordo di una volontà bugiarda che tutto distrugge nel pensiero di un uomo rinnegato e che si abbandonerà per sempre solo.

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16 maggio 2006
IN UN SOLO MODO

Come si ricorda un suono che non è mai stato ascoltato?
Come si pronuncia un colore nell’oscurità del sonno?
Come si immagina un amore che non è ancora nato?
In un solo modo.
Correva il lontano millenovecentonovantotto, quando ancora l’ombra della coscienza non aveva coperto la fragile superficie di questo pallido corpo. Correva quel lontano anno, quando le convulsioni presero il sopravvento su tutte le mie certezze, e da un giorno all’altro mi ritrovai con il morale relegato in una dimensione parallela e perpendicolare all’onore stesso. Correva quel lontano e fatidico anno, quando conobbi la sofferenza per quello che avrei voluto essere e, con l’inutile senno di poi, non sarei mai diventato. Aprii gli occhi su quello che avrei voluto conoscere, ma le uniche passioni che mi avvolsero furono quelle color terrore. Di me stesso, e di un vocabolario di frasi che non ho mai pronunciato. Di me stesso, e di un insieme di suoni che avrebbe potuto uscire solo in un modo.
In un solo modo.
Ricordo ancora la prima volta che uscii di casa da solo, senza la mano rassicurante di un genitore a tenermi compagnia e infondermi sicurezza. Ricordo ancora il vento che mi salutò il volto promettendomi sensazioni di libertà e illusioni di magico candore. Ricordo ancora come mi lanciai in una corsa liberatrice lungo quella strada che si allontanava da casa, ed era sinonimo stesso di avventura. Ricordo ancora, come fosse successo pochi secondi fa, il modo rovinoso con cui caddi. Le ginocchia inesperte che cedevano al peso di un corpo lanciato ad una velocità precaria verso l’asfalto color cenere e dolore. Ricordo la paura, e le lacrime. Quante lacrime. Tante, ma mai troppe. Che finirono soltanto quando una mano amica mi riportò tra le mura domestiche, e mi curò con un amore materno mai eguagliato. Ricordo ancora quel giorno, e quella tragica corsa che mi segnò per sempre.
In un solo modo.
Come si ricorda un suono che non è mai stato ascoltato? Con le lacrime di un bambino smarrito, perdutosi lungo la lunga via dell’esperienza.
Come si pronuncia un colore nell’oscurità del sonno? Soffrendo in silenzio per mille parole mai pronunciate ma che hanno lasciato solchi indelebili nell’anima.
Come si immagina un amore che non è ancora nato? Posando la penna, e smettendo di scrivere sentenze su di un foglio che nessuno leggerà mai. Posando la penna, e correndo incontro alla vita senza la paura di ferirsi, o di non riuscire a chiedere aiuto nel momento del bisogno. Posando la penna, ed uscendo da quella stanza buia in cui ci stiamo tenendo compagnia nell’ignoranza del mondo superficiale e ammaliante che ci circonda, con i suoi occhi d’ebano e le mani gentili di chi non ha mai saputo dire di no senza sorridere alla vita stessa. Posando la penna, ed uscendo nel buio di quel giorno estivo che è il simbolo di tutte le nostre emozioni sopite nel vento. Nel mare. Nel sonno della nostra camicia sfortunata. Nel tepore del nostro abbraccio conservato per quell’amore che tutti sognano e pochi raggiungono. Nel ricordo di un bicchiere sbiadito al calore dello stelo di quel fiore che è la lancetta di Morfeo. Nel dimenticare quel quadro tremendo che poteva essere dipinto soltanto da un dio malato, dopo averci visto morire per passione, in un solo modo.
In un solo modo.
In un solo modo


...ho dipinto
una lacrima
con i centoventi
colori del pianto
che solo una lacrima
nel tenue mattino
versa di sera.
Ho dipinto una lacrima
con i centoventi colori del pianto
e sono risorto.
In un solo modo.

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13 maggio 2006
TRENO

Che cos’è un viaggio in treno? È un cammino per una meta che non ci aspettiamo, è un percorso che intraprendiamo quando dobbiamo raggiungere un luogo che non si aspetta una nostra visita. E durante questo viaggio, molto spesso accade l’inevitabile. L’insolito. Il curioso. Si avvicinano parole con volti bruciati dalle esperienze che smaniano di condividere la propria conoscenza proprio con noi, che siamo digiuni di vita e ancora acerbi sul grande frassino della vita. Incontriamo anime che ci aprono il loro cuore e ci ricordano che anche loro un giorno erano come noi, anche loro un giorno hanno incontrato persone simili e hanno provato le medesime sensazioni ed impressioni.
Un viaggio in treno è la possibilità di ricordare a noi stessi che la vita su cui ci appoggiamo tanto saldamente non è altro che una labile stampella dopo quel tragico incidente che è stata la nostra venuta al mondo. Un viaggio in treno è un dono regalatoci dal destino per farci assaporare ancora una volta tutto quello per cui saremmo dovuti esser nati, e per cui un giorno dovremo morire. Un viaggio in treno è quel punto perduto che chiude una frase in un libro d’amore scritto da un poeta cieco.
Chiudo gli occhi e lascio che i sensi si abbandonino ancora una volta a quel dolce abbraccio che ci viene donato da sedili scomodi come l’amore, ma sempre presenti come l’amicizia. Guardo fuori dal finestrino e vedo case, prati, mari, persone, intere città, o solo uno specchio che riflette la mia anima sorridente. Apro gli occhi al tempo delle luci intermittenti in uno scompartimento rumoroso di passioni e ricordi di una giornata che resterà sempre nella memoria di almeno sei persone. Cerco di sopire le voci di bambini che corrono per i corridoi, dimostrandomi come la vita non sia ancora sbocciata oltre la soglia di quest’isola di vita foderata di blu elettrico.
Che cos’è un viaggio in treno? È una vita intera, vissuta nell’arco di poche ore. Da soli o in compagnia, sta a noi deciderlo.

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2 maggio 2006
FORMA

Prendi una forma davanti ai tuoi occhi. Osservala con attenzione. Fissa il tuo sguardo più attento su ogni pigmento di realtà che la colora, che la delinea, che la compone. Lascia che il tuo occhio interiore si soffermi sulla trinità che nasconde quella forma, e ascolta.
Dal profondo del più oscuro sapore geometrico salirà fino al tuo volere la conoscenza informe di tutto quello che non riesci a percepire con i tuoi sbiaditi sensi, con le tue sfocate presunzioni, con i tuoi insulsi paradigmi di vita. Dal profondo del tuo più blasfemo ricordo cresceranno parole destinate a incontrare ogni singhiozzo nel mare delle tue passioni passate sul compasso dello spazio indefinito e illimitato. Dal profondo del tuo più avulso ritratto prenderanno forma tutti i nomi con cui sei stata chiamata in vita, e che hai rinnegato allo svanire del sole nella nebbia collinare.
Ora sei diventata parte di quella forma che prima osservavi. Ora siete un unico volume, una sola superficie, un unico piano. In attesa che qualcun altro poggi lo sguardo su di voi, per unirsi insieme e diventare un tutt’uno, un’entità magica e fatata descritta soltanto nei più oscuri grimori di pratiche occulte.
Lasciate sopire tutte le voci che risuonano attorno a voi, e dimenticatevi persino di avere una coscienza, di possedere la ragione, di aspirare a qualcosa che avresti meritato, ma che ora vi spetta di diritto. Adesso, con calma, prendete forma.
Siete vivi, finalmente.

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