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Daniele Assereto
Daniele
Assereto


 
Aprile 2003

24 aprile 2003
OMOSESSUALE

Vi hanno mai dato dell’omosessuale? Vi è mai capitato che un ragazzo vi facesse piedino per tutta una sera? Vi siete mai sentiti dire di essere effeminati?
Se la risposta è no a tutte e tre le domande precedenti, non potete capire come mi sento io in questo preciso momento. Depresso, profondamente depresso. Hanno provato a convincermi che non dovrei esserlo, che mi dovrebbe sorvolare tutto al di sopra, come se non fosse mai successo, perché tanto quello conta è quello che provo io, e non quello che credono gli altri. Ed è vero. Vero. E’ giusto. Giustissimo.
Ma non riesco proprio a togliermi di dosso questa sensazione di sporcizia morale che mi sta avvolgendo. Magari domani me ne sarò già dimenticato ma ora, questa sera, in questo preciso momento, mi sento come non sono mai stato prima. E’ un genere di depressione che non avevo mai provato. Mi sono sentito incompreso, dal mondo intero. Anche dagli amici.
Datemi un punto d’appoggio e solleverò il mondo, disse un giorno qualcuno. Datemi un punto d’appoggio affinchè possa piangere, aggiungo io. Come se avessi addosso tutto il peso del mondo intero, o perlomeno le sue convinzioni di una mia omosessualità. Ma dico, scherziamo?
Potevo sorvolare sull’essere considerato innocuo. Potevo sorvolare sul non essere capito quando dicevo che davo priorità ai sentimenti rispetto all’attrazione fisica nella prima fase di un rapporto tra un ragazzo ed una ragazza. Potevo sorvolare anche sull’essere scambiato per una ragazza quando avevo i capelli lunghi. Ma quando è troppo, è troppo. Anzi, è più che troppo. E poi mi ritrovo io stesso a scherzarci sopra, perché tanto so che non è vero niente, perché devo sdrammatizzare e riderci sopra. Una risata mi ucciderà, prima o poi. Ma quelle di stasera sono sorrisi amari. Risate sincere, ma amare.
E la tristezza in fondo rimane. L’amarezza di sottofondo, stasera, si è annidata a fondo nel mio spirito. E speriamo che non aspetti troppo, per uscirne. C’è ancora una ragazza, là fuori, che mi aspetta. Chissà solo se riuscirà a vedermi...

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14 aprile 2003
CELLULARE

Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con il cellulare.
Dapprima, ero uno dei pochi a non averlo. Ho dovuto aspettare che un fulmine mi cadesse in casa e mi lasciasse isolato dal mondo per più di tre giorni prima di avere una buona ragione per acquistarne uno.
Poi, sono venute le disgrazie. E con loro, la consapevolezza di non saper gestire l’utilizzo dei famigerati SMS.
Ho sempre trovato accattivante l’idea di dover essere in grado di gestire quei 160 caratteri in modo ottimale. Bisogna essere un poco poeti dentro, per far quadrare quel cerchio che sono i tuoi sentimenti e per farli stare tutti dentro quei pochi, pochissimi 160 caratteri. Ed era per questo che, alla mia ex ragazza, cercavo di scrivere dei piccoli poemi epici, a volte anche in rima baciata, dei piccoli endecasillabi sciolti concatenati, il tutto sfruttando quel poco spazio a mia disposizione. Era difficile, ma appagante. Provavo ogni giorno di più a superare i limiti che mi erano imposti dalla lingua italiana, andando a fondo con costruzioni che rasentavano latinismi degni del migliore Don Abbondio alle prese col peggior Renzo. E per cosa?
Lei mi rispondeva con uno squillo. Non un messaggio di risposta. Non una telefonata. Uno squillo.
E io subito giù a chiedermi se quello che le avevo scritto le aveva toccato il cuore, se le avevo sfiorato l’anima, affascinato ogni più piccola fibra del suo essere interiore, o se semplicemente le avevo fatto perdere del tempo prezioso che avrebbe impiegato volentieri in qualche altro modo. Di conseguenza eccomi lì di nuovo, chino su quei tasti minuscoli, pronto a mandarle un altro messaggio scomodando tutta la mia cultura classica inesistente e costrutti arcaici degni del miglior ermetico italiano, per far stare ancora una volta tutti i miei sentimenti, i dubbi e le certezze, nel soliti 160 caratteri che delimitavano la mia fantasia come un recinto di filo spinato può delimitare un campo immenso coperto di prati verdeggianti.
E la risposta, classica, non tardava a giungere. Uno squillo. Non un messaggio di risposta. Ancora uno squillo. E non era affatto finita.
La cosa peggiore però era quando era lei a fare uno squillo per prima. Ci ho messo tre mesi a capire come comportarmi. Tre mesi per capire che, spesso, voleva semplicemente essere richiamata.
Stupido io a pensare che fosse un modo per farmi pensare che mi stesse pensando. Stupido io a farle uno squillo di risposta. Stupido io, quando mi vedevo rispondere al mio squillo di risposta con un altro squillo. Stupido io, a domandarmi a questo punto se la cosa rischiasse di andare avanti in eterno, fino a quando a uno dei due non sarebbe morta la batteria, a forza di farsi squilli l’un l’altro. Come se poi, in fondo, non avessimo altro da fare che romperci le palle a vicenda tutto il giorno per fare a gara a chi gli si scaricasse prima la batteria del cellulare. Era questo il punto in cui mi decidevo a mandarle un SMS in risposta ad un suo ennesimo squillo, e per cosa? Per vedermi rispondere con il solito, classico, famigerato e temutissimo squillo.
Dopo tre mesi, dicevo, ho finalmente capito che avrebbe voluto semplicemente essere richiamata, lei che aveva sempre la ricarica scarica. Chissà come mai, dopotutto, dato che ero sempre io a chiamarla. Ma questo è uno dei misteri che non potrà mai essere svelato, è una piccola Sfinge quotidiana che mi aiuta ad andare avanti anche quando sembra che il mondo non abbia più sorprese in serbo per me.
Quali sono dunque, o quali possono essere le conclusioni di tutto questo mio parlare di cellulari? E’ semplice. Non lasciate che vi dominino la vita. Non lasciate che abbiano il sopravvento sulla vostra vita quotidiana. Siete voi, proprio voi, ad avere ancora il coltello dalla parte del manico. O comunque il tasto di spegnimento ancora a portata di mano. Utilizzatelo, finchè siete in tempo.
O almeno, cercatevi una ragazza che non sia di Milano. Il che potrebbe essere il miglior consiglio della giornata. Giudicate voi.

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10 aprile 2003
DELIRIUM TREMENS

Piove.
Avete mai notato come, quando piove, tutti gli imbecilli decidono di colpo di mettersi al volante sfidando le intemperie e la nostra pazienza? Le statistiche dicono che su 10 incidenti in auto, ben 7 (sette!) sono causati dal maltempo, e solo 3 da guida in stato d'ebbrezza... e allora qual'è la morale di questa statistica? Che l'acqua è più pericolosa dell'alcool. Che se piovesse birra ci sarebbero meno incidenti. Che le decapottabili avrebbero un senso in più.
Ieri sera ho brindato in compagnia, e sono tornato a casa in macchina. Avevo 3 possibilità su 10 di avere un incidente per una buona Guinness, o 7 su 10 perchè pioveva? Amletico dubbio.
Continua a piovere.

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